Per non perdere il futuroI partiti progressisti devono essere ripensati da zero, dice Tony Blair

In un articolo su New Statesman l’ex premier britannico spiega quali sono le sfide che deve affrontare la sinistra, dalla rivoluzione tecnologica alle battaglie sociali. Ma non vale solo per il Regno Unito: è un discorso che riguarda tutti i Paesi europei

Il Partito Laburista britannico va ripensato, azzerato e ricostruito. Qualunque soluzione diversa da questa non sarà sufficiente a ridare slancio ai progressisti nel Regno Unito. A scriverlo è stato l’ex primo ministro britannico Tony Blair, che con il partito laburista ha governato dal 1997 al 2007.

Blair ha pubblicato un lungo articolo su New Statesman per analizzare le difficoltà dei partiti progressisti europei – a partire da quello del Regno Unito – e indicare per loro una nuova rotta da seguire.

D’altronde le difficoltà dei laburisti non potrebbero essere più evidenti: a dicembre del 2019, diciassette mesi fa, si sono presentati alle elezioni con un candidato di estrema sinistra, almeno sulla carta, e hanno subito la peggiore sconfitta nella loro storia. Ora Jeremy Corbyn è stato sostituito da Keir Starmer, più moderato.

Con Starmer è cambiata la linea ma non la sostanza: i laburisti hanno preso una posizione forte contro l’antisemitismo strisciante dell’era Corbyn, hanno fatto un’opposizione ragionevole alla gestione del Covid-19 da parte del governo, e tutto sembra guidato dal buon senso. Ma ancora adesso il partito fa fatica a far breccia nell’elettorato.

«Il Partito Laburista si sta ora grattando la testa e si chiede perché la sostituzione di un radicale con qualcuno più moderato non stia portando il miracolo della rinascita. Si chiede persino se Keir sia il leader giusto. Ma il partito laburista non si ravviverà semplicemente cambiando leader, va ricostruito da zero», scrive Tony Blair.

Il discorso può essere allargato a tutti i partiti progressisti, scrive l’ex premier: «I partiti politici non hanno alcun diritto divino di esistere e i partiti progressisti di centro e di centrosinistra stanno andando incontro all’emarginazione, se non all’estinzione, in tutto il mondo occidentale».

Il riferimento è al Partito socialista francese che fu di François Mitterrand o al Partito socialdemocratico tedesco che fu di Willy Brandt, ad esempio. La storia è piena di partiti che si sono ridimensionati, o sono svaniti, in pochi anni: nel Regno Unito, il Partito liberale era passato da 397 a 43 seggi in soli 18 anni all’inizio del XX secolo.

Una luce in fondo al tunnel potrebbe essere rappresentata da Joe Biden, che ha riportato i democratici alla Casa Bianca dopo il mandato di Donald Trump. È sicuramente un segnale incoraggiante, ma forse non è il caso di sopravvalutare questa vittoria, o comunque non è detto che la presenza di Biden porti automaticamente a una ripresa dei partiti progressisti europei.

Dopotutto il Partito Laburista britannico viene da quattro sconfitte elettorali e la quinta potrebbe essere dietro l’angolo, i socialdemocratici tedeschi sono stati superati anche dai Verdi, i socialisti francesi meno di dieci anni fa arrivarono all’Eliseo, ora valgono circa l’11 per cento. E ovviamente la sinistra italiana vive di divisioni e faide interne come sempre (o quasi), e si è pure infatuato dei populisti a Cinquestelle.

Blair cerca le cause di questa perdita di consenso e di slancio politico nell’incapacità di intercettare la domanda dei nuovi elettori di sinistra: «Il problema della sinistra è che, in un’epoca in cui le persone vogliono un cambiamento per un mondo che cambia e un futuro più giusto e più prospero, i progressisti radicali non sono ragionevoli e quelli più ragionevoli non sono veramente progressisti».

Il risultato è che oggi l’offerta politica progressista risulta paradossalmente antiquata: in economia i temi sono sempre quelli, e parlano di tassazione e spesa pubblica; sul piano sociale e culturale prevale il messaggio sull’identità e sulla retorica contraria alle forze dell’ordine, che Blair considera potenzialmente repellente per gli elettori. Mentre oggi ci sarebbe bisogno di uno Stato capace di risolvere i problemi e di promuovere l’inclusione sociale e il dinamismo economico allo stesso tempo.

Insomma, i progressisti stanno lasciando alla destra un messaggio economico più pratico e comprensibile, e un messaggio culturale sulla difesa dei valori tradizionali, della famiglia e della patria che avrà sempre uno zoccolo duro nell’elettorato.

Riformulare l’offerta politica della sinistra non sarà semplice, ma scegliere le battaglie più giuste potrebbe essere un primo passo.

La prima sfida è quella dell’evoluzione tecnologica, che rappresenta forse la più grande del nostro tempo: il cambiamento tecnologico più imponente dalla rivoluzione industriale del XIX secolo.

È la rivoluzione di Internet, dell’intelligenza artificiale, della bioscienza, dell’energia pulita, della nutrizione, dei pagamenti finanziari e praticamente di ogni altra cosa. «La domanda è come viene utilizzata: per controllare l’umanità o liberarla, per fornire opportunità a coloro che attualmente non hanno opportunità o per mettere ancora più potere, ricchezza e opportunità nelle mani di coloro che sono già benestanti», scrive Blair.

Questa sfida politica sarà vinta da chi si dimostrerà in grado di padroneggiare la rivoluzione tecnologica e sfruttarla per il bene pubblico. In teoria sarebbe una sfida fatta su misura per la causa progressista: richiede un governo attivo, un impegno per la giustizia sociale e l’uguaglianza, una revisione dei servizi pubblici (Sanità e Istruzione su tutti), infrastrutture digitali.

«Tutto ciò che riguarda il mondo in cui viviamo – spiega Blair – e ancor di più quello in cui stiamo per vivere, richiede una risposta progressista. Ma il pensiero della sinistra radicale in tutto l’Occidente è ridondante: proprietà pubblica dell’industria, università “gratuita”, una maggior regolamentazione per le aziende: tutte queste soluzioni tradizionali, sembrano radicali perché provengono da una sinistra tradizionale che li ha presentati come tali, ma politicamente sono ormai pezzi da museo, relitti persistenti di un’ideologia obsoleta».

Non è che le questioni tradizionali non contino, è solo che in questo momento passano in secondo piano rispetto alle sfide presentate dalla rivoluzione tecnologica.

L’esempio che fa l’ex premier britannico riguarda la Sanità: la richiesta di una maggior spesa pubblica per i sistemi sanitari nazionali deve certamente far parte del dibattito pubblico, ma diventa un capitolo all’interno del discorso più ampio su come si può perfezionare e sfruttare al meglio la tecnologia per modificare la diagnostica, la prevenzione e la salute pubblica.

Lo stesso vale per il cambiamento climatico o l’istruzione.

La sfida ambientale va affrontata con una rivoluzione nei mezzi di trasporto e nelle infrastrutture, per promuovere l’elettrificazione e il passaggio dai viaggi aerei a quelli su ferro ad alta velocità. Il fatto che il sistema ferroviario sia di proprietà pubblica o privata è solo una piccola parte del quadro.

Sull’istruzione Blair scrive: «Il modo in cui sfruttiamo la possibilità dell’insegnamento e dell’apprendimento online per cambiare il modo in cui istruiamo i nostri giovani, e come di conseguenza si evolveranno le capacità di insegnamento, deciderà se in futuro saremo o meno una nazione istruita. E le nazioni che sono per prime otterranno un vantaggio sproporzionato».

L’avvertimento dell’ex premier britannico, dunque, non potrebbe essere più chiaro: si può scegliere qualunque settore, qualunque argomento di discussione politica – dalla giustizia alla difesa, dalla tassazione all’ambiente – ma in ogni caso la rivoluzione tecnologica va messa in primo piano. «Non puoi organizzare il futuro con un playbook del passato», scrive Blair.

Affrontare queste sfide nel modo giusto significa anche evitare di regalare un’altra stagione politica alla destra. «Gran parte dell’opinione progressista moderata vuole semplicemente tenersi alla larga dalle questioni culturali e di identità: i moderati, spesso di vecchia generazione, non capiscono bene la forza del sentimento su questioni come i diritti dei trans e temono di inciampare o di dire la cosa sbagliata. Così sono arrivati a dire che non c’è una guerra culturale in corso. Ma una vita in politica mi ha insegnato che, per quanto tu possa essere un leader di successo, non sempre decidi l’agenda. Puoi decidere la risposta, ma non puoi sempre decidere la domanda».

Tenere la testa bassa non è una strategia. I progressisti oggi si stanno facendo dettare l’agenda dalla destra perché non vogliono affrontare le battaglie cruciali di questo momento storico.

La conseguenza è che i progressisti “radicali” sono diventati l’unico vero interlocutore progressista. Ma i partiti di sinistra devono uscire da questa impasse. Oggi i partiti progressisti, continua Blair, si stanno fratturando mentre quelli conservatori hanno letto i cambiamenti e si stanno adattando di conseguenza.

Nel Regno Unito, per fare un esempio su tutti, i politici progressisti aperti alla sfida del cambiamento si trovano nel Partito Laburista, nei Lib Dem e tra i senza casacca.

«Abbiamo bisogno – conclude Blair – di un nuovo movimento, di una nuova agenda e della costruzione di una nuova coalizione di governo progressista. Si dovrebbe iniziare da un dialogo tra i laburisti, con i Lib Dem che la pensano allo stesso modo, e con i non allineati. L’alternativa è ritrovarsi a combattere per una causa che non è chiara, con le mani legate dietro la schiena, su un terreno che non abbiamo scelto, in una battaglia che non possiamo vincere, contro un nemico che non merita di trionfare».

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