Propaganda immaginariaQuelli che la cancel culture non esiste vogliono la testa di Angelini

Il club dei giusti nega l’evidenza e ribadisce che nessuno intende cancellare nessuno, eppure ha passato il weekend a chiedere via Twitter il licenziamento del chitarrista del programma di Zoro, meglio se con punizione esemplare

Frame da La7

Giacché la cancel culture non esiste – come ci spiega ogni giorno il club dei giusti e ci ha spiegato venerdì la storia di copertina di Internazionale – l’Italia che lavora, l’Italia che guarda i programmi di sinistra, l’Italia dei buoni, giacché la cancel culture non esiste quell’Italia lì ha passato il weekend a twittare la richiesta di licenziamento d’un chitarrista.

Ricostruiamo, per coloro che nel weekend fossero andati in gita fuori porta senza cellulare (era pure brutto tempo, avete delle ben strane perversioni).

A metà della settimana scorsa Roberto Angelini, musicista non particolarmente rilevante e presenza fissa della band che suona durante la diretta di Propaganda Live (programma del venerdì sera di La7), fa un confuso post sui social. Sotto una propria foto con le lacrime agli occhi (dio del senso del ridicolo, dammi la forza), scrive che è stato tradito da un’amica, che lui ha un ristorante, che la pandemia, la crisi, il lavoro in nero, che un piccolo imprenditore cosa mai deve fare. Il post mi compare perché commentato solidalmente da un’esponente del ceto medio riflessivo, una di quelle che mai solidarizzerebbero in pubblico con un evasore fiscale. La prima cosa che penso è che non si capisce cosa sia successo, e probabilmente non l’ha capito neanche lei.

Probabilmente non l’ha capito nessuno di quelli che hanno messo cuoricini ad Angelini su Instagram, gente d’una certa notorietà che, giacché la cancel culture non esiste, sta ormai attentissima a non sbilanciarsi in pubblico e ad aderire solo a buone cause certificate col bollino Zan di qualità.

Nei giorni successivi viene fuori (non da sussulti di giornalismo investigativo, ma da aggiustamenti delle versioni della storia fornite dallo stesso Angelini): che l’amica traditrice è la lavoratrice in nero che consegnava per il ristorante di Angelini; che non l’ha denunciato per dispetto ma è stata fermata dalla Guardia di finanza mentre faceva una consegna in pieno coprifuoco.

Quindi, riepilogando: tu mandi una che non hai regolarmente contrattualizzato a fare consegne fuori orario in piena pandemia, e – quando la fermano e controllano e accertano che evadi le tasse – fai il post indignato invece che contrito. Foss’io un autore di Propaganda Live, alla prossima puntata ti metterei in scena davanti a uno specchio e ti farei cantare quella che faceva: sei troppo stupido per vivere.

Venerdì scorso la cosa passa in cavalleria, giacché tutto il proscenio dello scandalo se lo prende l’affaire Rula Jebreal. Considerato che Propaganda Live è un programma che fa più reportage sul caporalato di quanti articoli scriva io sulla cancel culture, appare curioso che si decida di concentrarsi sul falso problema della vanità della Jebreal, ma il pubblico di Propaganda fa a gara d’intelligenza col chitarrista e quindi lascia sviare la propria attenzione.

Poi però viene il fine settimana, l’attenzione per le donne invitabili o invitate cala, e Angelini si piglia tutti i riflettori dell’indignazione, anche perché continua a fare post e interviste per correggere il tiro e annunciare le sue dimissioni da ristoratore e non vedevo una gestione così fessa d’un incidente di percorso da – oddio, forse da mai.

Giacché la cancel culture non esiste, il popolo vuole teste. Vuole la testa di Angelini, non secondo una qualche logica (non è un’ottimissima idea privare d’un ingaggio e dei relativi introiti uno che deve dare più soldi ai suoi dipendenti, pagando finalmente loro i contributi), ma perché il club dei giusti è come il pubblico dei combattimenti tra cristiani e leoni: vuole il sangue, cazzo gliene frega della logica; è come i seguaci dei culti: vuole la punizione esemplare, il giudizio morale che diviene contrappasso.

Giacché la cancel culture non esiste, il club dei giusti che s’è perso l’occasione di lanciare monetine fuori dal Raphael ora chiede a gran voce: che Angelini sia cacciato dal suo sgabello da chitarrista (suggerirei di mandarlo ai lavori socialmente utili: un collegamento ogni tanto mentre raccatta i rifiuti romani); che Diego Bianchi – il conduttore di Propaganda – lo decapiti in diretta; che le dimissioni del chitarrista siano presentate con la prontezza che di solito richiediamo (senza ottenerla) ai ministri che non pagano i contributi alla babysitter; e forse anche che Marco Damilano – direttore dell’Espresso e parte del cast di Propaganda – faccia una copertina col faccione di Angelini e il titolo “Sporco evasore” (più brutta di quella di domenica scorsa con l’uomo incinto non sarebbe).

È interessante vedere come tutta l’indignazione nei confronti del programma (colpevole di non aver preso le distanze da Angelini: «scusate, abbiamo il chitarrista evasore fiscale» è forse parso eccessivo come secondo monologo, dopo quello «scusate, siamo tutti maschi»), e tutti gli «allora non vi guarderò più», i «l’ho sempre saputo che eravate degli stronzi», vengano da sinistra.

Certo, è perché a destra non li guardavano già da prima. Certo, è perché Salvini sta probabilmente accingendosi a fare manifesti elettorali «No alle tasse, anche a Propaganda sono d’accordo».

Certo, è perché il lavoro nero è uno dei temi sensibili della sinistra e del programma. Ma il tutto ha l’aria della riva del fiume. Di gente che aspettava da anni un inciampo, un cadavere, un linciaggio possibile.

Ieri, tra le molte meraviglie rinfacciste pubblicate sui social, c’erano due vignette in cui le docenti precarie erano rappresentate come sode, e quelle di ruolo con la tetta scesa. Le aveva disegnate Makkox, autore e coconduttore di Propaganda Live. Le aveva disegnate nel 2015 (sei anni prima della zinna calada di Zalone, perbacco). Non ti tieni da parte due disegni per sei anni, per poterli tirare fuori appena c’è un clima da linciaggio, se non hai per un programma televisivo il rancore che si ha solo per certi ex mariti.

Molte sono le ragioni possibili per tanta acrimonia; la mia ipotesi preferita è che, mandando in onda ogni settimana decine di battute fatte dai peggio scemi su Twitter, e facendo sentire quei peggio scemi i più geniali del loro pianerottolo, Propaganda abbia creato una fidelizzazione ma anche un parco detrattori.

Per ogni cretino che ha come immagine in cima alla pagina Twitter la volta in cui un suo spiritosissimo tweet andò in tv, c’è un cretino trascurato che si sente altrettanto brillante e ingiustamente escluso. Un Sergio Castellitto di “Caterina va in città” che imputa a quel programma e al suo averlo trascurato le proprie mancate fortune d’intellettuale brillante.

Se oggi ci fosse un seguito di “Caterina va in città”, Castellitto chiederebbe non solo il licenziamento del chitarrista, ma proprio la chiusura del programma per turpitudine morale, tempestando di cancelletti Urbano Cairo.

Peccato non poter leggere, su questo personaggio immaginario, una striscia di Zerocalcare. Già «Ultimo intellettuale» per una copertina dell’Espresso di Damilano. Già ospite abituale di Propaganda. Già autore della storia di copertina di Internazionale che ci spiega che stiamo sognando, abbiamo le visioni, deliriamo: la cancel culture non esiste.

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