Tra le molte cose che non vanno giù alla fan base di Trump c’è il fatto che da quando, lo scorso luglio, ha incassato l’ok di Biden a candidarsi, la vicepresidente Kamala Harris ha superato ogni record di raccolta fondi. Entro 24 ore dal suo annuncio su X, ha raccolto 81 milioni di dollari. Entro la fine di luglio, la cifra è salita a 200 milioni di dollari, portando il totale di raccolta fondi della campagna a 310 milioni di dollari.
Un flusso senza precedenti di donazioni che ha scatenato subito le accuse di frode dei repubblicani contro ActBlue, la piattaforma di fundraising che sostiene l’apparato del partito democratico. Non si tratta di uno strumento digitale nato ieri, bensì 20 anni fa, come si capisce dal suo slogan: ActBlue, Powering Democratic candidates since 2004.
Epperò i repubblicani della House Administration Committee si sarebbero svegliati solo adesso e iniziato a indagare su ActBlue, citando «una vasta gamma di fonti» che hanno sollevato dubbi sulla conformità alla legge sul finanziamento delle campagne elettorali. E c’è stato addirittura chi, come i procuratori generali della Virginia e della Carolina del Sud ha avviato inchieste indipendenti nelle ultime settimane.
Le accuse sono generiche e a quanto pare non hanno portato ad alcun risultato. Si parla di possibile riciclaggio di denaro estero e furto di identità reati perpetrati presumibilmente da malintenzionati o hacker. Finora gli esperti di diritto finanziario hanno risposto che molte delle accuse mosse ad ActBlue sono, nella migliore delle ipotesi, basate su errori nella modalità di registrazione dei contributi federali alle campagne. Oppure si tratta di un tentativo in malafede da parte dei conservatori di mettere in dubbio uno strumento essenziale per le campagne democratiche a pochi mesi dalle elezioni.
La difesa passa attraverso le dichiarazioni degli avvocati come Brendan Fischer, vicedirettore esecutivo del gruppo di controllo Documented, specializzato in finanziamenti per le campagne elettorali: «Mi sorprende che persone autorevoli prendano seriamente queste insinuazioni. Perché in questi attacchi non c’è niente di serio».
Già, la gara a lanciarsi palle di fango è reciproca: le stranezze nelle donazioni a volte ci sono, su ActBlue esattamente come su WinRed, l’equivalente utilizzato dai repubblicani. Destano da sempre sospetti i donatori capaci di effettuare microtransazioni in numero esagerato e come esempio è stato portato un donatore che ha fatto 22.619 donazioni nel 2019 ai democratici. Ma poi si è scoperto che lo stesso microdonatore compulsivo, dal 2019 in poi aveva fatto migliaia di versamenti anche su WinRed, a favore dei repubblicani.
Insomma innescare bombe di questo tipo, che si basano su presunti reati di furto d’identità e riciclaggio di denaro dei cartelli della droga è un’arma a doppio taglio. Queste modalità di donazione quindi possono essere effettivamente usate per molti motivi, probabilmente anche illegali che però non hanno a che fare con la battaglia politica (almeno non direttamente). Non solo, la faccenda delle piccole donazioni multiple, secondo Fischer ha anche un aspetto tecnico che trae in inganno «gli investigatori dilettanti», perché può succedere che dallo stesso account registrato partano molteplici versamenti diretti a candidati diversi, fondazioni e altre iniziative, o addirittura per il finanziamento della stessa ActBlue.
E dunque alla fine si torna sempre lì, ai tentativi di fare disinformazione, attività nella quale i trumpiani ora sono davvero scatenati. Come nel 2020, quando i gestori delle piattaforme di raccolta fondi per il voto sono stati messi sotto accusa, anche ora volano le fake news che fomentano la diffidenza delle persone sull’equità e la trasparenza delle elezioni americane.