Vizi capitaliL’ambizioso piano Ue per la difesa comune ignora l’assenza della leadership europea

Il nuovo pacchetto presentato a Bruxelles va a rafforzare il coordinamento per l’acquisto congiunto di armi: l’idea è evitare una competizione interna nel riarmo degli arsenali. Ma non crea un’architettura comunitaria e non definisce le linee guida generali per una politica militare e di sicurezza di tutti gli Stati membri

AP/Lapresse

Se volere è potere allora l’Unione Europea dovrebbe ormai essere una superpotenza militare. Nel corso dei decenni il blocco si è dotato di innumerevoli strumenti diventare un attore rilevante nel campo della difesa, provando a rispondere alle crisi di sicurezza che divampano ai suoi confini.

Lo slancio verso la difesa comune è stato ciclicamente frustrato dagli Stati membri, ma anche da soluzioni istituzionali viziate da una complessità burocratica paralizzante per un sistema di sicurezza.

Ci vuole tempo affinché un’Unione prevalentemente economica trovi la sensibilità politica e il formato giusto per intervenire nell’area di governo più gelosamente custodita dagli Stati, ed è un processo ben più laborioso e certosino della semplice adozione di un “linguaggio di potere” (espressione utilizzata da Ursula von der Leyen all’inizio del suo mandato alla guida della Commissione europea). Le false partenze e gli errori commessi a partire dal 2016 ne sono una dimostrazione.

Eppure, le diverse iniziative lanciate dall’Unione europea hanno composto un mosaico che ormai tocca molti aspetti della politica militare: l’analisi e l’identificazione delle proprie capacità militari (la Revisione Coordinata Annuale sulla Difesa – Card – fornisce rapporti ciclici sullo stato delle forze armate europee), la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie (programmi di ricerca comuni possono essere co-finanziati dal Fondo Europeo per la Difesa – Edf), persino la fornitura di aiuti a partner militari esterni al blocco (lo Strumento Europeo per la Pace ha fornito 2 miliardi di euro in aiuti all’Ucraina). Con la Cooperazione Strutturata Permanente – Pesco – inoltre, gli Stati hanno concordato obiettivi ben più ambiziosi in termini di cooperazione europea.

Un ultimo tassello è stato aggiunto questo mese, con un ambizioso pacchetto della Commissione che mira a introdurre diverse misure per quel che riguarda l’acquisto di sistemi d’arma a livello comunitario.

Nel testo, che verrà sottoposto a breve al Consiglio europeo, emergono in particolare due elementi: la creazione di una Task Force per coordinare l’acquisto di armi finanziato dall’enorme aumento di spesa militare, e l’organizzazione di consorzi multinazionali (Edcc) per l’acquisto congiunto di nuovi sistemi d’arma.

L’idea è evitare che la corsa a rimpinguare gli arsenali europei, parzialmente svuotati dagli aiuti a Kiev e anni di tagli al bilancio, sfoci in una competizione aperta per le capacità ridotte dell’industria.

È un fenomeno che già vediamo: se perfino gli Stati Uniti faranno fatica a ricostituire i propri arsenali di missili antiaerei nel breve periodo, in Europa i rappresentanti di Paesi più piccoli già non riescono più a ottenere appuntamenti con produttori di armamenti.

Oltre ai costi spropositati causati da una domanda per ora superiore all’offerta, l’urgenza rischia di mettere a repentaglio l’approccio comunitario: in nome della rapidità c’è il rischio che i governi vadano per soluzioni puramente nazionali, frammentando ulteriormente il panorama militare europeo, oppure che si rivolgano a prodotti off the shelf extraeuropei.

Acquisire blindati o sistemi antimissili vuol dire votare il proprio esercito a logistica, manutenzione e addestramento su quei sistemi per i prossimi dieci anni: in mancanza di soluzioni paneuropee è quindi fondamentale ridurre al minimo i doppioni e massimizzare l’acquisto di veicoli e armi con sistemi logistici compatibili con quelli di altri alleati europei.

Ovviamente, le proposte presentate dalla Commissione sono soluzioni ad hoc che cercano di evitare che questo ritorno della difesa in cima all’agenda politica danneggi le chance di un approccio comunitario.

In più, Bruxelles sembra voler cogliere l’occasione per affiancare alle strutture esistenti nel campo della ricerca e dello sviluppo meccanismi di procurement, cioè di approvvigionamento, rimasti finora una competenza meramente nazionale.

Un approccio di mero coordinamento ha sicuramente vantaggi, ma ignora l’assenza di una chiara leadership europea nel settore. Si è scelto un approccio puramente intergovernativo senza consolidare, se non le competenze, almeno gli attori con cui gli Stati membri devono interloquire. Si è relegato a un ruolo di secondo piano l’Agenzia Europea per la Difesa, l’Alto Rappresentante e la Direzione Generale Industria della difesa e dello spazio, attualmente le uniche autorità che esprimono un approccio europeo alla politica di sicurezza e difesa.

Uno strumento come il Capability Development Plan, che regolarmente individua le priorità e le opportunità cooperative per le forze armate europee, rimane non vincolante proprio ora che sarebbe necessaria una guida più decisa sulla direzione in cui i nostri sforzi comuni dovrebbero andare.

Soprattutto, ancora una volta l’Unione adotta un approccio volto ad aggiungere singoli strumenti e istituzioni (in questo caso la task force e l’Edcc) al quadro preesistente senza aver concordato a priori un’architettura generale che sia logica, coerente, efficiente.

Il rischio così è che tra qualche anno ci si trovi di fronte ad un’Europa della difesa costituita dalla stratificazione di iniziative approvate sull’onda delle necessità del momento e sulla base dello spazio politico contingente, senza sufficiente riguardo per le interazioni tra di esse. Al contrario, una difesa efficace necessita che ciascuna fase sia pensata in modo coerente con la precedente e con la successiva – la definizione delle necessità e dei requisiti, la fase di ricerca e quella di sviluppo, quella di acquisizione.

Insomma, sarebbe opportuno che Stati membri e istituzioni europee – e qui l’Italia potrebbe giocare un ruolo propulsivo – cominciassero a pensare seriamente a quale dovrebbe essere, e come dovrebbe funzionare, la difesa europea di domani.

Michelangelo Freyrie è ricercatore junior nei programmi difesa e sicurezza dell’Istituto Affari Internazionali.

Nicoletta Pirozzi è responsabile del programma Europa dell’Istituto Affari Internazionali.

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