La continuità nel caos. Nei Paesi Bassi sono in corso le elezioni, distribuite nell’arco di tre giorni, con distanziamento temporale per favorire quello fisico. Potranno votare prima i più fragili, poi tutti gli altri. I seggi chiudono mercoledì sera e la risposta sembra già scritta. Nonostante il suo governo sia caduto per uno scandalo con un’eco globale e a dispetto delle violente proteste contro le restrizioni per la pandemia, i sondaggi dicono che Mark Rutte potrà formare il suo quarto governo consecutivo e diventare il leader più longevo nella storia dei Paesi Bassi. D’altra parte il suo soprannome era già destino e programma politico: Teflon Mark, il leader antiaderente, sulla cui superficie i problemi non attaccano.
Anche in un momento delicato della vita olandese, la destra liberale e moderata di VVD (Partito popolare per la libertà e la democrazia) continua a sembrare la risposta più pratica e spendibile ai problemi degli olandesi. A suo favore giocano l’immagine di austera sobrietà, la reputazione di politico che non si perde in chiacchiere e il suo sconfinato opportunismo. Il sistema olandese è un proporzionale puro e incoraggia il pragmatismo dialogante di chi ha la capacità e la credibilità di parlare con tutti.
Rutte dovrà formare, come sempre nei Paesi Bassi, un governo di coalizione che sappia pescare la configurazione più utile in un frammentato paesaggio politico nel quale si presentano alle urne 37 partiti per 17 milioni di abitanti. Di questi la metà entrerà nella Tweede Kamer, la Camera dei deputati olandese. Per raggiungere una maggioranza di 76 seggi serviranno probabilmente tre partner di coalizione. La soluzione al rebus del Rutte IV non sarà facile, soprattutto per l’unico argine che lo stesso Rutte mette al suo opportunismo pragmatico: niente posti al governo per gli estremisti di destra.
Nell’ultimo decennio i Paesi Bassi sono stata sia culla e laboratorio europeo per le nuove formule del populismo di destra che un modello su come tenerle lontane dal potere. La faccia da copertina è sempre la stessa, Geert Wilders. I sondaggi dicono che non crescerà e non crollerà, il PVV resterà probabilmente il secondo partito, ma la piattaforma sembra invecchiata di colpo in un mondo pandemico. L’immigrazione non è più un tema centrale, il manifesto di de-islamizzazione della società olandese oggi sembra un residuato del passato, così come la proposta di bloccare l’asilo ai rifugiati siriani. La realtà, con le sue asprezze, ha bloccato l’ascesa del populismo esagitato di Wilders e ha sgonfiato anche le ambizioni del suo principale rivale di destra.
Solo poco più di un anno fa, alle elezioni provinciali del 2019, Thierry Baudet e Forum per la Democrazia erano il primo partito, ma l’urgenza di uno risposta pragmatica alla pandemia, il bisogno di un leader credibile che difenda gli interessi olandesi in Europa e anche il crollo di Donald Trump hanno fatto invecchiare anche la proposta di Baudet, che nel frattempo si è incagliato in una spirale di complottismo e antisemitismo.
Le immagini che arrivano delle proteste violente e represse con forza da mesi potrebbero trarre in inganno, far pensare agli olandesi infuriati in massa col primo ministro per la sua gestione della pandemia. Ed è invece il CoVid oggi la principale assicurazione sul futuro politico di Mark Rutte. Secondo un sondaggio della Vrije Universiteit di Amsterdam, il 77% degli olandesi approva l’operato del governo in materia di lotta al virus. Solo gli elettori dei partiti estremi (Wilders e Baudet) sono contrari a restrizioni, chiusure e gestione sanitaria, tutti gli altri, non importa quale partito votino, pensano che Rutte stia tutto sommato facendo un buon lavoro. Lì dove in Italia oscilliamo tra politici e tecnici, nei Paesi Bassi la bussola è sulla professionalità della politica e Rutte, nonostante gli errori, continua a essere percepito (e a vendersi come) un professionista in grado di svolgere il suo lavoro.
I problemi sono stati tanti, due su tutti: una risposta lenta nella prima fase, una partenza con diversi intoppi della campagna vaccinale. Niente di tutto questo è stato davvero imputato a Rutte. Il Teflon con quale è saldata la sua immagine politica continua a fare il suo lavoro. «Rutte ha giocato la sua campagna sulla dinamica rally around the flag», ha spiegato l’analista politico Rem Korteweg a Deutsche Welle. Letteralmente: seguire la bandiera, stringersi attorno al leader, fare squadra. «In questo modo i suoi briefing settimanali per il CoVid erano campagna elettorale a costo zero, nella quale rafforzare la sua immagine di statista».
Le proteste contro il coprifuoco serale e le chiusure delle attività commerciali vanno avanti a fiammate dalla fine di gennaio, sono state occasionalmente violente, a marzo è stata anche messa una bomba in un centro tamponi, nessun ferito ma la cosa ha fatto impressione. Le manifestazioni anti-lockdown hanno rafforzato, non indebolito, la leadership di Rutte, hanno nutrito il bisogno di affidarsi a una persona percepita come seria e in controllo mentre parte del paese il controllo lo sta perdendo un po’ alla volta.
Anche il brutto scandalo delle oltre 20mila persone ingiustamente accusate di frode dal sistema fiscale aveva il potenziale di interrompere la sua carriera politica e invece il sistema ha permesso a Rutte di uscirne con la reputazione intatta. Le vessazioni sui beneficiari dei sussidi familiari hanno messo in ginocchio migliaia di famiglie ed erano un chiaro esempio di discriminazione, ma la percezione generale è stata di un’ingiustizia di sistema da rettificare e non di una colpa politica da punire. Le dimissioni in massa del governo sono state viste come un gesto di dignità politica.
Infine, l’architettura di grandi coalizioni perenni ha diluito le responsabilità e alla fine i più danneggiati sono stati i laburisti. Lodewijk Asscher era ministro degli affari sociali durante il governo Rutte (il Rutte II, nello specifico), era in carica quando l’ingiustizia è stata perpetrata e quando lo scandalo è deflagrato due mesi fa si è dovuto dimettere dalla guida del partito che avrebbe dovuto portare al voto. Quando si chiuderanno le urne, inizieranno le discussioni per formare il governo, che nei Paesi Bassi tendono a essere piuttosto lunghe. Serviranno mesi, nel 2017 ce ne vollero sette per trovare la quadra. Rutte dovrà valutare la composizione dei risultati per decidere con chi potrà governare i Paesi Bassi nell’uscita dalla pandemia, ma tutto dice che a dare le carte dovrebbe essere come sempre lui.