La stabilità del governo italiano è un dato oggettivo, tanto che le opposizioni non si pongono nemmeno lontanamente l’obiettivo di rovesciare Giorgia Meloni, rassegnandosi ad aspettare le elezioni del 2027. Ma di qui a teorizzare una superiorità della nostra premier rispetto al resto del mondo è un pochettino, diciamo così, forzato. Si tratta di un’illusione ottica.
Il caso ha voluto che, a fronte della stabilità italiana, Germania e Francia stiano sbandando forte, ma è una pura coincidenza temporale. Peraltro è probabile che nei prossimi due o tre mesi sia Berlino sia Parigi riusciranno a risolvere il problema della loro governabilità (più facile per la Germania che a febbraio avrà verosimilmente un governo a guida popolare, mentre la Francia deve prima trovare le modalità per formare un governo decente). Se poi la situazione internazionale dovesse almeno in parte tranquillizzarsi (Ucraina) e se Donald Trump non romperà le regole commerciali e politiche mondiali, ecco che la piccola Italia tornerebbe a essere tale. Le moine di Giorgia Meloni saranno contorno.
Poi certo che da noi la situazione è stabile. Il fatto che il centrosinistra consideri il quadro politico come immutabile è un esercizio di realismo, ma non aiuta ad accelerare la messa a punto di una strategia seria, e tanto meno scalda i cuori dei suoi elettori, preda di un invincibile sentimento di rassegnazione.
Di sicuro c’è che il centrosinistra oggi è poco oltre il trenta per cento – Partito democratico e Alleanza Verdi-Sinistra – mentre il blocco di governo è quasi al cinquanta: non c’è partita. Il restante venti per cento è nebulizzato, gassoso. Il Movimento 5 stelle è invalutabile e soggetto a turbolenze derivanti dai probabili futuri attacchi di Beppe Grillo a Giuseppe Conte: ma già dire quanto valga il Movimento sempre più trasformista è impossibile. Come è aleatorio annoverare Conte nel “campo”: è probabile che l’accordo si troverà, se si troverà, solo alla vigilia delle elezioni. Quindi quella del “campo” sarà per forza di cose un’alleanza dell’ultimo minuto, abborracciata, un accordo tra stati maggiori senza radici nella società, mentre a destra si presenterà un’alleanza trentennale ben incistata nei meandri del potere.
Tutto questo è responsabilità dell’avvocato Conte, che in futuro si muoverà sempre più per indebolire la leadership di Elly Schlein, la quale ha il non piccolo problema di superare i confini dello zoccolo duro del ventitré-ventiquattro per cento – insufficiente a fare del Partito democratico un competitor insidioso per Fratelli d’Italia.
A completare un quadro molto poco esaltante c’è il perdurante letargo politico dell’ex Terzo Polo, che potrebbe in teoria puntare a un dieci per cento, consensi virtuali che in assenza di un progetto credibile rischiano di finire a destra. Ma quando si svegliano?
Se questa è la situazione, è chiaro che Giorgia Meloni può dormire sonni tranquilli: basta fare la discepola di Giulio Andreotti tirando a campare per restare salda a Palazzo Chigi. Di fronte ai problemi di Francia e Germania, l’Italia viene raccontata come una superpotenza, anche grazie al fatto che Meloni ha una sua abilità nel riuscire a stare nel posto giusto al momento giusto, come sabato a Parigi dove è riuscita ad agganciare Trump. Tutto fumo che le basta e avanza.
Per il resto, il governo non fa sostanzialmente nulla. Zero. Non c’è crescita né riforme, né soldi da investire (quelli del Pnrr si sono sparsi nel vento di mille interventini invece di essere indirizzati in modo massiccio su tre-quattro cose). La Grande Inerzia meloniana non scontenta gli italiani, almeno quelli che vanno a votare. E dunque questo andreottismo del ventunesimo secolo funziona e può contare, come detto, su un’opposizione slabbrata e evanescente nella sua composizione, che appare sempre un poco stanca e in ritardo, incapace di darsi una strategia efficace. Il Paese galleggia, come dice il Censis, proprio come il governo Meloni. E ovviamente il centrosinistra. E andrà avanti così, mentre il mondo cambia e corre.