In un anno, gli arrivi dei minori migranti in Grecia sono quasi quadruplicati. Basterebbe questo dato a restituire la complessità dell’emergenza migratoria lungo le coste elleniche, crocevia strategico per tutti coloro che dal Vicino e Medio Oriente si fanno largo tra le onde del Mediterraneo con la speranza di approdare in Europa.
Eppure, guardando i numeri Unhcr diffusi da Save the Children, la realtà appare molto più complessa. Degli oltre semilaquattrocento minori arrivati in Grecia tra gennaio e giugno di quest’anno, circa cinquemilacinquecentottanta sono sbarcati sulle isole del Mar Egeo mentre ottocentorenta sono arrivati via terra: un aumento del quattrocento per cento rispetto ai milleduecentottanta bambini arrivati complessivamente nei primi sei mesi del 2023. Un incremento notevole riguarda poi anche gli arrivi dei minori non accompagnati, millecinquecento da inizio 2024, triplicati rispetto allo scorso anno. Cifre che svelano i problemi legati ai sistemi d’accoglienza, incapaci di gestire un tale incremento e di fornire il sostegno necessario: “I minori non accompagnati si trovano ad affrontare condizioni terribili che richiedono un’attenzione urgente, ma i bambini che sbarcano in Grecia non vengono trattati come tali”, denunciano da Save the Children.
Fileri Kyriaki è l’avvocato del Consiglio greco per i rifugiati che opera sull’isola di Kos. Qui i centri di accoglienza soffrono un continuo sovraffollamento che si traduce in una “totale mancanza di servizi medici adeguati, tanto che anche la stessa struttura dell’isola è insufficiente per i suoi abitanti”. Prima del trasferimento in un centro d’accoglienza ad hoc, i minori passano infatti attraverso le cosiddette “aree sicure”, luoghi che Kyriaki descrive così: “non c’è nulla da fare, nessuna attività, né ricreativa né di altro tipo. È un container con del filo spinato intorno, sembra una prigione e non è adatto ai bambini”. Queste carenze strutturali nel sistema di accoglienza dedicato ai minori generano poi una serie di rischi, riassunti da Save the Children: “L’anno scorso abbiamo rilevato che in Grecia la maggior parte delle richieste d’asilo dei minori non accompagnati sono state respinte, lasciandoli senza documenti ed esposti al rischio di abusi e sfruttamento”.
Lo scorso 30 luglio, in occasione della Giornata internazionale contro la tratta di esseri umani, è stato pubblicato il report “Piccoli schiavi invisibili”, dedicato alle storie delle vittime di abusi e sfruttamento legate alla tratta, ma non solo. Partendo dal dato generale, oltre cinquanta milioni di persone soggette a forme di schiavitù moderne, si stima che dodici milioni tra queste siano minori: più di tre milioni sono vittime del lavoro coatto e ben nove milioni, praticamente il triplo, sono costretti a matrimoni forzati. Il report restituisce un quadro europeo significativo, con ventinovemila vittime di tratta per sfruttamento sessuale e lavorativo registrate nel quinquennio 2017 – 2021: di queste, il sedici per cento risulta minorenne, con picchi del settantasette per cento in relazione a ragazze di età compresa fra i quindici e i diciassette anni.
Appare evidente come l’incapacità di affrontare al meglio l’incremento degli arrivi, siano essi provenienti dal mare o da terra, costituisca un grave rischio per l’incolumità delle persone, specie se si tratta di giovani e giovanissimi. Alle innegabili difficoltà che si incontrano nell’identificare in maniera certa l’età di migranti e richiedenti asilo minori che, il più delle volte, rappresentano in partenza degli ostacoli a una loro gestione ottimale, vanno aggiunte poi una serie di problematiche proprie delle politiche in materia di accoglienza.
Diverse associazioni fra cui Medici senza frontiere testimoniano svariati episodi di violenza della guardia costiera greca: storie di agenti saliti a bordo delle imbarcazioni a malmenare i migranti per poi lasciarli in balia delle onde con il motore manomesso. Un chiaro esempio di respingimento, pratica contraria al diritto internazionale e dell’Unione europea sancito dalla Convenzione di Ginevra del 1951, firmata e approvata anche dalla Grecia. Nel solo mese di gennaio 2023 l’Aegean boat report documentava ben sessantasei respingimenti in mare, oltre due al giorno, per un totale di almeno milleottocento persone che si sono viste negare il diritto di chiedere asilo, oltre ai propri diritti umani. Ancora, nell’aprile dello scorso anno furono pubblicate le immagini di alcuni marittimi che al largo di Lesbo respinsero un gruppo di dodici richiedenti asilo, tra cui anche un bambino di sei mesi. Catturati e caricati su un furgone, vennero poi trasferiti con una nave militare al largo dell’Egeo e abbandonati in mare fino all’intervento della guardia costiera turca.
Altri numeri che risultano tuttavia fondamentali per delineare la portata di un fenomeno che si inserisce all’interno del più ampio scenario delle rotte migratorie verso l’Europa. Le ultime stime disponibili nel database di Unhcr, aggiornate al 28 luglio, fotografano con una precisione chirurgica la situazione nei tre principali gate del Vecchio Continente: Grecia, Italia e Spagna.
Dopo il record storico del 2015 con oltre 850mila sbarchi, da inizio anno la penisola ellenica ha registrato 25.313 arrivi, la maggior parte dei quali provenienti da Afghanistan (36,2 per cento), Siria (25,4) e Egitto (12,5). Sul totale, 21.784 persone sono arrivate via mare mentre le restanti 3.529 hanno attraversato il confine terrestre col distretto turco di Edirne. Un dato in linea con quello del 2023, quando gli arrivi a fine anno furono 41.561, superiore più di tre volte a quello dell’anno prima.
Diversa la situazione in Italia, dove dal 2015 adoggi per ben cinque anni si sono registrati più di centocinquemila arrivi l’anno ma senza mai superare la cifra record del 2016 di centottantunomila unità. Da gennaio a oggi i dati relativi ai soli arrivi via mare (escludendo quindi i flussi della rotta balcanica, da Trieste alla Val di Susa parlano di trentunomilacinquecentosettantanove sbarchi, concentrati per lo più in Sicilia (77,4 per cento). Quanto alla provenienza di migranti e richiedenti asilo, il nostro Paese è la meta prediletta nell’intero bacino mediterraneo per chi arriva dal Bangladesh (ventidue per cento).
Infine la Spagna, propaggine più occidentale del Mare Nostrum e soggetta a una migrazione sui generis considerata l’estrema vicinanza con le coste nordafricane. Dall’inizio dell’anno sono ventinovemilasedici gli sbarchi registrati in vari punti del territorio spagnolo, che vede le isole Canarie punto nevralgico di rotte che attraversano tutta l’Africa. Si parte da Sudan, Camerun, Guinea e Senegal per fare tappa in Niger e Mali, alle porte del Sahara: dopo il deserto, l’arrivo in Marocco passando per Mauritania e Algeria. Per chi arriva sano e salvo sulle coste atlantiche il punto d’approdo più vicino è proprio l’arcipelago delle Canarie, che da gennaio ha accolto ventunomilatrecentodieci persone.
Lesbo, Lampedusa, Las Palmas. Dal confine terrestre più sudorientale all’estremo più occidentale (e meridionale) d’Europa, il motore dell’accoglienza viaggia spedito grazie all’incremento registrato nell’ultimo anno dopo la brusca frenata al tempo della pandemia. In questo contesto, l’emergenza dei minori non accompagnati in Grecia non è che uno dei più importanti campanelli d’allarme e un invito a non abbassare la guardia, né a voltare lo sguardo, davanti a un dramma umanitario che sembra non avere fine. E che potrebbe non averla mai, fintanto che chi ha l’opportunità di tendere una mano continuerà a ignorare questo grido d’aiuto che non conosce lingua.