Tempi duri per lo sport, in ogni sua variante. Dalla pallavolo al rugby fino al calcio, le federazioni hanno preferito interrompere tutte le attività rispettando le norme imposte dal governo per far fronte all’emergenza sanitaria. Mentre si discute sul taglio dei milionari stipendi dei giocatori di Serie A, nel sottobosco del calcio amatoriale e semi-professionistico la situazione è allarmante. «Il nostro mondo sta attraversando diverse criticità» spiega a Linkiesta Federico Cocchini, responsabile della Unione Italiana Sport Per tutti (Uisp) Toscana. «Il sistema economico aziendale si basa sull’autofinanziamento, sia per quanto riguarda l’iscrizione al campionato sia per la gestione della rosa e degli impianti. Senza contare le entrate derivanti dagli sponsor, che in una situazione simile difficilmente continueranno a esserci».
Nel decreto Cura Italia, tuttavia, sono presenti misure di sostegno anche allo sport. È prevista la cassa integrazione in deroga per i lavoratori dipendenti; l’indennità di 600 euro per autonomi e collaboratori, grazie a una norma specifica inserita nel decreto legge, è stata ampliata per comprendere anche i collaboratori delle società sportive e delle associazioni dilettantistiche e degli enti di promozione sportiva, i quali sarebbero rimasti esclusi per il loro status giuridico.
Mentre per le associazioni e società sportive, professionistiche e dilettantistiche, gli enti di promozione e i soggetti che gestiscono stadi e centri sportivi è prevista la sospensione dei pagamenti dei canoni di affitto degli impianti pubblici, Ma anche dei versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria fino al 31 maggio 2020. Gli stessi versamenti sospesi dovranno essere saldati in un’unica soluzione entro il 30 giugno 2020 o rateizzati fino a un massimo di cinque rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di giugno 2020. Non saranno applicati sanzioni e interessi.
Sarà sufficiente? «La nostra associazione si è già mossa per richiedere nuovi confronti con i vertici del Coni e con il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, in modo da fare emergere tutte ciò che serve all’universo dilettantistico-amatoriale, attualmente sommerse. Si cita solo il calcio, ma come Uisp dobbiamo tutelare anche gli altri sport. Spero che vengano varate altre misure», continua Cocchini.
Nel 2017, ultimi dati disponibili, Il Coni registrava un trend in crescita per gli operatori sportivi del settore, oltre 1 milione, e le società sportive affiliate, 63.517. A queste si aggiungono i centomila centri sportivi italiani, al momento chiusi, dove 20 milioni di cittadini fanno sport ogni giorno. «Noi gestori sappiamo che l’entrata delle quote è un flusso economico vitale per l’esistenza di una palestra o centro sportivo. Senza le quote di frequenza è impensabile andare avanti. Per evitare il rischio, paventato da questa crisi, della chiusura definitiva, occorre trovare dei sussidi» aggiunge Giampaolo Duregon, presidente dell’Associazione Nazionale Impianti Fitness & Sport (Anif).
Un impianto medio-grande in Italia incassa un milione di euro l’anno e spende poco meno. Se consideriamo 2 mesi di chiusura, quindi, le perdite in assenza totale di ricavi ammonterebbero a circa 160 mila euro. «Una società sportiva dilettantistica, attraverso le entrate, deve coprire tutte le spese e se c’è un surplus di gestione, solitamente esiguo, bisognerà reinvestirlo nella società stessa, via via per migliorare l’impianto. Ecco perché un centro sportivo dilettantistico non ha mai scorte economiche per crisi impreviste» conclude Duregon.
L’Italia non è nuova a crack finanziari nel mondo dello sport. Dal 2002 al 2018, infatti, sono fallite 150 società sportive, in contesti storici neppure paragonabili alla crisi odierna. Uno spettro che pesa sulle decisioni del governo che cambiano di settimana in settimana. Spadafora in una diretta Facebook annuncia un fondo da 50 milioni destinato ai collaboratori delle strutture sportive di base, partendo da quelli con un reddito inferiore ai 10 mila euro annui. Per la prima volta, venerdì, il ministro ha ipotizzato una ripartenza delle attività sportive fra 30 giorni, nello stesso giorno in cui il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, aveva annunciato in modo ufficio che gli italiani sarebbero rimasti in casa almeno fino al 16 maggio. Meno di una settimana fa lo stesso Vincenzo Spadafora si era detto molto scettico riguardo a una ripartenza dello sport italiano, e in particolar modo del calcio.
A differenza di molti altri settori, lo sport non può riconvertirsi in modo smart. «Impensabile operare da remoto, così come sono difficili da attuare le misure emergenziali. Concludere i campionati dilettantistici a porte chiuse, vista l’assenza di introiti e diritti tv, non migliorerebbe affatto la condizione delle società. Si potrebbe pensare di chiedere allo stato un implemento della strumentazione tecnologica, così da mandare in streaming i match. Ma anche qui emergerebbe un serio problema di disponibilità che distingue le varie società nel Paese», commenta il responsabile della Uisp Toscana.