Non solo pensionatiIl Portogallo ora è la nuova meta di lusso anche per chi fugge dal coronavirus

Da quando il passaporto è diventato una commodity, che si compra e si vende sul mercato libero, molti super ricchi hanno acquistato quelli dei Paesi più permessivi. Tra questi c’è anche lo Stato lusitano, fornito di un ottimo sistema sanitario

L’idea che la pandemia potesse funzionare come una livella tra popoli e classi sociali è durata più o meno ventiquattro ore. Gli effetti del Covid-19 però iniziano a farsi sentire anche sulle scelte e le percezioni dei miliardari in fatto di cittadinanza.  Da più di una decina d’anni il passaporto è diventato una commodity, che si compra e si vende in un mercato libero, legale e fluttuante. In tempo di pace, dominano paesi come Antigua e Barbuda o St. Kitts and Nevis, nei Caraibi: sole, mare e un aeroporto internazionale.

Da quando i numeri del contagio hanno scritto una nuova gerarchia sociale delle nazioni, i super ricchi hanno scoperto un’improvvisa voglia di diventare portoghesi. Merito di una efficace politica di contenimento del contagio, che ha fatto di Lisbona una storia sanitaria globale di successo. Il principale punto di riferimento per questo mercato di nicchia e molto specifico è uno studio legale con sede a Grosvenor Place, Londra, comoda posizione walking distance da Buckingham Palace e Hyde Park.

Gli avvocati di Henley & Partners lavorano sia come consulenti per gli Stati che vogliono mettere in vendita la propria cittadinanza o residenza che per i privati cittadini che vogliono informazioni su come acquistarla. Probabilmente a loro la definizione non piacerebbe, ma sono come dei broker di passaporti e visti. 

Henley & Partners pubblicano una periodica classifica dei passaporti di maggior valore, su base puramente statistica: più il documento concede libertà di movimento senza dover chiedere visti, più sarà alto in classifica.

Anche nel 2020 i migliori da questo punto di vista sono quello giapponese (visa free in 191 destinazioni) e di Singapore (190). Con gli aeroporti chiusi questi numeri però valgono poco. La comunicazione più interessante è invece il rapporto sull’andamento del mercato della cittadinanza e della residenza che, come ogni altro mercato, risente degli eventi e risponde agli stimoli.

Nessuno stimolo in questa prima parte di 2020 è stato forte quanto la pandemia di Covid-19. Nell’Henley Passport Index Q2 Update leggiamo che le persone, appena i confini si riapriranno «cercheranno di lasciare posti governati male e impreparati alla malattia verso nazioni più proattive, resilienti e con sistemi sanitari più attenti».

E qui entra in gioco il Portogallo, che ha visto le richieste del suo programma di golden visa aumentare del 25% negli ultimi quattro mesi e del 50% rispetto a maggio del 2019. I benefit della residenza in Portogallo pubblicizzati dal sito di Henley sono: libertà di movimento nell’area Schengen, la possibilità di richiedere la cittadinanza dopo cinque anni di residenza senza dover nemmeno rinunciare a quella di partenza e soprattutto ottimi ospedali.

Il tutto a prezzi contenuti: bastano un investimento immobiliare di almeno 500mila euro o l’ingresso di capitali per almeno un milione di euro. Risultato dell’operazione: da quando il programma è partito, 20mila residenze sono state vendute (a circa 8mila investitori e oltre 13mila familiari) per un incasso di 5 miliardi di euro.

Paesi di provenienza: Cina, Brasile, Turchia, Russia e Sudafrica in prevalenza. Tutti numeri destinati a crescere con la bella pubblicità fatta dai numeri bassi del contagio. Un effetto collaterale, non destinato a migliorare, è che il mercato immobiliare di Lisbona e Porto è completamente impazzito, con i prezzi delle case che crescono del 10% anno su anno e il governo che sta pensando di escludere le due città dal programma. 

La parola migrazione cambia decisamente sfumatura nel linguaggio tecno-legale dello studio: non ci sono barconi, porti, disperazione e trafficanti, ma «investitori strategici» che cercano di preservare il proprio benessere attraverso «Real Estate−Linked Investment Migration Programs».

Questi «investitori strategici» animano un mercato globale che ogni anno muove circa tre miliardi di dollari e che preoccupa anche l’Unione Europea. Nell’Unione sono attivi venti programmi di questo tipo, con tre paesi che vendono direttamente il passaporto e non un diritto di residenza: Malta, Bulgaria e Cipro (che ha di recente vissuto una crescita addirittura del 250%).

Il commissario europeo alla giustizia Didier Reynders ha recentemente chiesto a questi tre membri UE di dismettere i programmi, in seguito a una serie di scandali e denunce. Quella più solida e convincente era stata un rapporto della ONG Global Witness, che aveva sottolineato i rischi di corruzione, riciclaggio di denaro e ingresso di personaggi legati alla criminalità organizzata internazionale.

«Il problema è che tutti questi programmi sono circondati dalla riservatezza sui nomi, quindi il loro impatto viene alla luce solo quando c’è uno scandalo di grandi proporzioni». A Malta ne sanno qualcosa: tra le inchieste più importanti della giornalista Daphne Caruana Galizia, assassinata nel 2017, c’erano proprio le magagne legate alla vendita di passaporti, le stesse che avevano spinto una delegazione di parlamentari dell’Ue ad accusare l’isola di «importare criminali e soldi sporchi nell’Unione».

E l’Italia, in tutto questo? Il nostro programma di investor visa (o permesso di soggiorno per investitori) risale al dicembre 2016 ed è molto meno attrattivo e concorrenziale, visto che non permette di accedere tramite la compravendita immobiliare, ma solo con in investimenti in aziende, BTP o startup (o una donazione in beneficienza).

Inoltre, l’investor visa italiano offre solo una residenza di due anni e nessuna autostrada verso la cittadinanza. In ogni caso, come dice il rapporto di Henley & Partners, «l’Europa rimane un affidabile Piano B per questi tempi turbolenti, visto che offre sicurezza, stabilità e opportunità agli investitori». A patto, ovviamente, di pagarle in contanti.

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