La notizia di Elliot Page l’ho avuta da un amico. Un amico che ha un lavoro serio, non passa come me il tempo a occuparsi di fantasie lessicali del postmoderno, e quindi martedì pomeriggio mi ha scritto: «Dice Elliot Page che i suoi pronomi sono he/they: ma quindi è sia maschio sia gender fluid?».
Il mio amico è una persona garbata, e ci tiene a non ferire i sentimenti di nessuno, ma vorrebbe riuscire a capire la logica. Se facessi il nome del mio amico, i neomaccartisti lo lapiderebbero: chiedere non è lecito.
Se il mio amico non fosse una persona garbata, avrebbe potuto compiere il crimine denominato deadnaming. Che, nel lessico di queste amene postmodernità, sta per: chiamare qualcuno che ha compiuto una transizione sessuale col nome del sé morto. Cioè: Ellen Page.
In nessun articolo americano troverete che Elliot era Ellen, giacché la norma è comportarsi come se chi si sceglie un nuovo nome, una nuova identità, nuovi pronomi, si fosse sempre chiamato così. Per fortuna ci sono le foto, sennò il lettore non addentro a questi cavilli identitari non si sa come farebbe a capire chi diavolo sia ’sto Elliot Page e perché mai dovremmo interessarci a un suo post su Instagram.
Ma, se sei sempre stato quel che sei diventato con una transizione degna di notizia, se sei rimasto quel che eri, allora dov’è la transizione? Allora non è un cambio di sesso, è un programma di protezione testimoni. No?
Il problema del deadnaming è concreto quando la persona di cui si parla ha una vita pubblica antecedente al cambio d’identità. Caitlyn Jenner è forse la più famosa trans del mondo: prima della transizione era sposata con la madre delle Kardashian, ed ebbe persino una vita da campione olimpico. E già qui mi sono praticamente macchiata di deadnaming, avendo scritto “campione” e non “campionessa”: c’è una ragione se tutti questi fanatismi nascono in un paese anglofono e non in uno con una lingua romanza, coi generi e le declinazioni. Al trentesimo tentativo vano di creare una frase neutra, persino i più volenterosi militanti si arrenderebbero.
Insomma, l’anno scorso ci fu un interessante dibattito su come dovessero essere raccontate le passate gesta olimpiche della signora Jenner. Certo non si può scrivere che da campione si chiamava Bruce, sarebbe deadnaming. Ma neanche si possono declinare le sue vittorie al femminile, considerato che quando vinse l’oro nel decathlon era il 1976: il decathlon femminile alle Olimpiadi non c’era proprio.
Mohammed Alì, se parliamo delle Olimpiadi del 1960, prima della conversione all’islam, lo chiamiamo Cassius Clay senza grandi disturbi, direi, no? Augusto, se ne parliamo per qualcosa che abbia combinato prima del 27 a.C., lo chiamiamo Ottaviano, giusto? Evidentemente diventare imperatori o convertirsi a una religione sono transizioni meno impegnative di quella sessuale, visto che in questi casi nessuno parla di deadnaming. Ma il genere sessuale, quello sì che è importante.
E infatti con Page abbiamo lo stesso problema che avemmo con Jenner. La sua pagina su imdb, il principale archivio d’informazioni cinematografiche disponibile in rete, martedì era già aggiornata a «Elliot», e di fianco a ogni titolo c’era la parentesi «accreditato come Ellen Page», un po’ come quando qualcuno aveva, in vecchi film, dei nomi d’arte poi abbandonati. Ma c’è il problema del film principale.
Il film con cui Ellen Page divenne famosa, quello per cui ebbe una candidatura agli Oscar, quello che ieri era sottinteso in tutti i titoli americani che dicevano «il candidato all’Oscar Elliot Page», quel film lì non è solo un film in cui Ellen era Elliot.
È un film in cui Ellen era incinta. Il più famoso film su una ragazza madre della storia del cinema, “Juno”. Scritto da Diablo Cody, che all’epoca era un’esordiente ex spogliarellista e adesso sta scrivendo il film biografico di Madonna; in mezzo, oltre ad aver scritto molta altra roba, ha avuto modo d’incazzarsi non poco perché del suo “Juno”, storia d’un’adolescente che resta incinta e decide di portare a termine la gravidanza e dare il bambino in adozione, si appropriarono gli antiabortisti.
L’immagine più nota dell’attore Page è un’immagine in cui è incinta. Sarà per quello che ha indicato per sé pronomi maschili e fluidi: tutto purché non femminili, tutto purché non mi colleghino a quella locandina col pancione. Tutto, ma non donna. Come darti torto, Elliot: sono trentacinque anni che sanguino tutti i mesi, potessi essere neutra sai che liberazione.
Per carità: sappiamo che nella postmodernità è fascista e limitativo e intollerante dire che la biologia esiste e a restare incinte sono le donne. Sappiamo che persino l’autrice di Harry Potter ne esce ammaccata se osa dire che le donne sono donne, e che dire “persone che mestruano” per includere chi ha un apparato genitale femminile ma s’identifica come uomo è una scemenza.
Sappiamo tutto, però – se si potesse ancora ridere di noi e dei nostri tic – questo sarebbe uno di quei casi che fanno molto ridere.
Elliot Page dice di chiamarlo con pronomi maschili o neutri, avendo fatto una transizione da non si sa quale precedente identità, visto che è sempre stato Elliot. Elliot Page è famoso, è stato pure candidato all’Oscar, dai, te lo ricordi quel film in cui il maschio neutro Elliot era incinto. Sarà mica una cosa strana, era il 2007, erano parecchio in ritardo: Marcello Mastroianni fu incinto in un film del ’73, figuriamoci.
Peccato che abbiano deciso che di queste cose si debba parlare col tono di voce che si tiene alle camere ardenti, perché riderne sarebbe un sollievo per tutti: per chi le vive, e per chi deve trovare, per raccontarle, un modo che non le faccia sembrare delle parodie.