Povero GiuseppiConte le prova tutte per tornare a Palazzo Chigi, ma è senza speranze

L’avvocato vuole tentare l’impresa impossibile di tornare a governare: il suo elettorato è sempre più piccolo e Schlein è l’unico volto possibile del centrosinistra. C’è anche l’ipotesi di buttarsi a destra, ma quella è terra di Meloni. Per lui non c’è spazio da nessuna parte, ed è un bene per l’Italia

Lapresse

Povero Giuseppi! Se la sua unica ambizione in questa fase della vita è tornare a Palazzo Chigi, be’, non deve leggere questo articolo. Perché come la metti la metti, per lui si tratta di un obiettivo irraggiungibile. Per il centrosinistra, nella sfida a Giorgia Meloni, correrà Elly Schlein: per la buona ragione che il Partito democratico è il partito più forte – e nel partito non c’è chi voglia o possa farle le scarpe – e ragionevolmente questo è un dato che non è destinato a cambiare.

L’avvocato oggi è sul dieci per cento, con forti probabilità di scendere se, come appare probabile, Beppe Grillo gli tirerà lo scherzetto di fare un altro partito più in linea con il Movimento prima maniera, fregandogli un due-tre per cento, chi può dirlo adesso. Così che il partito di Conte sarà ridotto alle dimensioni di un bel cespuglio (lui aborre questa parola, ma è così) più o meno delle dimensioni di Alleanza Verdi e Sinistra (Avs), con cui ipotizza un accordo politico e chissà se anche elettorale: ma, anche sommati, i rossoverdigialli – mamma mia – difficilmente potrebbero arrivare anche solo alla metà dei voti di Schlein.

Tutto questo Conte lo sa benissimo, e infatti ha avuto un’altra bella pensata: le primarie del “campo largo” per scegliere il candidato premier. Ma anche in questo caso avrebbe la sorte segnata: perderebbe. Perché stante la sproporzione di forza tra i dem e la sinistra populista Fratoianni-Conte non si vede come concretamente l’avvocato potrebbe battere la leader di un partito come il Partito democratico, che con tutti gli acciacchi, malgrado abbia solo diciassette anni, resta pur sempre una macchinetta di guerra. Né può seriamente pensare, Conte, che «la gente non vede l’ora di rivedermi a Palazzo Chigi» – frase che gli è stata attribuita – anche considerando il tasso di autostima che confina con la megalomania.

Lui punta a un indebolimento della segretaria dem a partire dalle elezioni in quella Liguria dove ha montato un casino enorme ai danni di Matteo Renzi, una mossa che ha creato problemi nel disorientato elettorato del centrosinistra, e quindi una sconfitta di Andrea Orlando sarebbe anche addebitabile alle sue bizze antirenziane.

Perché alla fine c’è sempre il leader di Italia Viva nei suoi incubi: ora si è fissato su un patto segreto tra Elly e Renzi ai suoi danni. Forse sono i contiani del Partito democratico, che poi è solo Goffredo Bettini, a insufflargli queste sciocchezze, ma vero è che in eventuali primarie Renzi – e probabilmente Riccardo Magi e Carlo Calenda (anche se non è affatto detto che Azione vi parteciperebbe) – voterebbero per Schlein.

C’è infine una terza possibilità che, data l’attitudine trasformista dell’uomo, Giuseppe Conte possa trasferirsi armi e bagagli nell’altro campo, a destra (con la quale flirta spesso e volentieri, vedi Rai) magari sfruttando il vento reazionario alzato da una vittoria dell’amico Donald Trump. Ma è quasi superfluo ricordare che la destra la sua campionessa ce l’ha, e forte, si chiama Giorgia Meloni. Che cosa resta? Un governo di larghe intese che lui, ex premier, potrebbe guidare? È un’ipotesi dell’irrealtà. Sia perché l’unità nazionale non la vuole nessuno; sia soprattutto perché un governo di quel tipo sarebbe per forza presieduto da una figura alta. Che non è esattamente la sua.

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