L’invasione che non c’è Gli alibi inesauribili di Meloni per giustificare il fallimento del centro migranti in Albania

Il governo dipinge i magistrati come politicizzati e animati da un’agenda ideologica, usandoli cinicamente come capro espiatorio per non ammettere di aver ideato (e attuato) una riforma pasticciata, contraria al diritto europeo

LaPresse

È sempre colpa di qualcuno se la politica di contrasto all’immigrazione non funziona, se il centro in Albania è vuoto e sta servendo a raccogliere cani randagi. È colpa delle «zecche rosse», come Matteo Salvini chiama i magistrati, che hanno fatto rientrare in Italia quelle decine di migranti trasferite Gjader. C’è sempre un complotto anti-italiano che impedisce a Giorgia Meloni di portare avanti quello che lei definisce «un progetto innovativo preso a modello dalla quasi totalità dei Paesi europei». La presidente del Consiglio non si rassegna al fallimento su un tema redditizio dal punto di vista dei consensi e che affonda in un sentimento populista e xenofobo. Gli alibi che costruisce la destra sembrano per il momento funzionare, ma tali rimangono. 

Meloni ora aspetta che la Corte di Giustizia europea le dia ragione. Se Lussemburgo non dovesse darle soddisfazione, sarebbe pronta ad altre soluzioni. Non svela quali. L’indiscrezione (non confermata) che gira è che quel centro possa diventare una prigione per albanesi detenuti in Italia. Sarebbe veramente una cosa assurda e altrettanto impraticabile dal punto di vista giuridico e giudiziario. La presidente del Consiglio mostra i muscoli, e va in battaglia contro i magistrati delle sezioni per l’immigrazione dei tribunali che le hanno impallinato il trasferimento dei migranti. 

Addirittura nel governo si è diffuso il sospetto che i magistrati facciano a gara per andare a lavorare in queste sezioni immigrazione per interdire il progetto di fermare l’invasione-che-non-c’è. Come se i migranti, prima di scappare dalle guerre e attraversare il deserto e mezzo mondo, calcolassero il pericolo di finire in una landa desolata in Albania. Sempre che siano informati che questa sarà la loro triste sorte. Magari sono più informati del fatto che non ci sono accordi per il rimpatrio tra l’Italia e il loro Paese. Ma se i tribunali sono un covo di comunisti, allora meglio starne alla larga e spostare la competenza alle Corti d’Appello, come se non avessero altro da fare e non fossero già oberati di lavoro. 

La mossa disperata del cavallo è contenuta nel decreto flussi approvato definitamente in questi giorni. Su di esso il Consiglio superiore della magistratura ha espresso parere negativo, ma non è vincolante per il governo che nel decreto elenca i «Paesi sicuri» in cui rimpatriare i migranti irregolari fra i quali Bangladesh, Egitto e Marocco. Come ha sottolineato il Csm, a giudicare saranno «magistrati privi delle competenze necessarie»: con il provvedimento «si incrina il consolidato assetto giurisdizionale in tema di convalida dei trattenimenti». Ma qualunque cosa dica il Csm è vissuto a Palazzo Chigi e dintorni come un attacco al potere politico e legislativo, un’invasione di campo di una minoranza politicizzata del potere giudiziario. 

Intanto il centro albanese è vuoto, una costosa cattedrale nel deserto. Però un risultato Meloni e Salvini lo hanno raggiunto: hanno dato ascolto al leader tecno-populista  d’oltreoceano. Elon Musk aveva dato la linea con tweet dopo la sospensione del trattenimento dei primi migranti portati in Albania. «These judges need to go». Detto fatto Intanto a Gjader abbaiano i cani in quella che Matteo Renzi ha definito «una delle più grandi buffonate che si potessero pensare». 

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