Gabbie creativeSe i film sono noiosi la colpa è della cancel culture

L’attore e musicista Donald Glover ha spiegato a un gruppo di recensori frustrati dalla monotonia delle ultime produzioni che la causa è tutta nella paura che hanno autori e registi di finire cancellati da orde di fanatici nei social. Sul reale significato della parola non si è espresso, ma il dibattito è aperto

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Il risultato della cancel culture? La noia. È quello che pensa – e scrive su Twitter – l’attore, regista, produttore e cantante rapper e produttore Donald Glover, alias Childish Gambino. Mentre altri utenti si lamentavano di dover lasciare recensioni a film e serie noiosissime, tiepide e prive di nerbo, lui è entrato a gamba tesa nella discussione. Il motivo per cui ci viene offerta «roba noiosa, senza nemmeno errori di sperimentazione», è «la paura di essere cancellati». E allora l’unico spazio di creatività possibile «può essere solo estetico». Anche perché, conclude velenoso, «certe persone sanno di non essere granché brave».

Non capita spesso che verità così definitive vengono espresse con tanta brevità e franchezza. Forse troppa, anche perché – hanno fatto notare alcuni commentatori – Glover è rimasto nel vago per quanto riguarda il termine cancelled.

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Fioccano le interpretazioni. Forse voleva riferirsi alle cancellazioni dei programmi imposte dai network, sempre diffidenti di fronte a produzioni originali e, appunto, sperimentali. Così almeno la pensa il gamer di Youtube Dolan Dark.

Ma è probabile che si riferisse alla cancel culture, termine su cui si discute ancora ma che, in linea di massima, indica i recenti casi di persone e prodotti culturali o industriali presi di mira da gruppi di pressione online perché non adeguati secondo gli standard del nuovo politicamente corretto. La cancellazione (o anche boicottaggio) coinciderebbe con la richiesta di dimissioni, di licenziamenti o di messa al bando del prodotto (può essere un film, un’opera d’arte, o anche una marca di biscotti).

Nel mirino sono finiti professori universitari, comici, scrittori e artisti di ogni genere. Hanno espresso opinioni discutibili, spesso sbagliate ma a volte si è trattato di errori, incomprensioni e strumentalizzazioni. Il timore di fare passi falsi e la necessità di adeguarsi alle nuove pressioni ha già influenzato i codici creativi di giganti come Netflix e ha determinato gli standard delle categorie degli Oscar. In altri ambiti, ha stabilito quali fossero i doppiatori giusti (secondo un principio etnico) e i traduttori da privilegiare (sempre secondo lo stesso criterio).

In un contesto di questo genere – è evidente – sviluppare idee nuove sul piano creativo risulta complicato, in qualsiasi modo si voglia intendere la frase del creatore della serie FX “Atlanta”. Sia cioè che si tratti del contesto di una azienda di broadcast sia che si riferisca al mondo di internet la cosa rimane vera (ma sul punto Vanity Fair dissente).

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