Bolkestein e Golden PowerI due ostacoli che rendono difficile la concorrenza in Italia

Il consulente economico di Mario Draghi Francesco Giavazzi considera la liberalizzazione del mercato italiano necessaria per rendere più efficace il Recovery Plan. Ma non piacerà a Bruxelles sapere che è stato lasciato lì il rinvio di attuazione e applicazione al 2033 di una direttiva emanata nel 2006

LaPresse

Ci stavamo giusto chiedendo cosa ne era stato, dell’incarico dato da Mario Draghi a Francesco Giavazzi come suo consulente economico. Le tracce della collaborazione tra i due si erano viste in verità nel discorso programmatico alle Camere per la parte fiscale, perché erano ben riconoscibili le indicazioni – per molti sorprendenti – a favore del sistema danese, che a Giavazzi è sempre piaciuto.

Poi, però, silenzio.

Finché abbiamo capito che a Palazzo Chigi c’è davvero una testa pensante in più, quando Draghi ha inserito a sorpresa tra le riforme collegate al PNRR, quella della concorrenza, tema per nulla scontato, su cui Giavazzi ha scritto libri e articoli. Uno di questi, firmato nel 2011 con il compianto Alberto Alesina, aveva silurato il lavoro, appena partito, del premier dell’epoca Mario Monti, costretto a dedicare un intero discorso di pubblica replica a quel “caro Presidente, così non va”, che aveva aperto la prima pagina del Corriere della sera.

La Concorrenza è la bestia nera della politica, perché incompatibile con la necessità di raccogliere voti o consensi in una società corporativa come la nostra. È sempre così, quando un criterio oggettivo, addirittura un metodo, intende sostituirsi alla discrezionalità di aiutare questi o quelli. Contro la concorrenza prosperano le lobby, soprattutto quelle legittime, che hanno tutto il diritto di far valere le proprie ragioni. Ma l’interesse generale dovrebbe essere il mestiere della politica e non sempre le due cose coincidono, perché la forza di un interesse molto intenso è sempre più rilevante di un interesse generale che abbia il torto di essere diffuso e parcellizzato.

Dunque, applauso sincero, per chi ha avuto il coraggio di considerare la concorrenza una di quelle riforme trasversali che possono rendere più efficace l’effetto del PNRR. I partiti hanno fatto finta di non capire e il plico per Bruxelles è partito senza che nessuno fiatasse.

Ora, però, viene il difficile, nella concretezza della quotidianità.

Per questo, vorremmo segnalare a Francesco Giavazzi almeno due punti chiave che saranno decisivi non solo per la pagella liberale del Governo, ma proprio per l’accettazione del piano in sede europea.

Ci riferiamo alla direttiva Bolkestein e alla questione del golden power statale, che, secondo l’Istituto Bruno Leoni, sta subdolamente estendendosi fino al confine dell’esproprio. Sulla Bolkestein siamo partiti maluccio, e a Bruxelles, non piacerà sapere che è stato lasciato lì, senza pudore, il rinvio di attuazione e applicazione al 2033 di una direttiva emanata nel 2006. È stato uno dei tanti capolavori di disinvoltura del Conte I, poi fatto proprio dal Conte II. Disinvoltura e arroganza, perché spostare di 27 anni gli effetti di una sacrosanta indicazione di rispetto delle regole di mercato, non altrimenti può essere definita.

La direttiva dell’ex Presidente del Partito Liberale europeo chiede semplicemente che siano periodicamente messe a gara le concessioni pubbliche, per favorire l’accesso ad eventuali altri operatori e magari rendere più conveniente per lo Stato l’affidamento a pochi euro di spiagge che hanno rendimenti quasi miliardari, come quelle della Costa Smeralda. Idem per le bancarelle dei mercati, sempre assegnate agli stessi, loro figli e nipoti.

Che la pandemia abbia colpito duro proprio bagnini e ambulanti potrebbe essere un motivo per adattare all’emergenza norme altrimenti in questo momento troppo drastiche, ma lasciare quella data provocatoria del 2033 è davvero una presa in giro. A quell’epoca Mario Draghi avrà finito di fare il Presidente della Repubblica ed esponenti di partiti nel frattempo scomparsi avranno pur diritto di concorrere al bando per la vendita di bibite allo Stadio.

Questione ancor più spinosa quella del Golden power. L’ultima proroga-allargamento è della scorsa settimana, e sembra meno sfacciata di quella più sopra ricordata: arriva solo al 31 dicembre, ma è l’ottava in quattro anni.

Gli ambiti in cui è necessario notificare a Palazzo Chigi qualunque intervento o relazione importante con investitori esteri (ora anche Europei, non solo Extra UE) si sono via via accresciuti e allargati persino alle operazioni di ristrutturazione interna.

I settori in questione sono – scusate se è poco – difesa, sicurezza, infrastrutture, trasporti, comunicazioni, energia, assicurazioni e intermediazione finanziaria, pubblici servizi, ricerca e innovazione ad alto contenuto tecnologico, (chi non ha oggi queste caratteristiche?). Si parla di inserire anche automobili e siderurgia, insomma, quasi tutto, esclusi forse bagnini e bibitari, di cui al caso precedente.

Un esercizio di ipocrisia, perché è vero che occorre star ben attenti soprattutto nel rapporto con certe nuove potenze economiche e bisogna sapere che non si possono scambiare arance con vie della seta, come fece un ineffabile ministro degli Esteri, ma cosa resta, in un quadro come questo, della libertà sostanziale di impresa e di mercato, quella della progettazione dello sviluppo?

Per alcuni è fascino dello statalismo, forse, ma la deriva è rischiosa, incide sul rischio Paese, sulla capacità di attrarre investimenti normali, per paura di invasioni anomale.

Confidiamo dunque che a Palazzo Chigi ci sia davvero una testa pensante in più.

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