Governi sotto accusaLa causa più importante di sempre alla Corte di Strasburgo sarà sul clima?

In autunno, diciassette giudici della Cedu ascolteranno sei giovani ragazzi che - sostenuti da dieci avvocati - sono riusciti a portare in tribunale trentatré Paesi europei, Italia inclusa, per la loro inazione climatica. È la prima volta che accade, e secondo esperti legali sarà un evento che potrebbe segnare una svolta nell’attivismo ambientale

LaPresse

Sono passati ormai nove anni da quando, nel 2013, un gruppo di giovani ambientalisti della Fondazione Urgenda fece causa al governo olandese di Mark Rutte per la sua costante inazione di fronte alla crisi climatica. Ricordiamo che i Paesi Bassi sono storicamente uno degli Stati europei che utilizza di più i combustibili fossili per uso domestico. Nel 2018, per esempio, il gas fossile ha ricoperto il 71% della domanda energetica per il riscaldamento residenziale. La vicenda terminò con la prima – e inaspettata – vittoria dei cittadini contro un esecutivo accusato di non fare abbastanza per contrastare gli effetti del riscaldamento globale. 

Quello del 2013 fu solo l’inizio di una sorta di nuovo attivismo, rivolto direttamente ai tribunali. Una sorta di “movimento legale” avanzato dalle nuove generazioni, le più minacciate dalla crisi climatica che quest’estate sta mordendo come non mai anche nei Paesi teoricamente meno a rischio. 

Il nuovo – e finora più importante – capitolo di queste vicende sullo stile di “Davide contro Golia” potrebbe essere scritto nell’autunno di quest’anno, quando la Corte europea per i diritti dell’uomo giudicherà 33 Stati per la loro indifferenza dinanzi a una situazione in costante peggioramento. E tra loro c’è anche l’Italia, attualmente nel pieno della campagna elettorale. Stiamo parlando di un contenzioso climatico che viene definito epocale, e che potrebbe avere effetti davvero concreti sulle Nazioni coinvolte. 

Come racconta il Guardian, tutto è partito dal coraggio di Cláudia Agostinho, studentessa di infermieristica e assidua frequentatrice della spiaggia di Pedrogão, nella Leira. Ma ormai da cinque anni, a causa degli incendi che hanno devastato la riserva naturale di Pedrogão Grande, quella spiaggia selvaggia e incontaminata si può vedere solo su Google o in cartolina. 

Nel 2017 le fiamme hanno infatti polverizzato un’area grande quattro volte Lisbona, uccidendo 66 persone, ferendone 250 e distruggendo 20.000 ettari di foreste. Una catastrofe che ha sconvolto un Paese. Un esempio concreto dell’indomabile violenza del cambiamento climatico che – tra le altre cose – porta siccità e desertificazione: due fenomeni che permettono agli incendi boschivi di propagarsi con grande velocità. 

Nel 2022, a causa delle fiamme che continuano a devastare diverse aree del nostro continente, la popolazione portoghese sta rivedendo i fantasmi del 2017. Il caldo della scorsa primavera ha lasciato in eredità un suolo insolitamente secco, che è terreno fertile per gli incendi (spesso causati dall’uomo). Ed è proprio quest’anno – in una data ancora da definire nella stagione autunnale – che 17 giudici della grande camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ascolteranno Cláudia Agostinho e altri cinque ricorrenti (due di loro sono addirittura minorenni).

Stiamo parlando di sei giovanissimi attivisti, sostenuti dalle rispettive famiglie, che dopo la catastrofe di cinque anni fa hanno presentato un esposto contro i governi del Portogallo e di altri 32 Stati europei: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Germania, Grecia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Croazia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito e Turchia. 

I Paesi sopracitati sono accusati di avere indirettamente devastato l’area di Pedrogão Grande per via delle loro emissioni di anidride carbonica. I ricorrenti sostengono inoltre che gli incendi del 2017 abbiano causato allergie, problemi del sonno e difficoltà respiratorie aggravate dalle ondate di calore. Queste ultime, per colpa del cambiamento climatico, sono sempre più frequenti, intense, lunghe. 

Ovviamente, Cláudia Agostinho e gli altri cinque ricorrenti – uniti da legami di parentela – non hanno fatto tutto da soli. A fornirgli assistenza e supporto è stato un team di dieci avvocati britannici del Global legal action network (Glan), un’associazione da sempre molto attiva nel campo dei diritti umani. In più, i costi legali sono stati in parte coperti da una campagna di crowdfunding che ha avuto – e sta avendo – un discreto successo. 

Il caso è stato finalmente preso in carico nel settembre 2020, e dopo due anni i sei giovani avranno la possibilità di guardare negli occhi i giudici della Corte di Strasburgo. Secondo Cláudia, la recente svolta è stata innescata dalla gravità degli incendi boschivi di quest’estate, simili in modo inquietante a quelli del 2017. Sarebbe l’ennesima dimostrazione del fatto che, prima di agire, i potenti devono sempre aspettare il danno. 

«Non esagero nell’affermare che questo potrebbe essere il caso più importante di sempre alla Corte europea dei diritti umani», ha detto al Guardian Marc Willers QC, uno degli avvocati che difenderà i ricorrenti. Se i giovani dovessero vincere, i governi dei 33 Paesi europei saranno vincolati a incrementare le loro politiche per tagliare le emissioni di gas serra, ma non solo: dovranno tenere traccia del loro contributo alla crisi climatica nei Paesi più poveri (quelli più minacciati da questa emergenza) e porre dei freni alle attività inquinanti delle aziende che operano al di fuori dei rispettivi confini nazionali. 

Secondo esperti legali da tutto il mondo, ciò che accadrà in autunno ha il potenziale per dare una svolta a un tipo di attivismo – quello che si rivolge direttamente ai tribunali – che ha sempre avuto un discreto impatto mediatico ma scarsi effetti concreti. Pianeta 20 del Corriere scrive che i contenziosi climatici intentati dai ragazzi contro le multinazionali o i governi sono in costante aumento: sono stati circa 800 tra il 1986 e il 2014, mentre negli ultimi sette anni hanno toccato quota 3.000. Tra questi c’è anche la causa “Giudizio Universale”, indirizzata allo Stato italiano attraverso un atto di citazione davanti al Tribunale civile di Roma. 

«Gli attori – si legge sull’atto di citazione – evocano in giudizio lo Stato italiano per conseguirne l’osservanza, nei tempi e nei modi prescritti, delle proprie obbligazioni positive, di contrasto al cambiamento climatico». La causa è sostenuta da più di 200 ricorrenti, tra cui 17 minori – rappresentati in giudizio dai genitori – e 24 associazioni specializzate nella giustizia ambientale e nella difesa dei diritti umani.