Elon, vieni qui, siediti. Elon, lo stai vedendo “Monsters”? È una di quelle serie di Netflix coi sosia del Bagaglino, quelle che a cinema stramorto hanno pensato che la cronaca bastasse e avanzasse: delitti davvero accaduti, attori somiglianti, e il più è fatto. La summa di tutto ciò che non guardo neanche pagata.
Nello specifico, “Monsters” parla dei fratelli Menendez, che a fine anni Ottanta presero a fucilate in faccia i genitori, vai a sapere se per ereditare, come ipotizzò l’accusa, o perché il padre era stato brusco quando aveva scoperto di aver pagato la retta di Princeton a due ciucci che non sapevano i capoluoghi, come pare ipotizzare la serie in una scena che, possano gli dèi fulminare questo secolo, ha l’intento di farci simpatizzare coi ciucci, mica con l’esasperato padre.
Ma non è per parlarti della ciucciaggine dei minorenni tutti, Elon, che mi rivolgo a te. Non è per dirti di smetterla d’essere così fissato con la riproduzione, la gente si riproduce e poi si ritrova a mantenere gente che non si sa allacciare le scarpe e neppure manda a memoria i capoluoghi, come ti viene in mente che sia un’ambizione praticabile in tempi in cui abbiamo l’acqua corrente e l’aria condizionata.
È per una scena di “Monsters” che mi hanno costretta a guardare dopo che tu, nella notte tra martedì e mercoledì, hai con garbo istituzionale ma cafonaggine narrativa risposto al tweet – o come dobbiamo chiamarlo ora che hai cambiato nome al giocattolone – di qualcuno che, sotto una foto in cui tu e Giorgia Meloni vi guardate con apparente reciproco rapimento, aveva scritto «e sappiamo tutti cos’è successo poi».
«Ero lì con la mia mamma. Non c’è nessun genere di relazione romantica col primo ministro Meloni», hai risposto a una delle svariate foto in cui parete presi da incantamento, tu e Giorgia. E a quel punto una mia amica che la sa lunga mi ha fatto vedere la scena in cui Dominick Dunne racconta quant’è dozzinale l’arredamento di casa Menendez, e quanto truce l’assassinio dei due genitori.
Dominick Dunne è stato uno dei pochi a prendere la cronaca nera e farne racconto sofisticato. Lui, Capote, Gadda, Dante – ma per Dante era più facile: mica aveva la concorrenza della tv a colori. Diventa tutto più complicato, quando devi tenerti in equilibrio tra la trama sanguinosa e i piccoli moralisti da divano che se mandi in diretta la confessione dell’assassino s’indignano (s’indignano i giorni pari, cercano di farsi fare un contratto dal programma televisivo concorrente i giorni dispari).
In “Monsters”, Dunne lo interpreta Nathan Lane. C’è questa scena, dunque, in cui a una cena californiana racconta di lui stesso che va a casa Menendez a vedere la scena del crimine, e il pezzo che sta scrivendo, che s’intitolerà “Nightmare on Elm Drive” (il vero titolo del primo reportage di Dunne sui Menendez, uscito su Vanity Fair a ottobre del 1990).
Cosa c’entriamo io e Giorgia, chiederai tu, con un delitto atroce, con una serie basata su un fatto di cronaca nera, con quella sovversione della famiglia tradizionale che è il parricidio (oddio, secondo me da Edipo a Pietro Maso son tutte famiglie abbastanza tradizionali, ma non vorrei che questo dibattito ci portasse fuori tema).
C’entrate – anzi: c’entri – perché, Elon, quando hai inviato al mondo quello scostumato tweet in cui neghi tutto, noialtre ci stavamo già baloccando con la commedia romantica che questo secolo merita. Forse non lo sai, Elon, perché eri impegnato a capire come diventare il padrone del mondo, ma la fine del secolo scorso fu un’epoca d’oro per le commedie romantiche, e quelle di noi che avevano vent’anni quando Julia Roberts s’innamorava d’un libraio londinese, o quando Meg Ryan s’innamorava d’un libraio newyorkese (era un cinema pieno di librai), noialtre non possiamo sopportare che quel genere sia defunto.
Sì, ogni tanto ne producono ancora, ma sono imbarazzanti. Una di queste notti ne ho vista una in cui Zac Efron – che non ho capito come sia diventato sex symbol per adolescenti: è un cubo, poverino, si stava meglio quando i sex symbol erano gay ma longilinei, eravamo più fortunate noialtre con Miguel Bosé – s’innamora della madre della sua assistente. Madre che è Nicole Kidman, vedova nonché grande scrittrice (ogni volta che in una qualunque produzione audiovisiva Nicole Kidman ha un qualsivoglia lavoro, che non sia la modella o l’attrice o la signora ricca, io lancio la sospensione dell’incredulità dalla finestra: nessuna donna il cui lavoro non sia occuparsi del proprio aspetto ha il tempo d’avere l’aspetto di Nicole Kidman).
Insomma, a noialtre mancano le trame prevedibili, le battute folgoranti, tutto l’apparato delle commedie romantiche di quando eravamo giovani ma soprattutto di quando non eravamo nate (no, non esiste una commedia romantica più riuscita di “Scandalo a Filadelfia”, nonostante i continui tentativi di presentismo di giornali americani che mettono tra le migliori commedie romantiche roba con Kate Hudson o Sarah Jessica Parker).
E quindi, Elon, quando tu hai maleducatamente smentito, noi eravamo già qui che pensavamo alla trama. Cosa succede, dopo quella foto? Lui ama lei. Lei vuole dare il quarantanovesimo figlio a lui. Lei le prova tutte, ma la biologia non collabora.
E allora, nonostante il suo governo abbia appena reso reato universale la gestazione per altre, si procura una gestante. L’erede, che si chiamerà con qualche consonante greca, nascerà non solo nel peccato ma anche nel reato.
Giorgia finirà in carcere, accusata dall’ex cognato di minare le fondamenta della famiglia tradizionale, Giambry farà una diretta da fuori da Rebibbia, l’ospite Vittorio Sgarbi la paragonerà a una madonna del Parmigianino, la donatrice d’ovulo interverrà per dire che tutti si preoccupano della gestante e nessuno di lei, il bambino Consonante verrà adottato da Elly Schlein e dalla sua fidanzata.
Il lieto fine sarà la chiusura di tutti i social network in cambio della restituzione del piccolo Consonante a te, Elon, che con Consonante in braccio andrai ad accogliere Giorgia all’uscita dalla prigione, dalla quale verrà liberata grazie al governo delle larghe intese che sarà stato necessario comporre perché ti pare che Lollobrigida riesca a tener su un governo di destra da solo, c’è un limite anche alla sospensione dell’incredulità (Lollobrigida lo interpreta Nicole Kidman).
Avevamo già il soggetto pronto, Elon, e tu – cafone arricchito – hai messo in mezzo mammà, e non per dare alla storia il guizzo da secondo atto di cui ogni rom-com ha bisogno, quello in cui la suocera si fa ostacolo per ritardare il lieto fine: no, tu Maye Musk l’hai sfoggiata a scopo di smentita.
È stato allora che la mia sceneggiatrice di riferimento mi ha fatto vedere quella scena in cui, a un dinner party, Dominick Dunne racconta l’atroce delitto, e un produttore gli dice: «Beh, non c’è da meravigliarsi che la sceneggiatura di “Pretty woman” non l’abbiamo data da riscrivere a te». Siete la rovina delle feste, tu e Dominick, voialtri senza gusto per il lieto fine.