Sulla funeL’impossibile equilibrio di Meloni tra Occidente e galassia sovranista

Il prossimo arrivo di Trump alla Casa Bianca impedirà al governo di difendere sia le posizioni della destra orbaniana sia gli interessi della vecchia Europa. Ora la premier è chiamata a un’acrobazia molto complicata, oppure a scegliere davvero da che parte stare

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Il viaggio nelle capitali sudamericane e il G20 di Rio de Janeiro stanno offrendo a Giorgia Meloni lo spettacolo plastico di quello che sarà il campo occidentale, e quello europeo in particolare, con l’arrivo del tifone Donald Trump alla Casa Bianca. E quanto difficile sarà l’ambizione del suo ruolo, sempre in bilico tra adesione ideale ai sovranisti di tutto il mondo, riuniti alla corte della diarchia Trump-Musk, e gli interessi della povera Europa vaso di coccio. Se la premier italiana si accoderà a Viktor Orbán, nel rappresentare la nuova amministrazione americana, perderà il peso politico specifico, mancando l’occasione di agganciare il Partito popolare europeo di Friedrich Merz (prossimo Cancelliere tedesco) alla guida del Vecchio Continente. Il timore (fondato) è che ciò non avvenga, e che a perderci sarà anche l’Ucraina, oltre che l’Italia.

Non c’è niente di più assurdo di quanto sostiene Matteo Salvini, secondo il quale il ritorno al potere di Donald Trump è un’ottima notizia per «l’interesse nazionale italiano». Se il programma trumpiano verrà attuato, dovremo sottrarre risorse al mantenimento dello Stato sociale e pomparle nella difesa europea, con un contributo finanziario crescente alla Nato orfana di Washington. Subiremo le ricadute dei dazi sulle importazioni, penalizzando il nostro export agroalimentare, tessile, manifatturiero e dell’automotive. Se il Piano Draghi non verrà messo in pratica (e con i venti che soffiano a Bruxelles la speranza è minima), l’Europa, stretta dal patto di stabilità, non avrà gli strumenti per gestire la nuova situazione.

Per non parlare poi della gestione dei rapporti con Vladimir Putin e delle nomine al vertice dell’amministrazione statunitense. La più scioccante è quella della direttrice dell’intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, una conclamata filoputiniana anti-Ucraina che fa impallidire Salvini e l’ex generale Roberto Vannacci. Un pericolo per gli Stati Uniti, e per la sicurezza europea.

Le ottime notizie di cui straparla Salvini sono dettate da un furore ideologico in cui eccelle Javier Milei, che Meloni incontra oggi a Buenos Aires dopo il G20 del Brasile. Il presidente argentino, di casa nella residenza trumpiana di Mar-a-Lago, ha iscritto la premier italiana nell’esercito dei paladini occidentali che avrebbe come avanguardia a Nord gli Stati Uniti, al Sud la sua Argentina e l’Italia nella vecchia Europa. Più «Israele come sentinella nella frontiera in Medio Oriente». Ecco, Meloni a Rio de Janeiro sta toccando con mano quando sarà diffide gestire un mondo contrapposto tra progressisti e sovranisti. Sta verificando quali sono gli effetti dello scontro tra Milei e il brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva. Due visioni opposte del Sud America e del mondo che si sono misurate nei dettagli delle conclusioni finali del G20. È solo l’antipasto di quello che accadrà nelle future relazioni fra le due sponde atlantiche.

Per Meloni sarà una continua acrobazia in mezzo all’oceano, e un equilibrismo pericoloso sulla fune anti-europea tesa di Orbán.

Adesso le metamorfosi non servono più, gli sguardi languidi di Elon Musk nemmeno. Meloni rimpiangerà i baci in fronte di Joe Biden. Trump cercherà di farle indossare a forza il berrettino di Maga, che già Salvini porta orgogliosamente e che Antonio Tajani detesta. Speriamo nell’effetto che il colore rosso ha sempre avuto su di lei. Ma di questi tempi le speranze sono vane.

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