Riflesso condizionatoSe l’Europa si vota al caos fa solo il gioco di Trump e delle forze populiste

A Bruxelles, popolari e socialisti stanno abbattendo l’intesa democratica suggerita dalle urne a giugno. I leader responsabili dovrebbero reagire, ma alcuni, a partire da Elly Schlein, non sembrano così decisi a sposare una linea fortemente europeista

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Quello che si è mosso con epicentro Mar-a-lago è un movimento tellurico planetario. Ogni giorno si registra una scossa in questo senso. Mentre Donald Trump va formando una squadra di governo agghiacciante – si legga la descrizione che ne ha fatto qui Christian Rocca – l’Europa si auto-sgretola per responsabilità innanzi tutto dei popolari di Manfred Weber, che a Bruxelles si stanno spostando a destra, e il vento che soffia dagli Stati Uniti potrebbe sospingerli ancora di più in quella direzione.

Il gran trambusto che stanno facendo contro la socialista Teresa Ribera, indicata dai socialisti come una dei vicepresidenti della Commissione europea ne è un segno evidente. Ci torneremo. In generale, è impossibile non condividere l’analisi di Cécile Prieur, direttrice editoriale di Nouvel Observateur: «La vittoria di Trump è un colpo fatale ai fragili equilibri geopolitici derivanti dalla Seconda Guerra Mondiale e alla speranza che gli Stati Uniti restino il modello della democrazia occidentale. Con l’uscita dalla pax americana stiamo entrando nell’isolazionismo e nell’era del populismo nazionale, che prospera incessantemente sull’esasperazione di coloro che sono rimasti indietro dalla globalizzazione. Dalla Brexit alla rielezione di Trump, dalla vittoria di Giorgia Meloni in Italia alla crescente influenza dell’ungherese Viktor Orbán in Europa, le forze illiberali stanno affermando la loro egemonia in Occidente, mettendo profondamente in discussione il patto sociale e i fondamenti dello Stato di diritto».

La Francia è scampata per un pelo dalla vittoria di Marine Le Pen, che comunque appare l’arbitra del quadro politico francese, mentre la Germania di Olaf Scholz, probabilmente il leader più incapace della lunghissima storia della socialdemocrazia tedesca, va dritta verso elezioni che ricacceranno la sinistra all’opposizione.

In un quadro radicalmente mutato nella notte del 5 novembre, i popolari e in parte i socialisti stanno pensando bene di distruggere l’intesa democratica scaturita dalle urne europee a giugno. È chiaramente un atteggiamento irresponsabile. Proprio davanti al proposito trumpiano di marginalizzare politicamente ed economicamente l’Europa e di sbriciolarla come soggetto unitario, Bruxelles che fa? Si sbriciola e non per mano dei sovranisti, ben contenti della crisi delle famiglie democratiche, ma per un riflesso identitario di queste ultime. Così che la debole Ursula von der Leyen non riesce a spegnere il fuoco incrociato popolari-socialisti, con i primi che non vogliono dare la vicepresidenza a Ribera, per farle pagare un assurdo dazi per il disastro di Valencia, e i secondi che si vendicano bombardando Raffaele Fitto.

Un pasticcio che solo un minimo di senso di responsabilità dei leader può risolvere. Il Partito democratico è rimasto intrappolato in questo duello tra tedeschi e spagnoli: inizialmente favorevole alla nomina di Fitto, seppure con i soliti mal di pancia, si è dovuto spostare sulla posizione dura contro l’ex ministro del governo Meloni. Ma non si sfugge alla sensazione che Elly Schlein non sia affatto contraria a fare saltare tutto l’impianto politico che sottostà alla Commissione von der Leyen: per lei ogni segnale di ostilità a Meloni val bene una messa, come se dentro di sé coltivasse la tentazione del tanto peggio tanto meglio, dentro una visione totalmente antagonista dei rapporti politici.

Il prezzo che si rischia di pagare a questo estremismo psicologico prima ancora che politico può essere alto. La questione europea non è evidentemente nelle mani della sola Elly Schlein. Ma sta a lei schierare il Partito democratico su una linea europeista, per quanto possibile, isolando i duri e puri e tentando per questa via di salvare la Commissione europea. Ursula von der Leyen non è Mario Draghi, l’uomo che più che mai ora ci vorrebbe, come abbiamo scritto su Linkiesta, ma è pur sempre meglio del caos. Che è esattamente quello per cui si lavora a Mar-a-lago.

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