Pensando a questa intervista, mi ero attrezzato per parlare di Pier Paolo Pasolini. A Walter Siti, critico letterario, romanziere, grande conoscitore dell’opera dello scrittore friulano, avrei voluto domandare come il tema del corpo sia stato scandaloso nei libri di Pasolini, e come oggi l’ossessione erotica possa ancora risultare scabrosa, in un’epoca che ha sdoganato quasi ogni tabù. Invece la conversazione con Siti si è rivolta subito al nostro tempo presente. La parola “corpo” si è trasformata in una lente attraverso cui osservare i paradossi di «una società che invoca diritti per tutti e classifica ogni diversità, ma ha il terrore del desiderio».
Niente Pasolini, dunque. Del resto, ciò che Siti aveva da dire sul poeta e scrittore l’ha snocciolato lungo un’intera vita di ricerche e pubblicazioni. La sintesi di quell’immenso lavoro critico è ora condensata nel suo ultimo libro, Quindici riprese. Cinquant’anni anni di studi su Pasolini (Rizzoli), una raccolta di saggi densa di sfumature, che attraversa la vita, il corpo e l’opera di Pasolini tra i due cardini opposti di onnipotenza e senso di colpa. Così ci si spalanca un presente dove «le categorie di YouPorn classificano le perversioni fino a renderle socialmente accettabili», dove «il desiderio viene normalizzato e reso sterile», e dove forse l’unica zona franca per esprimere la verità dell’ossessione carnale è ancora la letteratura.
Il tema del corpo è sempre andato a braccetto con quelli della seduzione e della trasgressione. Non è più così?
«Oggi assistiamo a una contraddizione. Da una parte, la corporeità è un argomento di cui si parla più che nel passato. Dall’altra, però, il corpo si è smaterializzato; il desiderio si è ridotto a qualcosa di innocuo».
Corpo e desiderio, a quanto pare, hanno preso strade diverse
«L’attenzione al tema della fisicità oggi non manca. Argomenti molto intimi, che una volta erano tabù, come la masturbazione femminile o le mestruazioni, diventano oggetto di narrazioni. Penso al romanzo d’esordio di Giada Biaggi, Il bikini di Sylvia Plath, da poco uscito per Nottetempo, dove la protagonista parla a lungo dell’utilizzo che fa dei sex toys. Oppure a Strega comanda colore di Chiara Tagliaferri, uscito quest’anno per Mondadori, una sorta di auto-fiction dove il tema del corpo è messo in evidenza in modo estremo. Però, mentre aumenta il racconto del corpo, noto anche una sorta di normalizzazione sociale. Per esempio, c’è una parola che adesso domina nel discorso sui rapporti di coppia: è l’aggettivo “tossico”. Sempre più spesso si sente dire che se un amore diventa ossessivo, allora è un amore tossico e perciò bisogna subito troncare. Si è persa, o si vuole rimuovere, l’idea che l’amore possa far soffrire, o che possa avere risvolti tragici. Mi sembra un fenomeno degli ultimi anni: il bisogno di eliminare la parte pericolosa dell’eros.
Nella società del politicamente corretto, ogni aspetto della vita deve avere una faccia presentabile. Anche un tema come la perversione può lasciarsi addomesticare?
«Un esempio è nel sadomasochismo. Una volta era una perversione che poteva portare a casi estremi di opposizione totale al vivere civile e anche al carcere, come nel caso del Marchese de Sade. Ora, invece, assistiamo alla nascita di gruppi bdsm come fossero innocenti gruppi di Facebook. Ci tengono a rassicurarci sul fatto che i loro rapporti sono fra adulti consenzienti, precisano che non c’è nessuna violenza, che basta una parola perché al rapporto venga posto termine, e che la terminologia di “schiavo” e “padrone” è puramente giocosa. Rivendicano insomma il diritto di fare il loro gioco».
La perversione così viene moralizzata?
«Ogni perversione, ormai, ha la sua nicchia, quasi fosse una categoria merceologica, così come avviene con gli scaffali delle librerie: libri di viaggio, classici, saggi. Non è un caso se portali come YouPorn e affini sono divisi per categorie. Ce n’è una, per esempio, che si chiama “cuckold”, ossia “cornuto”. Sono coloro che godono nel vedere la propria compagna posseduta da un altro. Una volta, tale propensione era catalogata come una perversione, cioè il voyeurismo. Adesso è presa come una rispettabile categoria di persone che ha diritto di vivere liberamente la propria sessualità».
Ho in mente un suo romanzo del 2010 nel quale si insiste molto sul tema del corpo, tanto che vi sono inserite anche diverse fotografie di un uomo muscolosissimo. In generale, però, nella letteratura italiana degli ultimi decenni, non mi pare che il tema della corporeità legato alle ossessioni sia stato molto presente. C’è qualche romanzo di oggi dove il corpo sia trattato in maniera forte?
«Quel mio romanzo del 2010 s’intitola non a caso Autopsia dell’ossessione, perché racconta proprio un’attrazione del corpo basata sul tormento di una mania erotica. In questo senso, mi ha colpito moltissimo Le ripetizioni di Giulio Mozzi, uscito lo scorso anno da Marsilio. Contiene scene di violenza quasi insopportabili, tanto che può essere difficile sostenerne la lettura. L’ho trovato un testo bello e molto forte, l’ho anche recensito in termini elogiativi. Il tema della perversione in quel libro è portato all’estremo limite, è una specie di viaggio che conduce fino in fondo a tutto ciò che sarebbe proibito, con in controluce un profondo senso del peccato».
Oggi dov’è il senso del peccato?
«Ci sono ancora alcuni tabù. Il più tenace riguarda il corpo dei bambini. Il tema della pedofilia è intoccabile. Ricordo che quando è uscito il mio romanzo Bruciare tutto, nel 2017, per un paio di mesi non ho quasi avuto vita. Ero stato attaccato perché avevo narrato le tentazioni pedofile di un prete senza premettere che trovavo tutto questo infame, senza cioè una condanna preventiva. Nel caso del mio romanzo, mi pare che il mio punto di vista sulla questione venisse da sé, con lo svolgimento della storia. Comunque è inevitabile: se provi a metterti dentro la testa di un soggetto che ha pulsioni pedofile, ti dicono che stai dalla sua parte. Tuttavia, penso che un romanziere non debba fare premesse alla storia che sta per raccontare, nemmeno se si tratta di una storia dura e terribile».
L’omosessualità può ancora suscitare scandalo?
«L’omosessualità è ormai sdoganata, ma soltanto in termini di diritti sociali e civili. È come se si fosse tolto agli omosessuali il diritto di essere anche perversi. L’esigenza di affermare la legittimità di qualunque forma di desiderio ha preso il sopravvento sul racconto di come si manifestano i vari tipi di ossessione erotica. Io ho l’impressione che il desiderio e i diritti non vadano tanto bene insieme. Se si vuole lasciare libera l’espressione del proprio desiderio, si deve accettare l’idea che questo possa essere anche ingiusto e violento».
Violento?
«Non dico violento in termini materiali. Prendiamo il mio caso: io ho l’ossessione del mito di Ercole, e se trovo un ragazzo di 30 anni che ha muscoli enormi e corrisponde al mio ideale, è possibile che me ne innamori, o meglio: me ne ossessioni. Ma mentre gli sto facendo incarnare il mio mito, in realtà gli sto facendo violenza, perché so che non mi importa niente di lui come persona: egli diventa una sorta di portatore del mio immaginario; è come se io gli mettessi addosso un’identità che non è sua. E questa è certamente una violenza».
Crede che il desiderio del corpo porti sempre con sé una dose di violenza?
«Quasi sempre. È questo che oggi fa paura e che si cerca di cancellare. Ma del resto, mentre uno segue il proprio desiderio, non si può preoccupare troppo del fatto che possa offendere qualcuno. Certe forme di desiderio, quando diventano ossessive o perverse, è difficile che possano fare a meno di una qualsiasi forma di conflitto. Ovviamente, se ciò si traduce in un danno reale per l’altro, è giusto che il colpevole sia stigmatizzato e anche punito dalla legge. Però credo che castrare il desiderio in maniera preventiva sia una premura eccessiva: una specie di subdola censura, tipica di questo nostro tempo. In generale, direi che al desiderio – a ogni tipo di desiderio erotico – si danno oggi delle rotaie per andare in una direzione stabilita. Certo, sono rotaie molto più numerose rispetto a quelle di una volta, ma sempre rotaie sono. È falso affermare che ormai l’eros può andare davvero dove vuole. Se non corre sui binari, il desiderio è ancora uno scandalo».