Con dieci mesi di ritardo, il ministero della Salute ha pubblicato il report annuale relativo all’applicazione della legge 194/78 per l’anno 2022 in materia di aborto, insieme alle tabelle regionali. E lo ha fatto solo in seguito di due interrogazioni parlamentari per ottenere le tabelle mancanti. La legge prevede infatti che il report annuale venga pubblicato «entro il mese di febbraio». Dall’introduzione della legge 194/78 sono passati quarantasei anni e «questi scarti temporali erano giustificabili quando dovevamo fare una raccolta cartacea – commenta Chiara Lalli, giornalista e bioeticista, autrice insieme a Sonia Montegiove del libro “Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere” (Fandango, 2022) –. Oggi questo ritardo è inammissibile. L’ostacolo non è tecnologico, è politico, d’intenzione, e riguarda anche l’incapacità di gestire una tecnologia».
Prima della pubblicazione dei dati sul sito ministeriale Lalli e Montegiove avevano richiesto gli accessi civici alle strutture italiane che praticavano Ivg, per capire, nella pratica, come veniva applicata la legge 194/78. Oltre ad essere vecchi i dati erano (e sono anche nell’ultimo report) aggregati per medie regionali, il che rende difficile reperire informazioni precise sulle singole strutture, come il numero di obiettori di coscienza, i tempi di attesa, i numeri delle richieste, o la mobilità. «Se tu mi inviti a casa tua e mi mandi una mappa vecchia, o la mappa del quartiere invece dell’indirizzo, noi come ci incontriamo?», commenta Lalli.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), definisce la carenza di informazioni adeguate in materia di aborto una lesione del benessere delle donne. «Fare della salute per tutti una realtà richiede che tutti gli individui abbiano accesso a un servizio sanitario di qualità, inclusi i servizi completi di assistenza all’aborto – che includono l’informazione, la gestione dell’aborto, e le cure dopo l’interruzione di gravidanza. La mancanza di accesso a tali cure sicure, accessibili, tempestive e rispettose mette a rischio la dimensione fisica, mentale, e sociale del benessere delle donne […]. Assicurare che donne e ragazze abbiano accesso a servizi di assistenza all’aborto che sia basato su evidenze – il che include essere al sicuro, rispettate e non discriminate – è fondamentale per soddisfare gli obiettivi legati al raggiungimento della parità di genere».
Avere informazioni accessibili, facilmente reperibili e consultabili, insieme a dati di qualità rientra nel diritto a ricorrere a Ivg, perché – continua Lalli – «se non possiamo neanche parlarne, allora, come è possibile fare un discorso pubblico sensato?». La giornalista racconta della sua esperienza di reporting all’interno di alcune strutture, in particolare del Policlinico Umberto Primo di Roma, il più grande ospedale in Europa per area occupata e la terza struttura ospedaliera italiana per capienza. «Il reparto Ivg era una specie di scantinato, in cui non sai bene come arrivare. Una cosa che se ci fosse una logistica della vergogna sarebbe quella».
L’articolo 9 della legge 194/78 afferma che il personale sanitario non è tenuto a prendere parte alle procedure riguardanti gli accertamenti medici. «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale». La legge, quindi, prevede che il personale sanitario non si frapponga nella relazione tra la paziente e il medico curante, ma questo spesso non si traduce nella sua applicazione, e crea incertezza nella tutela del diritto.
Per poter esercitare un diritto bisogna essere nella condizione di potersi informare a riguardo. E la difficoltà nel reperire informazioni aggiornate e affidabili, è lo specchio di una società che non ha ancora fatto i conti con lo stigma intorno all’interruzione volontaria di gravidanza. Storicamente la legge 194 è un diritto che nasce da un compromesso politico, tra gruppi femministi e realtà cattoliche, che ad oggi però rimane tale solo sulla carta. «Si tratta di una legge fumosa, dalle trame molto larghe – commenta Federica Di Martino, psicoterapeuta e divulgatrice su tematiche legate all’aborto, conosciuta su Instagram per la sua pagina Ivg ho abortito e sto benissimo –. In Italia l’aborto è una questione soprattutto culturale, è un tema di cui le persone non parlano: non raccontano pubblicamente di aver abortito perché è uno stigma sociale, che poi viene interiorizzato». Le conseguenze di questo stigma si traducono poi in un’odissea per le donne, che per esercitare un diritto si imbarcano in avventure per ottenerlo, spesso affrontando migrazioni intra ed extra regionali.
Secondo i dati riportati dal Ministero della Salute per l’anno 2022 in Italia il 60,7 per cento dei ginecologi sono obiettori di coscienza, e il fenomeno è più forte nel sud Italia, con il Molise che registra il 90,9 per cento, seguito da Sicilia (81,5 per cento), Basilicata (79,2 per cento) e Puglia (77,9 per cento). Per molte donne, per esercitare il diritto a ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, l’unica scelta è quella di migrare in altre regioni. Ci sono poi le persone con background migratorio che non ricevono sostegno nell’affrontare la procedura; e donne costrette a cercare informazioni e subire la violenza istituzionale sanitaria pur di raggiungere quel diritto. «Tu chiami per chiedere delle informazioni riguardo ai servizi Ivg e pare che gli stai chiedendo un favore, o delle cose private», racconta Lalli.
«Quello che noi vediamo da parte dello Stato e delle istituzioni è una vera e propria violenza che viene esercitata sui diritti riproduttivi, e sulla scelta delle donne. Per quanto si ripeta che in Italia l’aborto è una scelta libera, nei fatti continua a non esserlo – commenta Di Martino –. Gli spazi che dovrebbero essere di accoglienza poi diventano degli spazi di giudizio». Di Martino racconta di come i discorsi intorno all’aborto siano pregiudicati dalla possibilità, oggi, di ricorrere a contraccettivi «non considerando due cose fondamentali: che hanno dei costi e questi costi non vengono ammortizzati, ma anzi subiscono delle variazioni; e soprattutto non si parla della corresponsabilità maschile rispetto alla gravidanza, e alla responsabilità contraccettiva, anche in termini economici. Si parla tanto di gender gap lavorativo, ma non di quello che è il gap che investe le donne rispetto alla contraccezione». Oggi i punti di riferimento sono reti, associazioni e piattaforme di mutualismo dal basso «lo siamo noi, ma dovrebbe essere lo Stato», chiude Di Martino.
«L’accesso ai dati dovrebbe essere un po’ come avere l’acqua potabile a casa – afferma Andrea Borruso, Presidente dell’associazione OnData, che dal 2015 promuove l’apertura dei dati pubblici per renderli un bene comune per tutti e tutte –. Ci sono diverse norme nazionali che hanno l’obiettivo di rendere i dati un bene comune». Borruso sottolinea l’importanza di avere informazioni di qualità, aggiornate, di dichiarare i modi in cui sono raccolte, e i criteri con cui vengono riportate. «Sono un elemento imprescindibile per ottimizzare il funzionamento delle istituzioni e dei servizi pubblici – continua il presidente –. L’ultimo report Ivg è un viaggio nel tempo: sono i dati nel 2022. È possibile guardare a un fenomeno che è passato?».
Il diritto a una libera informazione, in Italia, non è vissuto come tale, soprattutto quando riguarda tematiche come l’aborto. «Il diritto a essere informati è qualcosa che tutte e tutti dovremmo pretendere – continua Borruso –. È un problema culturale, come se queste informazioni fossero quelle dei peccatori. Ma le questioni personali le valuta il singolo, intanto però bisogna garantire un servizio accessibile». Per trasferire informazioni e segnalazioni in merito al rispetto delle leggi che riguardano lo stato di applicazione della Legge 194/78 l’associazione Soccorso Civile col sostegno dell’associazione Luca Coscioni, ha promosso Freedomleaks, una piattaforma per raccogliere informazioni riguardanti il rispetto delle leggi che riguardano i diritti e la libertà delle persone, in maniera sicura, riservata, anonima.
Raggiungere una persona che ti ha invitato a casa sua, senza darti indicazioni chiare, è un percorso a ostacoli: incontri l’imbarazzo di citofonare alla porta sbagliata, il disorientamento nel chiedere indicazioni, il tempo perso girando a vuoto e i soldi spesi per la benzina. Se ti hanno detto che eri benvenuta, perché non ti hanno dato gli strumenti per farti arrivare? Volevano che ci arrivassi davvero?