La notizia principale rimbalzata su tutti i giornali e siti di news è la seguente: per la prima volta da quando vengono registrati questi dati, nel 2022 il solare e l’eolico hanno superato il gas fossile, generando il ventidue per cento dell’elettricità totale. Parliamo, precisamente, del 22,28 per cento contro il 19,91 per cento. L’importante traguardo è stato certificato dall’European electricity review 2023 del think tank Ember. Dal report, però, emergono altri numeri su cui è doveroso soffermarsi.
Il carbone, ad esempio, ha reso il sette per cento in più rispetto al 2021 (15,9 per cento in totale), e le emissioni di gas serra del settore energetico dell’Unione europea sono cresciute del 3,9 per cento. Questi numeri sono frutto di uno dei volti di quella che Ember ha definito la «doppia crisi del sistema elettrico europeo». Da una parte c’è il prezzo del gas alle stelle (anche) per via dell’invasione russa in Ucraina. Dall’altra, invece, la siccità e il caldo estremo: due effetti strettamente correlati all’emergenza climatica.
La carenza di precipitazioni significative e le temperature elevate hanno messo il bastone tra le ruote a diverse centrali nucleari del nostro continente, specialmente in Francia. Ma soprattutto, evidenzia il report, la produzione di energia idroelettrica in Ue nel 2022 è stata la più bassa del nuovo millennio. Insieme, nucleare e idroelettrico hanno generato il 32,04 per cento dell’elettricità europea: un calo di circa cinque punti percentuali rispetto al 2021 (37,5 per cento).
Secondo Copernicus, l’Europa ha vissuto la sua peggior siccità degli ultimi cinquecento anni. Un lontano ricordo? Non esattamente. La siccità, come abbiamo spiegato qui, ha una coda lunga, e le prospettive per i prossimi anni non sono rosee. Per questo l’energia idroelettrica – che dipende dalla portata dei laghi, dei bacini artificiali e dei fiumi – è probabilmente destinata a ricoprire un ruolo sempre più marginale. In più, l’acqua è fondamentale per il raffreddamento delle centrali. Definire l’idroelettrico incompatibile con le attuali condizioni climatiche è forse affrettato, ma i dati del 2022 devono innescare una riflessione costruttiva. Non sarà facile colmare del tutto la carenza idrica accumulata.
Il futuro di questa fonte di energia è più traballante che mai. Non possiamo fare a meno dell’idroelettrico, anche perché il solare e l’eolico non sono ancora abbastanza diffusi da compensare la perdita di elettricità generata dall’acqua. Il rischio, in mancanza di alternative, è quello di fare maggior ricorso ai combustibili fossili, che stanno continuando a crescere nonostante l’incoraggiante spinta rinnovabile degli ultimi anni.
L’energia idroelettrica è la fonte “green” più antica e redditizia al mondo. Era il 1879 quando, nel pieno della seconda rivoluzione industriale, nei pressi delle cascate del Niagara venne costruita la prima centrale in grado sfruttare la potenza dell’acqua. Per quanto riguarda l’Italia fu decisivo il periodo fascista: per raggiungere l’obiettivo dell’indipendenza energetica, sorsero decine di nuovi impianti nel giro di pochi anni.
Stando a un report dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), nel 2020 l’idroelettrico ha soddisfatto un sesto della produzione globale di elettricità (circa 4.500 TWh). Questa tecnologia – che risulta vitale per i Paesi in via di sviluppo – genera più elettricità di tutte le rinnovabili messe assieme e il cinquantacinque per cento in più del nucleare. L’idroelettrico ha però raggiunto la sua piena maturità ed è la fonte di energia pulita che sta accusando maggiormente gli effetti della crisi climatica. Nel 2019, l’Iea ipotizzava per il 2050 un raddoppio dell’elettricità globale generata dall’acqua. Dopo l’estate che abbiamo vissuto, però, la fiducia attorno all’idroelettrico non è più la stessa.
Da gennaio ad agosto 2022, secondo Terna, gli impianti idroelettrici italiani hanno prodotto 20.981 GWh di energia contro i 34.105 dello stesso periodo del 2021 (-38,5 per cento). In Lombardia sono state momentaneamente chiuse le centrali di Sermide, al confine col Veneto, e una sezione di quella di Ostiglia, in provincia di Mantova. Si è rivelata un’estate tragica anche per l’impianto di Isola Serafini, in provincia di Piacenza: a causa della secca del Po – la peggiore degli ultimi settant’anni – la centrale si è fermata nel mese di luglio e ha continuato a funzionare a singhiozzo per tutto agosto.
Secondo l’Osservatorio permanente sugli utilizzi idrici del bacino del Po, ad agosto 2022 la carenza di acqua ha causato una produzione di energia idroelettrica più bassa del quaranta per cento rispetto all’anno precedente. Tra le Regioni italiane più sofferenti c’è la Lombardia, che secondo Terna ospita 733 dei circa 4.700 impianti presenti in Italia. La situazione è critica in tutto il continente: per rendere l’idea, a marzo 2022 la generazione idroelettrica nella penisola iberica è calata del 51,8 per cento rispetto a marzo 2021.
Quando parliamo di idroelettrico europeo, non bisogna dimenticare il tema dell’obsolescenza degli impianti. In Italia, per esempio, non nascono nuove grandi centrali da circa vent’anni e gli investimenti sono fermi. La nostra generazione idroelettrica si regge su strutture che, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, hanno un’età media di quarantacinque anni e necessitano di interventi di manutenzione e ammodernamento, fondamentali per reagire alle conseguenze del riscaldamento globale.
Stando a un report di The European House-Ambrosetti, il settanta per cento degli impianti idroelettrici italiani ha più di quarant’anni. Inoltre, l’ottantasei per cento delle concessioni delle grandi centrali è già scaduto o scadrà entro il 2029. Allo stato attuale, quindi, appare necessaria anche una revisione della durata delle concessioni idroelettriche.
Con un allungamento di dieci anni, l’investimento totale immediatamente attivabile ammonterebbe a quota 9,7 miliardi di euro. E le ricadute, dirette e indirette, sarebbero positive sia per il territorio, sia per lo Stato. Con la proroga delle concessioni, la generazione idroelettrica italiana potrebbe crescere tra il cinque e il dieci per cento entro il 2029. Come spesso accade, il problema è anche di natura economica e normativa.