Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – «Forse sarebbe bastato un metro più avanti e saremmo stati salvi, ma un’onda d’acqua improvvisa è arrivata giù dalla collina. E ci ha portati via». L’intervista rilasciata al Corriere della Sera dal fratello della vittima dell’alluvione a Botteghino di Zocca, a una mezz’oretta di auto dal centro di Bologna, è un pugno nello stomaco accompagnato da un avvertimento: potrebbe succedere a chiunque, e nessuno è davvero al sicuro in un Paese iper-cementificato in cui, dati Ispra alla mano, quasi il novantaquattro per cento dei Comuni è considerato a rischio frane, alluvioni e erosione costiera.
Le alluvioni stanno diventando un leitmotiv a cui non possiamo e non dobbiamo abituarci, nonostante gli inquietanti scenari futuri delineati dalla scienza del clima. Quando perdi il conto, significa che la situazione sta degenerando. L’Emilia-Romagna, prima Regione d’Italia per cementificazione nelle aree a rischio alluvione, è finita sott’acqua per la quarta volta nel giro di un anno e mezzo; nella seconda metà della scorsa settimana ci sono stati allagamenti in tutto il Centro-Nord, ma anche in territori in preda a siccità strutturali come Calabria e Sicilia.
Al netto dei danni dovuti alle precipitazioni violente, molte zone d’Italia e del mondo stanno attraversando mesi insolitamente piovosi. Si tratta però di scenari meteorologici che non necessariamente seguono l’attuale trend climatico, che spiegheremo nei paragrafi successivi. Sta piovendo tanto, dicevamo. A Milano, per esempio, da gennaio a settembre sono caduti 1.350 millimetri d’acqua, contro una media annuale compresa tra i 970 e i mille millimetri. Allargando il campo visivo, in un Paese come la Germania sono stati registrati in media 1.070 litri di pioggia per metro quadrato da luglio 2023 a giugno 2024, contro una media di 789 litri nel periodo 1961-1990. In Inghilterra, i diciotto mesi fino a marzo 2024 sono stati i più piovosi da quando esistono le rilevazioni.
Che il cambiamento climatico di origine antropica abbia un rapporto diretto con l’intensità e la frequenza degli eventi meteorologici estremi – spesso strettamente connessi alle piogge – è ormai assodato. È sufficiente consultare qualsiasi paper o report di un ente specializzato: secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, per esempio, i fenomeni come le alluvioni o gli uragani sono quintuplicati dal 1970 al 2019. Ora, la domanda che dobbiamo porci riguarda il nostro “domani”. Dal punto di vista climatico, sappiamo che le ondate di calore aumenteranno assieme alla siccità, ma non ci sono ancora certezze in merito all’andamento futuro delle piogge.
Allo stato attuale, spiega Antonello Pasini, fisico del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), «in Italia sappiamo che in media stanno diminuendo i giorni di pioggia, ma la quantità d’acqua annuale rimane più o meno stessa: piove di meno, ma le precipitazioni sono più intense». La situazione sta cambiando a seconda dei territori: «Al Centro-Sud diminuiscono i giorni di pioggia totali e diminuisce anche la pioggia totale. Ma al Nord Italia non si notano particolari variazioni nella quantità totale», aggiunge. Quello che abbiamo descritto è uno scenario climatico, quindi fondato su osservazioni meteorologiche pluridecennali, non annuali o biennali. Meteo e clima sono due cose ben diverse.
Secondo i ricercatori statunitensi del National center for atmospheric research, che hanno analizzato i dati meteorologici del periodo 1921-2015, le precipitazioni sono aumentate nelle zone settentrionali di Asia e Europa, oltre che in Nord America; nelle regioni centrali di Usa, Asia e Europa è stata invece registrata una diminuzione significativa. A livello globale, puntualizzano gli accademici, le precipitazioni crescono – seppur in maniera non uniforme – dell’uno-due per cento per ogni grado in più di temperatura atmosferica. Il motivo principale riguarda la maggiore evaporazione di oceani e mari sempre più caldi.
Le temperature elevate delle acque del Mediterraneo, infatti, sono alla base delle violente perturbazioni che stiamo sperimentando ultimamente in Italia o in Francia: «Un mare più caldo è un mare che evapora di più. Come dico sempre io, le molecole di vapore acqueo sono i mattoni su cui si costruiscono le nuvole: c’è più materiale per formare le nubi, e dalle nubi prima o poi cade la pioggia. È anche qui che si vede lo zampino del cambiamento climatico», spiega Antonello Pasini.
Ma anche la temperatura dei terreni, dunque non solo dei mari, può avere un impatto sulla formazione delle piogge. Secondo l’esperto, «all’Equatore, dove il suolo è sempre più caldo a causa del sole molto alto nel cielo, nascono le cosiddette celle convettive (aria calda che sale, ndr) e si creano i temporali più forti del mondo, con nubi altissime che scaricano una quantità notevole d’acqua. Tant’è vero che l’Africa, in quella zona lì, è piena di foreste pluviali tropicali». Il risultato, sottolinea Pasini, è che «si sta spostando verso nord una linea chiamata “zona di convergenza intertropicale (Itcz)” (vedi immagine qui sotto, ndr)», trasferendo questi violenti temporali in aree – come la fascia del Sahel, in Africa – dove la popolazione non è minimamente pronta ad affrontare quantità d’acqua simili. Piove tanto in regioni dove negli scorsi decenni non pioveva mai.
First floods in the Sahara in half a century
— Science girl (@gunsnrosesgirl3) October 12, 2024
La domanda giusta, quindi, non è: “In futuro pioverà di più?”, bensì “In futuro come cambieranno le precipitazioni?”. Il riscaldamento globale di origine antropica, dice il fisico del Cnr, sta rivoluzionando «il modo in cui le piogge si distribuiscono nelle varie stagioni». Il problema è che la climatologia non sa ancora come prevedere bene questi fenomeni, soprattutto nei Paesi geograficamente complessi come l’Italia. Ma l’intelligenza artificiale potrebbe cambiare le carte in tavola.
Per avere uno scenario futuro affidabile, racconta Pasini, «bisogna utilizzare metodi basati sull’intelligenza artificiale e modelli ad altissima risoluzione. Solitamente, i modelli climatici non sono ad alta risoluzione, perché girano per cent’anni, duecento anni, e non c’è il tempo di calcolo per affinarli. L’alternativa sono i modelli regionali, oppure – come dicevo – l’IA. Insomma, le precipitazioni sono più difficili da cogliere dal punto di vista climatico, ma dal punto di vista meteorologico è la stessa cosa».
Tra Alpi e Appennini, l’Italia è un Paese sfidante e intricato per chi di lavoro fa il meteorologo. A volte, se ci pensate, le condizioni cambiano sensibilmente tra un versante e l’altro di una montagna: «In quello sopravento (direttamente colpito dal vento, ndr), il vento orizzontale sbatte contro il rilievo montuoso e poi sale forzatamente; a quel punto il vapore acqueo condensa e si creano le nubi. Nel versante sottovento (al riparo dal vento, ndr), invece, l’aria scende e quindi si dissipano le nubi», conclude l’esperto del Cnr. Le differenze tra i rilievi montuosi spesso non vengono colte dai modelli attualmente a disposizione, che nel loro campo visivo non fanno distinzioni.