Medici anziani, pochi infermieriLa sanità pubblica ha bisogno di personale per resistere e ripartire dopo il virus

La questione delle assunzioni e del numero di dipendenti del Servizio sanitario nazionale si rivelerà quanto mai fondamentale anche negli anni a venire

Tortuga

Questo è il secondo di una serie di articoli scritti dal think tank Tortuga in collaborazione con i data scientist di Buildnn, con l’obiettivo di analizzare, con numeri e parole chiare, la diffusione del Covid-19 e la gestione del Sistema Sanitario Nazionale. Tutte le rielaborazioni e i dati sono disponibili su una piattaforma Open Source creata.

Se la pandemia di Coronavirus ha evidenziato molti dei limiti del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), la qualità e la volontà del nostro personale sanitario si sono mostrati proprio nel momento del bisogno. Le risorse umane sono l’elemento cardine del sistema, da cui dipendono la qualità dei servizi erogati, ma anche gran parte dei costi. In questo articolo, ci focalizzeremo sulla performance di un sistema che presenta delle forti carenze in alcune aree (infermieri soprattutto) e sui problemi creati da una programmazione che ad oggi pare poco attenta alle necessità future. Nel prossimo guarderemo invece ai meccanismi di assunzione sottostanti.

Medici anziani, pochi infermieri 

Secondo i dati Istat, i medici impiegati dal SSN in Italia nel 2017 sono circa 110mila, ma nel 2009 erano 118mila. Un numero affetto da un andamento opposto: infatti, se tra il 2001 e il 2009 si evidenzia una crescita del 4,2%, si registra una diminuzione del 5,4% dal 2009 in poi. Il motivo? La crisi globale e la relativa manovra finanziaria del 2010 hanno imposto un tetto di spesa alla sanità delle Regioni, con un conseguente blocco delle assunzioni per molte regioni, soprattutto quelle che già presentavano dei problemi in bilancio. Per definire meglio la situazione in Italia, anche rispetto agli altri paesi europei, si può osservare il dato relativo al numero di medici per mille abitanti.  Il nostro paese conta 4,0 medici per mille abitanti, rapporto leggermente superiore alla media europea di 3,6 nel 2017. Bisogna però sottolineare come questi siano principalmente medici anziani: oltre la metà ha più di 55 anni. Nei prossimi anni ci si aspetta dunque un forte turnover del personale. Il numero degli infermieri è invece molto inferiore alla media UE, con 5,8 infermieri per mille abitanti in Italia contro gli 8,5 in media in Europa. 

La gestione fortemente decentrata della sanità italiana si riflette poi in forti differenze anche nella gestione delle risorse umane. Dalla Fig.1 emerge una marcata eterogeneità regionale nel numero di medici specializzati tra le regioni, sebbene tutte le regioni presentino un andamento simile, caratterizzato da una lieve tendenza positiva. Inoltre, le differenze relative nel numero di medici si mantengono nel tempo, una dinamica dettata in larga parte dai limiti di spesa imposti dal governo centrale. 

Fig.1 

Lo stesso fenomeno è evidente anche considerando infermieri e professioni sanitarie (Fig.2), sebbene sia evidente un più netto trend crescente in tutte le regioni.

Fig.2

Il numero fa la differenza

Queste differenze giocano un ruolo nella capacità delle regioni di garantire servizi sanitari all’utenza? La capacità di raggiungere gli obiettivi del SSN, come l’aumento dell’aspettativa di vita alla nascita, passa attraverso la performance del sistema, ossia le funzioni effettivamente svolte dal SSN. Proprio la performance in Italia è monitorata attraverso i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), le attività essenziali che le regioni sono tenute a erogare per garantire la tutela della salute, attraverso una griglia che esprime come misura finale un punteggio tra -25 e 225 e che classifica le regioni come adempienti o non adempienti. La non adempienza indica l’incapacità della regione a garantire tutte le prestazioni giudicate essenziali.

Dividendo le regioni ogni anno tra adempienti e non, è possibile comparare il numero di medici specializzati per mille abitanti. La barra orizzontale all’interno di ogni “scatola” (boxplot) indica il numero mediano di medici in ogni sottogruppo. Si osserva come le regioni adempienti presentino un valore più alto di medici specializzati rispetto alle non adempienti quasi in tutti gli anni. D’altronde, la disponibilità di maggiore personale, soprattutto specializzato, si può tradurre nella capacità di offrire maggiori servizi, o minori tempi d’attesa. Una relazione evidente anche considerando il numero per mille abitanti di operatori sanitari. 

Fig. 3

La disponibilità di personale, considerando già il ridotto numero in alcune regioni di medici e soprattutto infermieri, può influire sulla capacità di garantire i livelli essenziali di assistenza. Una corretta programmazione delle risorse umane è quanto più essenziale per la qualità dei servizi erogati.

Il fabbisogno futuro

La questione delle assunzioni e del numero di dipendenti del SSN si rivelerà quanto mai fondamentale anche negli anni a venire. Già prima dell’emergenza Covid-19 gli scenari futuri stimati dagli esperti del settore si rivelavano quanto meno preoccupanti. In particolare, per quanto riguarda il personale medico, siamo di fronte ad una duplice problematica.

Da un lato, un finanziamento pubblico che non mette a disposizione le giuste risorse per il ricambio generazionale della classe medica, considerando il numero insufficiente di borse di specializzazione ed un tasso di turnover ad oggi bassissimo.

Dall’altro lato, un sistema sanitario che, come accennato, rimane ad oggi sostenuto da un personale particolarmente anziano, che andrà massicciamente in pensione nei prossimi anni: nel 2018 quasi il 52% del personale medico aveva più di 55 anni. Negli anni a venire, dunque, la fuoriuscita di personale dovuta a pensionamento sarà ingente. Secondo il Rapporto Osservasalute 2018 si tratterà di 56.000 unità fino al 2030.La questione si fa ancora più grave per il triennio 2019-2022, durante il quale Quota 100 permetterà ad un numero ben maggiore di medici il passaggio al pensionamento. Se sul lungo periodo questo aumento di pensionamenti sarà riassorbito – si tratta semplicemente di anticipare il pensionamento di specifiche coorti –, nel triennio interessato questo aumento potrà risultare critico per due motivi. Da una parte, l’ancor più grave scarsità di personale negli anni interessati. Dall’altra, secondo Anaao Assomed, un sindacato medico italiano, un impatto si avrà anche sul processo di trasferimento di conoscenze: con un minor numero di medici esperti a disposizione, risulterà più difficile passare il testimone ai medici più giovani.

Per quanto detto, dunque, il SSN nei prossimi anni si troverebbe a fronteggiare una forte carenza di personale, se nulla sarà adattato in seguito all’emergenza Covid-19. Anaao Assomed stima che al 2025 si avranno complessivamente circa 17.000 medici specializzati in meno rispetto alle esigenze delle Regioni. La Fig. 3 riporta queste stime per ogni Regione e per ogni area di specializzazione.

Fig. 4

Le Regioni complessivamente più carenti saranno Piemonte e Lombardia al Nord (2004 e 1921 medici mancanti rispettivamente), Toscana al Centro (1793), Puglia, Calabria e Sicilia al Sud e Isole (1686, 1410 e 2251, rispettivamente). Nessuna Regione riuscirà, secondo Anaao Assomed, a soddisfare il disavanzo dovuto alla fuoriuscita di specialisti, fatta eccezione per il Lazio.

È fondamentale vedere dove, stando a queste proiezioni, si avrà il numero più alto di carenze nel 2025, considerando il sistema sanitario nazionale nel suo complesso. In ordine, tra le prime 5 aree di specializzazione troviamo medicina d’emergenza-urgenza (4241 unità nel 2025 in tutta Italia), pediatria (3394), medicina interna (1878), anestesia, rianimazione e terapia intensiva (1523), chirurgia generale (1301). Interessante osservare come due specializzazioni quali medicina d’emergenza-urgenza e terapia intensiva, messe così duramente alla prova in queste ultime settimane di emergenza, risultassero già tra quelle più a corto di personale, secondo queste stime.

Rotte future

Il SSN garantisce al momento un adeguato servizio, seppur con delle forti limitazioni di personale e di spesa. Un sistema al limite tra l’ estrema efficienza nell’uso delle risorse e l’insufficienza. I dipendenti del SSN sono un elemento chiave per garantire la sostenibilità futura di questo bene pubblico. Occorre aumentare il numero di infermieri. Un rapporto FNOPI evidenzia una carenza di 53mila unità per raggiungere il rapporto di 1 medico per 3 infermieri come da standard internazionali, mentre servirebbero circa 157mila infermieri per raggiungere la media UE. 

Il vero campanello d’allarme è l’età avanzata dei medici italiani e i prossimi 20 anni saranno cruciali per garantire il ricambio generazionale. L’attuale meccanismo di assunzione prevede troppi passaggi all’interno delle Regioni, dove le varie aziende sanitarie stimano il fabbisogno sulla base delle necessità locali e della capacità di spesa per poi comunicarli alla Regione. Ogni Regione presenta però un’organizzazione della struttura sanitaria molto differente, che prevede, a seconda del caso, Agenzie, oppure Aziende di coordinamento o dipartimenti regionali a capo della sanità. Vi è poi l’ulteriore passaggio allo stato. Occorre pensare a modalità di programmazione più snelle e concertate. Inoltre, visto l’atteso turnover, l’aumento delle risorse per le borse di specializzazione medica sarà un passaggio chiave per garantire sufficienti flussi in ingresso nel SSN.

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