L’Unione europea è figlia di slanci federali e reazioni intergovernative. La costante tensione tra questi due livelli tutt’oggi ne anima, e spesso ne frena, l’azione. La natura ibrida e bicefala si riflette sull’architettura europea e sui meccanismi decisionali: ci sono Istituzioni sovranazionali come la Commissione, altre intergovernative come i Consigli. Si decide a maggioranza qualificata o all’unanimità.
Ungheria e Polonia da sempre hanno problemi con lo stato di diritto e da sempre si danno manforte l’un l’altra. Su entrambi i paesi, oltre a svariate procedure di infrazione, grava la cosiddetta opzione nucleare dell’articolo 7 TUE, attivata dal Parlamento per la prima e dalla Commissione per la seconda. La procedura pensata per constatare e sanzionare la violazione grave e persistente dei valori all’articolo 2, tuttavia, non arriverà mai al termine perché l’Ungheria salverà la Polonia dall’unanimità e viceversa.
Così, il 10 novembre scorso il Parlamento europeo e la presidenza tedesca del Consiglio europeo hanno trovato un importante accordo per condizionare l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello stato di diritto: il meccanismo prevede che, su proposta della Commissione, il 55% degli Stati Membri, rappresentanti almeno il 65% della popolazione, possano decidere la sospensione dei fondi verso un paese europeo che non garantisce Istituzioni democratiche, separazione dei poteri, diritti fondamentali. Finalmente, col nuovo meccanismo attivabile a maggioranza qualificata, si supera l’unanimità prevista dall’articolo 7 TUE, il che consentirà inoltre di agire prima che la situazione sia eccessivamente compromessa.
Ma chi di maggioranza qualificata ferisce, d’unanimità perisce.
Il nuovo meccanismo, che agisce a maggioranza qualificata, doveva essere approvato a maggioranza qualificata degli Stati. E così è stato, in sede Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti).
Impotenti di fronte a questa condanna certa, Ungheria e Polonia hanno così alzato la posta e hanno usato il loro potere di veto laddove potevano: il quadro finanziario pluriennale 2021 – 2027 (QFP) e le risorse proprie. Se l’evento è senza precedenti, data la situazione è ancora più grave: al QFP e all’introduzione di nuove risorse proprie è legata l’esistenza e la sopravvivenza del Next Generation EU, il piano di rilancio da 750 miliardi. 750 miliardi che la Commissione prenderà in prestito, facendo debito comune, e redistribuirà agli Stati membri sotto forma di prestiti e sovvenzioni.
Polonia e Ungheria hanno fatto muro, come spesso fanno, metaforicamente e non, e si sono opposte al Quadro finanziario pluriennale e al NextGenerationEu Il punto è che la decisione non investe solo loro, ma tutti e 27 gli Stati membri e i loro cittadini. Si noti, infatti, che Polonia e Ungheria sono entrambe beneficiari netti: ricevono più di quanto versano. Inoltre, l’83% dei Polacchi e l’80% degli Ungheresi intervistati per il sondaggio Eurobarometro ha affermato di sentirsi “cittadino europeo”, contro il 48% degli intervistati italiani. Il 56% degli intervistati Polacchi e il 53% degli Ungheresi, inoltre, ha fiducia nell’Unione, contro, di nuovo, il 28% degli italiani o il 30% dei francesi.
Insomma, i cittadini dell’Europa centrorientale sanno di aver beneficiato e di aver bisogno dei fondi europei. Ancor di più oggi che si trovano ad affrontare una seconda ondata epidemica.
Le strategie proposte per aggirare il veto dei due paesi sono diverse. Abbandonare la clausola che lega i fondi allo stato di diritto non sembra in discussione, anche solo perché il Parlamento europeo è autorità di bilancio, e potrebbe dunque non approvare il QFP. Sganciare il NextGenerationEU dal bilancio pluriennale è fattibile, ma non semplice, né forse conveniente: il piano da 750 miliardi di euro sarebbe un nuovo esempio di integrazione differenziata con l’esclusione di Polonia e Ungheria. Il fondo diverrebbe così intergovernativo, sotto il controllo dei 25 Stati e non sotto quello delle Istituzioni europee, esponendosi così alle critiche e allo scetticismo che si hanno verso il Meccanismo europeo di stabilità. Inoltre, ciò andrebbe a scapito delle popolazioni dei due paesi esclusi.
Sommessamente, dunque, penso che l’Italia dovrebbe chiedere alle opposizioni di farsi ambasciatrici in Europa. Non è una battuta.
Le opposizioni nostrane chiedono di essere coinvolte maggiormente nella gestione dell’emergenza sanitaria. A gran voce lo dice, per esempio, Antonio Tajani, già Presidente del Parlamento europeo, oggi Vicepresidente del Partito Popolare Europeo. Del PPE fa sempre parte Fidesz, Unione civica Ungherese il cui leader è il primo ministro ungherese Viktor Orbán. La svolta autoritaria dell’Ungheria si è realizzata proprio sotto la guida di Fidesz e Orbán tramite varie riforme costituzionali che hanno minato la separazione dei poteri, ridimensionato la libertà di espressione, blindato il concetto di famiglia, e non da ultimo vietato di «collocare cittadini stranieri sul territorio del paese», di fatto andando contro il sistema di asilo europeo.
Ma un coinvolgimento italiano, lo invoca anche Giorgia Meloni, deputata di Fratelli d’Italia nonché Presidente del Partito dei Conservatori e Riformisti europei (ECR). Di ECR fa parte il Diritto e Giustizia, il partito di maggioranza polacco presieduto dall’ex Primo Ministro Jarosław Kaczyńsk, che oggi esprime il Presidente Andrzej Duda e il Primo Ministro Mateusz Morawiecki. Ed è Diritto e Giustizia che ha promosso la riforma del sistema giudiziario, mettendo a repentaglio separazione dei poteri e l’indipendenza dei giudici e che propone leggi ultraconservatrici per definire la «famiglia tradizionale» e restringere le possibilità di interruzione di gravidanza.
Con questa panoramica, si vede come le opposizioni italiane hanno forti e diretti collegamenti con i partiti al governo di Ungheria e Polonia, responsabili del veto. Se davvero le opposizioni nazionali vogliono collaborare, comincino a livello europeo.
Si facciano portavoce degli italiani e vadano a dialogare con i loro alleati nazional-sovranisti per uscire da questo stallo. «Il potere di veto è obsoleto e dannoso per chi lo esercita», ricorda il Ministro per gli Affari Europei Vincenzo Amendola. Non aver ancora superato la procedura intergovernative dell’unanimità è una mancanza europea. L’utilizzarla è però responsabilità degli Stati membri. L’Unione è pronta ad agire concretamente e in maniera solidale alla pandemia; bisogna che gli Stati glielo consentano.