Come era prevedibile, anche il semplice avvio di una discussione di merito sul referendum costituzionale ha comportato un recupero delle posizioni del No, con previsioni, invero anche troppo ottimistiche al momento, di ulteriore crescita negli ultimi dieci giorni di campagna elettorale.
In ogni caso, il Sì unanime del Parlamento nella quarta lettura (con contrarietà individuali – 14 in tutto – che raggiungevano a mala pena il 2% dei votanti a Montecitorio) non si rifletterà in un Sì altrettanto unanime da parte degli elettori, anche se l’abbinamento con le elezioni regionali aumenterà la partecipazione al voto passiva, a rimorchio della chiamata alle armi per la scelta di consigli e presidenti.
Oltre alla follia di una riforma che non riforma nulla, ma “taglia” la rappresentanza senza intervenire sui meccanismi di funzionamento delle istituzioni, inizia tardivamente a emergere quale sia il metodo e il fine di questa follia, cioè la “consacrazione democratica” del superamento della democrazia rappresentativa a vantaggio di modelli di autogoverno istantanei e teleguidati, in cui l’intermediazione politica (cioè il modo in cui interessi dell’elettorato si scontrano e compongono secondo dinamiche costituzionali) è abolita e soppiantata da un potere totale, che pretende di incarnare la volontà generale dell’elettorato in base al presupposto che essa sia “una” e che qualunque deviazione da questa mistica “unità” sia un oltraggio al bene comune.
L’omaggio al potere populista rende tuttora indicibile la verità più lampante, cioè che il taglio dei parlamentari è il prodotto di un pensiero che ha teorizzato l’abolizione del Parlamento, ritenuto in sé una forma di usurpazione parassitaria della sovranità del popolo. Però, per chiunque abbia occhi per vedere, questa rimane la radice più visibile della malapianta, di cui la manomissione costituzionale della rappresentanza democratica è uno dei più velenosi frutti.
C’è poco da sperare che anche questo referendum, come i due precedenti, diventi un referendum sul Governo, perché i padri della riforma (Di Maio e Salvini e Meloni) e gli usufruttuari della perversione populista del gioco democratico stanno un po’ di qua un po’ al di là dal perimetro della maggioranza giallo-rossa. La tentazione di usare il referendum contro l’esecutivo e contro il M5S, che sembra prendere piede in ambienti, per lo più forzisti, del fu centro-destra, ha qualcosa di politicista e di irrimediabilmente falso, perché la decimazione degli eletti è il filo rosso che lega entrambi i governi Conte e ne identifica, per così dire, “l’ispirazione”.
Questo difficilmente diventerà un referendum sul Governo, ma può diventare un referendum sul Sistema, cioè sull’egemonia culturale dell’antipolitica sui processi istituzionali, cioè sulla vera matrice ideologica del potere italiano dominante, malgrado l’alternanza di governi solo diversamente populisti.
La campagna per il No non si scontra solo con due anni e mezzo di governismo populista, ma con un quarto di secolo di predicazione anti-Casta e di identificazione dei difetti del sistema dei partiti e dei fallimenti delle politiche di governo con i vizi privati dei politici e l’intrinseca viziosità della politica professionale. L’anti-castismo come precursore del grillismo. La credenza in una etica di servizio a metà tra il volontariato sociale e il sacerdozio civile – questa è stata l’immagine anti-weberiana dei politici ideali smerciata contro la Casta – è stata perfettamente funzionale alla degradazione delle istituzioni e dei poteri delle costituzioni liberali (il Parlamento, il Governo, la Giustizia) a una sorta di algoritmo collettivo, capace di produrre leggi, decreti e sentenze indefettibilmente giuste perché perfettamente rispondenti alla volontà generale.
Tutte le intermediazioni istituzionali dovevano saltare per realizzare quella corrispondenza di amorosi, virtuosi e onestissimi sensi tra popolo e potere. Il taglio dei parlamentari è il culmine di questo processo, cioè la forma e la sostanza del nuovo regime politico italiano e del suo potere dominante. A tutto questo occorre dire No, non solo al Governo Conte-bis.