La terza estate La doppia realtà dell’Ucraina, e la potente illusione di vivere una vita normale

Per le strade di Kyjiv sembra essere tornata quella quotidianità che c’era prima dell’aggressione russa. Ma non è esattamente così, gli ucraini sono stati costretti reinventarsi per trovare un nuovo equilibrio, e lo hanno trovato

AP/Lapresse

Nell’estate 2022, quando sono tornata in Ucraina per la prima volta dopo l’invasione russa su larga scala, su Linkiesta ho tenuto un diario giornaliero. Ogni giorno scrivevo un pezzo per raccontare tutto quello che sentivo, che provavo, che vedevo con i miei occhi nella mia terra natia, nelle parti non toccate dall’invasione e in quelle appena liberate dall’occupazione russa. Nell’estate 2023, quando ho fatto il secondo ritorno in Ucraina dopo il febbraio 2022, non ho tenuto un diario giornaliero, ma ho scritto tanti articoli sulla ripresa ucraina dopo un anno di resistenza. Ho parlato dell’energia e della voglia di vivere che c’era nelle strade di Kyjiv, ho parlato dei rumori dei cantieri che nonostante i bombardamenti stavano costruendo case nuove pensando al futuro. 

Nell’estate 2024, non ho scritto nessuna parola. Ho preso qualche appunto sul cellulare, ma non ne ho ricavato nessun articolo. Mi sono data tempo e spazio per riflettere, e anche per smaltire il fastidio che provavo a rifare lo stesso viaggio faticoso per il terzo anno consecutivo. È spaventoso quanto, pianificare e fare il viaggio in Ucraina ai tempi della guerra, sia diventata una semplice routine. Prendere l’aereo fino a qualche città in Polonia, prendere l’autobus da qualche città della Polonia fino a Lviv, e poi il treno fino a Kyjiv. Al confine, attivare la scheda telefonica ucraina, attivare tutte le notifiche necessarie nell’applicazione “Air Alert!”, cambiando la regione ogni volta che ti sposti, attivare le notifiche su tutte le app che tracciano la parabola dei missili russi lanciati verso le città ucraine. Sono applicazioni che non mi servono nella mia vita in Italia. In quel momento, le notifiche che mi arrivano dall’app dell’Atm sugli ingorghi o sui percorsi dei tram deviati sembrano arrivare da tutta un’altra vita, avulsa dalla realtà. Tutto attivato. Gli occhi, la testa e anche il corpo. Anche il corpo diventa più attento a qualsiasi movimento, a qualsiasi suono, a qualsiasi immagine. 

«Sarà questa la nostra realtà?», mi chiede un’amica mentre facciamo la nostra passeggiata, dopo una notte insonne per i bombardamenti, lungo per le vie pulite di Kyjiv, all’uscita da un museo e dirette verso un ristorante con la cucina dei tatari di Crimea.

Quando i russi hanno invaso l’Ucraina tutte e due avevamo trentacinque anni, e ora ne abbiamo trentotto. Nella casa dove alloggio a Kyjiv, sui muri delle stanze sono appesi i disegni della figlia della mia amica. Hanno lasciato questa casa quando la bimba aveva sei anni, e ora ne ha nove. I giochi che ha lasciato, le bambole, i peluche non le serviranno mai più. In quell’appartamento è rimasta una vita alla quale madre e figlia non faranno più ritorno. Forse un giorno torneranno ad abitare quella casa, ma saranno diverse, con segni indelebili sulla loro pelle, più grandi e più ingrigite. Il bruco con le lettere in lingua inglese non servirà più, la mia nipotina parla ormai l’inglese meglio di me dopo tutti questi mesi in Inghilterra.

Passeggio per le vie di Kyjiv, mi vedo con gli amici, vado nei ristoranti e nelle librerie, ai concerti e agli stand up show cercando di capire qualcosa, e di percepire questa nuova realtà. Di giorno mi sembra di vivere un’illusione, una vita normale, prendo gli autobus e la metro, faccio la spesa, lavoro la mattina in cucina al computer guardando i palazzi attorno, sento i bambini che sotto casa giocano nel parco, mi metto d’accordo con gli amici per un pranzo o una cena. Certamente non rientro tardi, l’applicazione “Kyjiv digitale” manda la notifica per ricordarmi di rientrare a casa prima del coprifuoco. Sono una cittadina diligente.

Di notte inizia un’altra realtà, partono le sirene (partono anche di giorno, ma di giorno non è poi così spaventoso). Con la sirena straziante nelle orecchie inizio a scrollare il cellulare per controllare dove si sta dirigendo quel missile lanciato dai russi. Mi sposto nel bagno con il materassino che ho preparato in anticipo per le notti così. Poi parte l’antiaerea. Il suono alla fine non è così spaventoso, anzi è il suono della speranza che quei missili lanciati dai russi carichi di morte verranno abbattuti fuori dai centri abitati. In una di queste notti leggo che il missile si sta dirigendo verso Brovary. Alcune ora prima ero stata lasciata sotto casa da una coppia di amici che si stava dirigendo a casa loro, a Brovary, una cittadina poco fuori di Kyiv. Il giorno dopo leggo su Facebook che hanno sentito tutto e che i missili sono caduti non tanto distante da casa, dove vivono con tre figlie. Quella notte, però, i missili hanno portato via la vita di un padre e un figlio. Penso ai funerali che si svolgeranno in quella città nei prossimi giorni. Il padre accanto al figlio.     

Nel girare in città vengo anche bloccata qualche volta dal traffico, non mi succedeva dal 2021! Kyjiv è tornata viva, addirittura con il suo solito traffico. Dalla finestra del taxi vedo la vetrina del negozio “Voentorg”, vende equipaggiamento militare, e nello stesso palazzo vedo la vetrina di un negozio di abbigliamento da donna, e penso che sia la migliore immagine per descrivere questa Kyjiv e questa Ucraina. La vita e la morte che camminano accanto. Ma la cosa di cui sono certa è che la vita in questa città, e nella altre città ucraine, ha già vinto: nessun soldato russo, nessun missile russo, nessun avanzamento la potranno mai distruggere. La vita ha vinto sulla morte. 

I miei colleghi mi parlano del concetto di “reinventarsi”, «ci siamo reinventati nelle nuove condizioni di vita, in questa nuova realtà». Adattati no, perché nell’adattamento c’è un senso di rassegnazione. Reinventati sì, invece. E quindi facciamo la scorta di power bank per l’inverno, abbiamo comprato più vestiti per averne sempre puliti, visto il lusso dell’elettricità per usare una lavatrice, asciughiamo i capelli con l’aria, leggiamo più libri cartacei, andiamo a lavorare nei co-working e nei bar, ci permettiamo le uscite al ristorante e ai concerti, sempre vicini a un rifugio, dormiamo quando si può dormire, ma non ci arrendiamo mai.

Mi preparo alla partenza con un’enorme valigia piena di libri, vestiti di designer ucraini, qualche regalino per gli amici italiani. Comincio un viaggio di ritorno lungo come quello che ho fatto per arrivare. Nel treno ci sono tante famiglie con figli che rientrano nelle varie città d’Europa per iniziare la scuola dopo le vacanze passate in Ucraina. L’Ucraina diventa il posto delle vacanze estive per tante famiglie sfollate.

Dopo aver superato il confine polacco, in treno spengo tutte le notifiche per recuperare il sonno perduto in un mese, e per non spaventare gli abitanti di Berlino e di Milano. Ma la guerra non si spegne, continua a viaggiare con me, dentro di me.

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