Dottrina MacronPerché la Francia ha arrestato sette italiani condannati per delitti politici

Il presidente francese rompe con decenni di «compiacenza» per migliorare le relazioni bilaterali, ma anche per essere coerente con la sua postura molto dura sui temi della sicurezza. È un «momento storico» spiegano dall’Eliseo, e il governo italiano ha espresso la sua «soddisfazione» per la scelta. Ma l’estradizione potrebbe richiedere fino a tre anni

LaPresse

Sette tra ex terroristi ed estremisti politici, condannati in Italia durante gli anni di piombo, sono stati arrestati in Francia dopo una richiesta formale  inoltrata alle autorità francesi. Le persone arrestate sono Roberta Capelli, Marina Petrella, Sergio Tornaghi, Giovanni Alimonti ed Enzo Calvitti, ex membri delle Brigate Rosse; Narciso Manenti, ex membro dei Nuclei armati per il contropotere territoriale; Giorgio Pietrostefani, fondatore di Lotta Continua e condannato a 22 anni come mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi.

Tre altri ex terroristi per cui era stato disposto l’arresto non erano presenti al loro domicilio e sono al momento ricercati. Si tratta di Maurizio Di Marzio, ex membro delle Brigate Rosse, Luigi Bergamin, ex membro di Proletari armati per il comunismo, e Raffaele Ventura ex membro delle Formazioni comuniste combattenti.

L’Italia aveva inoltrato oltre duecento richieste di estradizione, ma alla fine  ne sono state accolte soltanto dieci. Secondo fonti dell’Eliseo, la decisione di procedere nei confronti dei 10 ex terroristi «chiude tutto il dossier», e non ci saranno ulteriori procedimenti nei confronti delle persone lasciate fuori dalla lista.

Emmanuel Macron è il primo presidente a rimettere in discussione la dottrina Mitterrand, la politica dell’ex presidente socialista François Mitterrand (in carica tra il 1981 e il 1994) che aveva concesso accoglienza ai terroristi a condizione che questi abbandonassero la via armata.

L’Eliseo spiega che si tratta di «un’evoluzione» resa necessaria «dal contesto», molto cambiato rispetto agli anni precedenti. La Francia, colpita anch’essa dal terrorismo negli ultimi anni, ha cominciato a valutare in modo diverso la questione, riconoscendo di aver compiuto un errore di valutazione rispetto ai fuggitivi, e ammettendo di avere avuto nei loro confronti «una certa compiacenza».

Secondo fonti dell’Eliseo: «Il presidente ha voluto risolvere questo problema, visto che l’Italia lo chiedeva da anni. La Francia, essa stessa colpita dal terrorismo, comprende l’assoluto bisogno di giustizia delle vittime».

I motivi che hanno spinto a questa scelta sono molteplici, ma i consiglieri di Macron spiegano che in primo luogo c’è il «rispetto dello stato di diritto». Secondo il governo francese era necessario trasmettere i dossier alla giustizia di modo che questa potesse giudicare in modo indipendente e caso per caso. È importante, sostiene l’Eliseo, che in Europa ci si coordini affinché le decisioni dei tribunali «vengano eseguite», e che ci sia fiducia reciproca sul corretto funzionamento dei rispettivi sistemi giudiziari.

In più, sottolinea la Francia, questa decisione mostra il miglioramento dei rapporti bilaterali con l’Italia «che si sono consolidati dall’arrivo di Mario Draghi», e avviene dopo una lunga trattativa tra le due autorità giudiziarie. Emmanuel Macron e Mario Draghi avevano affrontato l’argomento la settimana scorsa in una telefonata su richiesta del presidente del Consiglio italiano.

La decisione di Emmanuel Macron era in preparazione da diversi mesi, tanto che la settimana scorsa un collettivo di intellettuali aveva scritto al Monde un appello per chiedere il rispetto della dottrina Mitterrand. 

Il presidente francese è stato influenzato anche da ragioni di politica interna: tra un anno Macron cercherà di essere rieletto, e ha deciso di tenere posizioni molto ferme sul contrasto alla criminalità e al terrorismo. Difendere una dottrina che viene percepita da una parte dell’opinione pubblica come “lassista” non è nei suoi interessi. 

In più, oggi il Consiglio dei ministri esaminerà il progetto della nuova legge antiterrorismo voluta da Macron per inserire nel diritto comune alcune disposizioni contenute nello stato d’emergenza, e per affrontare il problema dei 150 terroristi che entro il 2022 termineranno di scontare la loro pena (e che saranno sottoposti a una serie di obblighi anche una volta usciti dal carcere). 

La decisione di procedere agli arresti di stamattina non è legata alla presentazione della legge, ma è ragionevole ritenere che si inserisca nel «contesto» che ha favorito  il cambio di atteggiamento nei confronti degli italiani citato dall’Eliseo.

In un’intervista a Repubblica concessa lunedì scorso, il politologo Marc Lazar, esperto di politica italiana e curatore de “Il libro degli anni di piombo”, ha spiegato perché per il presidente sia ormai naturale andare oltre quarant’anni di stallo giudiziario: «Credo che Macron non si senta vincolato dalla cosiddetta dottrina Mitterrand. Ha 43 anni, per lui è storia vecchia. Vuole avere un ottimo rapporto con il governo di Mario Draghi nella prospettiva di uscire dalla pandemia. C’è anche una visita di Stato in Francia del presidente Sergio Mattarella in programma e dovrebbe essere firmato il Trattato del Quirinale per rafforzare i rapporti bilaterali».

L’accordo politico era necessario per rendere possibile l’estradizione. Se la procedura è giudiziaria, non lo è il suo avvio: secondo il codice di procedura penale francese all’articolo 629-9, «La domanda di estradizione è, dopo verifica delle carte, trasmessa, con il dossier, dal ministro degli Esteri al ministro della Giustizia, che, dopo essersi assicurato della regolarità della richiesta, la indirizza al procuratore generale territorialmente competente».

I dieci terroristi ed estremisti politici saranno giudicati separatamente. In primo luogo i magistrati francesi dovranno pronunciarsi, entro 48 ore, sul regime a cui saranno sottoposte le persone su cui pende la richiesta di estradizione. In caso di pericolo di fuga, i magistrati potranno disporne la carcerazione in via cautelare.

Dopo questo primo passaggio, in caso (molto probabile) di opposizione alla richiesta di estradizione, comincia il vero e proprio processo. In questo caso, entro dieci giorni gli imputati dovranno presentarsi di fronte alla Chambre d’Instruction della Corte d’Appello, di fronte alla quale verrà esaminato il caso e analizzata la loro condizione personale (per esempio le condizioni di salute).

La Chambre d’Instruction ha un mese per emettere un suo parere favorevole o contrario, contro il quale l’imputato può ricorrere in Cassazione. Una volta terminato il processo in Cassazione, l’iniziativa torna nelle mani della politica: è un decreto del primo ministro a disporre l’eventuale estradizione.

Ma anche in questo caso, la procedura non è finita, perché l’imputato può ricorrere contro il primo ministro di fronte il Consiglio di Stato, ultimo “grado” di giudizio. L’Eliseo ha chiarito che tutta la procedura potrebbe richiedere circa 3 anni, e ha detto che i tempi lunghi hanno contribuito ad accelerare la decisione per evitare la prescrizione che per alcuni terroristi sarebbe scattata tra pochi mesi.

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