Dopo la pasta in biancoLa scoperta dell’acqua rossa è il tormentone del 2024

Nella hit parade dei menu (e delle drink list) gourmet c’è l’acqua di pomodoro, declinata in maniera diversa da chef o barman di tutta Italia. Noi ne abbiamo assaggiate alcune versioni tra Milano e hinterland

Dentice scottato con colatura di pomodoro, Terrazza Gallia Restaurant

Nel 1992, con la sua granita salata di pomodoro ideata a elBulli (in Catalogna), Ferran Adrià ha segnato una rivoluzione unendo scienza e cucina e aprendo la strada all’epoca in cui gli chef avrebbero abbandonato la ridondanza culinaria per puntare a preparazioni (apparentemente semplici) che lasciano intatto il gusto naturale degli ingredienti, in un tripudio d’estate che coincide con lo zenit della nuova cucina. Oggi, dopo più di trent’anni, sono sempre di più gli chef che hanno fatto proprio questo approccio, andando persino oltre ed estendendo la loro ricerca anche ai non-ingredienti, cioè a quei sottoprodotti della cucina che fino a poco tempo fa sarebbero stati considerati scarti.

Da uno scarto dell’orto, una risorsa in cucina e al bancone
È il caso dell’acqua di pomodoro, un tempo ritenuta solo acqua di vegetazione, un liquido insignificante, rilasciato dal frutto (sì perché il pomodoro è un frutto, non un ortaggio) durante la sua lavorazione, che andava eliminato per non diluire i sapori e non compromettere la consistenza e la conservabilità delle preparazioni. Oggi è considerata l’essenza stessa dell’alimento, una parte preziosa da raccogliere, conservare e poi valorizzare in forma nuova, all’interno di piatti che grazie a essa acquistano un equilibrio unico.

Nell’ultimo anno questo sottoprodotto ha vissuto una vera e propria riscoperta da parte delle cucine fine dining e dei cocktail bar più innovativi di tutta Italia, che utilizzano questo estratto di sapore nei menu dall’antipasto al dolce, fino ai cocktail pensati per l’aperitivo o per il pairing con le portate.

Ogni chef o bartender ha la propria tecnica per ottenere la sua acqua di pomodoro, a partire da una diversa selezione della materia prima e da una differente tecnica di lavorazione pensata per renderla adatta a una specifica destinazione d’uso.

Le ricette degli chef (più o meno noti)
Antonino Cannavacciuolo, da sempre attento a ridurre gli sprechi in cucina, ha fatto dell’acqua di pomodoro l’ingrediente protagonista del suo piatto del recupero, un capolavoro di semplicità e gusto  a base di cannoli di pane farciti con scarole alla partenopea, insalata fresca e appunto l’acqua di pomodoro ottenuta da una concassé di pomodori ramati, datterini e da insalata, conditi con olio, aglio, cipolla, basilico, timo, filtrati e utilizzati come condimento finale del piatto.

Giancarlo Morelli, al ristorante Pomiroeu di Seregno, la utilizza all’interno dell’ultimo menu estivo con “Il pomo d’oro”, un antipasto interamente dedicato a questo ingrediente, che viene scottato al barbecue e accompagnato dalla sua acqua resa più fresca da un tocco di Gian (il gin prodotto dallo stesso chef) e sciroppo al timo.

Il bistellato Gennaro Esposito invece ne ha fatto il complemento dell’insalata di mare contemporanea con salsa di lattuga, acqua di pomodoro, e diversi pesci con molteplici cotture; un piatto ideato per Caruso Nuovo Bistrot, il locale da poco aperto a Milano all’interno del Grand Hotel et de Milan, dove insieme all’executive chef Francesco Potenza esprime una cucina identitaria e di carattere, che rende omaggio agli ingredienti freschi provenienti in abbondanza dalla Lombardia alla Campania.

Persino Massimo Bottura, nel nuovo menu “Globale” di Osteria Francescana, include l’acqua di pomodoro in uno dei dodici piatti del percorso degustazione, che rappresenta un viaggio intorno al mondo: partendo dal pan tomate della tradizione spagnola, lo chef ha creato “You say tomato, I say tomato… and bread”, un gelato di pane bruschettato, condito con olio a crudo, origano, acqua di pomodoro e delle chips di spray oro. Un piatto che riassume la dedizione dello chef per il pane e la filosofia “Think Green”, che è anche il nome del benvenuto dello chef: tre bocconi da alternare con un sorso del bicchierino servito a lato, che contiene la clorofilla estratta delle verdure di stagione utilizzate in cucina (fave, piselli, asparagi).

Unitum, la Sicilia goccia a goccia
Un luogo nuovo in cui poter sperimentare: questo è il ristorante Unitum, inaugurato a ottobre 2023 dagli chef Giuseppe Daniele e Gabriele Fiorino (rispettivamente 32 e 29 anni), due amici e soci che hanno lasciato la piazza milanese (e la cucina del The Manzoni nella centralissima via omonima) per dare vita a un progetto più libero, lontano dai riflettori.

Il nome sull’insegna non è solo una dedica all’orizzonte professionale condiviso dai fondatori, ma anche una dichiarazione di intenti che testimonia la ricerca di un contatto nuovo e più autentico con il contesto sociale, con il territorio di prossimità e con gli ingredienti da inserire in menu. Tutto è acquistato fresco ogni giorno, direttamente dai mercati locali (con qualche eccezione importata) e lavorato al più presto per valorizzare al meglio ogni prodotto.

Se la volontà di dialogare con i clienti si concretizza innanzitutto nella prassi di ultimare tutti i piatti direttamente in sala, la ricerca di sperimentazione emerge cautamente in un menu che non rinuncia a essere rassicurante, in cui ogni piatto, per quanto avanguardistico nelle preparazioni, si compone di massimo tre ingredienti e non rinuncia a restituire un sapore familiare e di casa.

Tortelli di ricotta fresca di pecora, acqua di tre pomodori e mandorle tostate, Unitum Restaurant

L’acqua di pomodoro non fa eccezione: è ottenuta da tre o quattro varietà di pomodori (selezionate in base alle disponibilità di stagione) che vengono frullate e ridotte in polpa, la quale viene poi messa in un colino cinese rivestito di etamina (un tessuto adatto a trattenere le impurità) e lasciata in frigorifero per due-tre notti con un peso sopra per ottenere un’estrazione a freddo, goccia a goccia. Il risultato è un delizioso liquido trasparente, utilizzato come finitura dei tortelli con ricotta fresca di pecora e mandorle tostate, ingredienti importati direttamente dalla Sicilia, in omaggio alle origini di chef Fiorino. Il risultato è un mix di dolcezza e acidità, sapore erbaceo del “brodo”, callosità della pasta e burrosità sapida del ripieno. Elementi eccezionali presi singolarmente, ma che funzionano davvero solo se assaporati insieme.

Unitum Restaurant
Via Giuseppe Garibaldi, 89 – Seregno (Monza Brianza)

Soul Restaurant, piatti a 360 gradi
Restando in provincia, ma spostandosi a Legnano, merita una tappa il ristorante Soul Restaurant, gestito dal 2018 dallo chef Fabio Mecchina (da poco entrato nella nuova guida Jeunes Restaurateurs JRE-Italia) insieme alla moglie Gloria Marchesoni, sommelier e responsabile della sala. Qui ogni piatto è il frutto di una ricerca di equilibrio a quattro mani, che parte dagli ingredienti e prosegue con l’abbinamento dei vini, mantenendo come obiettivo finale la riconoscibilità e la valorizzazione dei sapori.

Pomodoro, Soul Restaurant

In menu spicca un antipasto battezzato appunto “Pomodoro”, in cui questo ingrediente è protagonista assoluto, utilizzato in più varietà e consistente: un cuore di bue arrostito e pressato per recuperarne l’acqua, che viene poi ridotta come una glassa ed emulsionata con il tamarindo; un pomodoro rosso di cui la polpa viene disidratata in forno e conservata in olio d’oliva, mentre la parte interna viene frullata con cipolla rossa, sedano, basilico, coriandolo e peperone a crudo, poi messa a scolare per ricavare un liquido saporito (una sorta di «acqua di gazpacho») che viene diviso con un condimento a base di burro di cacao e origano fresco e utilizzato a finitura del piatto insieme a grue di cacao, cannolicchi e pomodorini confit scaldati appena in un pentolino con l’acqua di apertura dei cannolicchi e l’olio di conservazione del cuore di bue. Un piatto “circolare” non solo per il rincorrersi di gusti e l’equilibrio perfetto tra i sapori (dolce, acido, sapido, amaro, umami), ma anche perché dell’ingrediente protagonista, davvero non si butta nulla!

Soul Restaurant
Via Goito, 9 – Legnano (Milano)

La Cucina, molecolare inaspettata
La tecnica molecolare fuori dalla metropoli è un’inaspettata scoperta. Ma per trovarla basta raggiungere il centro storico di Rho, comune a nord-ovest di Milano, a due passi dalla Fiera e dal quartiere MIND, dove un ristorante preannuncia fin dall’insegna di non essere «il solito ristorante». Qui nel 2020 Gaetano Marinaccio e Nadia Petronio hanno aperto La Cucina per dare vita a una meta del gusto adeguata al livello degli alberghi business aperti in zona, ma lontana dalla classica ristorazione fieristica. Il risultato è un ristorante gourmet, che propone rivisitazioni moderne della cucina italiana con contaminazioni che uniscono i piatti di Milano alla suggestione delle tradizioni Mediterranee, in particolare campane.

Tutto viene rivisitato in chiave originale e giocosa (dalle voci sul menu alla presentazione destrutturata dei piatti), ma senza mai trascurare la selezione degli ingredienti (definiti «a chilometro vero» secondo un concetto di sostenibilità che prescinde dalla semplice vicinanza dei luoghi di produzione) e la ricercatezza tecnica con cui lavorarli al meglio.

L’acqua di pomodoro di La Cucina è ottenuta da un mix di varietà di pomodori (maturi) del Sud Italia, che vengono frullati e lasciati a filtrare per una notte in un colino rivestito con un panno di cotone. Il liquido ottenuto viene utilizzato nel secondo “Tonno rosso”, in cui il pesce viene leggermente scottato, accompagnato dai sapori classici della marinara e della catalana (reinterpretata dallo chef) e completato con un guazzetto di acqua di pomodoro versato direttamente in sala. Ma degno di nota è soprattutto l’amuse bouche “Caprese 2.0”: una finta mozzarellina affumicata ottenuta mediante processo di sferificazione inversa e immersa in un’acqua di pomodoro, che va bevuta come uno shottino, per sentire esplodere in bocca tutti i sapori tipici del piatto evocato dal titolo.

Tonno rosso, La Cucina di Rho

Quasi un’opera d’arte culinaria avanguardistica, che riflette la passione per la sperimentazione e la volontà di far vivere all’ospite un’esperienza unica, abbandonandosi senza preconcetti a un’occasione in cui a essere soddisfatti non solo soltanto i sensi ma anche il cervello.

La Cucina
Via Porta Ronca, 86 – Rho (Milano)

Dry Milano, dal forno al bicchiere (e ritorno)
La crescente attenzione all’aspetto della sostenibilità è una delle caratteristiche più interessanti di Dry Milano, il primo a proporre l’abbinamento pizza-cocktail e oggi anche impegnato a portare avanti un virtuoso meccanismo di scambio di ingredienti tra cucina e bancone, che consente di riutilizzare in modo bidirezionale gli scarti di lavorazione tra forno e drink.

L’acqua di pomodoro in questo caso è proprio l’acqua di vegetazione rilasciata dai frutti utilizzati per farcire le pizze, che viene acidificata e utilizzata come una soda per dare la parte citrica al cocktail Pesquito (attualmente non in carta, ma… basta chiedere all’head bartender Edri Al Malat!), insieme alla polvere ottenuta dall’essiccazione degli scarti delle bucce non utilizzate da Lorenzo Sirabella nelle sue creazioni.

Il risultato di questo dialogo costante tra cucina e bancone non risponde solo all’intento di declinare l’offerta del locale in ottica green e no waste, ma anche all’impegno di far provare ai clienti un utilizzo inusuale degli ingredienti sulle pizze e nei miscelati.

Dry Milano
Via Solferino, 33 – Milano

Gallia, rituali da gustare tra India e Oriente
Nonostante la sua collocazione centralissima a Milano (o forse proprio in virtù di essa), Terrazza Gallia, lo splendido rooftop dell’Excelsior Hotel Gallia (Luxury Collection ), ha elaborato una proposta ristorativa internazionale e innovativa, pensata non solo per gli ospiti dell’hotel ma anche per i clienti esterni, che qui possono sorseggiare un aperitivo godendo di una vista inusuale sulla Stazione Centrale di Milano o gustare una cena nell’attiguo ristorante fine dining.

Nel primo caso non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione di prendere parte a “The Ritual (7 pm is the new 5 pm)”, pensato per condensare in un unico momento il piacere del rito inglese del tè con quello italiano dell’aperitivo. Fino a settembre, dal martedì al giovedì, la cocktail list studiata dal bar manager Andrea Griggion si amplia con una selezione di quattro drink inediti che tra gli ingredienti includono il tè. Tra questi c’è East India Trading Company, a base di Tequila, Mezcal, tè gunpowder, limone, spezie e soda all’acqua di pomodoro.

East India Trading Company cocktail, Terrazza Gallia

Lo stesso ingrediente si ritrova al Terrazza Gallia Restaurant, nell’offerta gastronomica dei fratelli Vincenzo e Antonio Lebano, gli executive chef del rooftop restaurant che, con la consulenza dei tristellati fratelli Cerea, propongono una cucina ispirata alle tradizioni del Sud e alle loro radici campane, con due menu degustazione (“Mediterraneo” e “Alla Scoperta”) in cui il pomodoro è una presenza ricorrente: della semisfera di parmigiana del benvenuto all’accompagnamento della ricciola alla brace, dal pomodoro arrosto con vaniglia, olio evo e vinaigrette ai lamponi, fino al condimento dei celebri paccheri.

Nel dentice scottato, un antipasto che al pari degli altri piatti non rinuncia a qualche suggestione esotica (qui data dalla presenza dello shiso e dall’abbinamento con le ciliegie) si trova invece sotto forma di colatura di pomodoro: una salsina ricca di gusto che gli chef hanno pensato come un’«insalata liquida»: si ottiene da pomodori datterini marinati con olio, sale, pepe, basilico e cipollotto, messi sottovuoto, cotti per due minuti a cento gradi e poi raffreddati in acqua e ghiaccio, lasciati insaporire per quarantotto ore in frigorifero e infine frullati per ottenere un mix di liquido di vegetazione e polpa.

Terrazza Gallia
Piazza Duca d’Aosta, 9 – Milano

Tutti questi esempi dimostrano che l’acqua di pomodoro non è il frutto modaiolo di un semplice esercizio di stile culinario, ma la concretizzazione (seppur liquida) della capacità sorprendente e creativa di interpretare in chiave fine dining quell’atteggiamento di rispetto per la terra che, fin dall’antichità, passa attraverso la rinuncia a qualsiasi tipo di spreco.

Cosa cambia rispetto al passato? Beh, qualche concessione in più all’esotico e lo sfruttamento di tecniche all’avanguardia in cucina, che però nulla tolgono alla sincerità italiana dei gusti e all’autenticità senza troppi fronzoli dei piatti (e dei drink).

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