Cosa succede nel Pd schleiniano? Succedono varie cose, di diverso segno, non tutte facilmente decifrabili. Succede che il partito cresce nei sondaggi, ormai sopra il 20 per cento, si rafforza l’immagine della nuova leader – immagine non solo come “immagine” ma come fatto politico cioè come espressione di una radicalità che incrocia una domanda reale – e succede anche che qualcuno non mandi giù esattamente questo radicalismo. I cattolici, si è detto. Ma non solo.
I cosiddetti riformisti un po’ mordono il freno, anche perché non c’è nessuno che si prenda la briga di organizzarli in una vera componente di minoranza. Il problema è che per adesso tra sovranismo e populismo – così Matteo Renzi identifica Giorgia Meloni ed Elly Schlein – c’è poco o nulla. Soprattutto a causa della tarantella dei giorni scorsi tra Azione e Italia viva, a cui sono seguiti il fastidio di Emma Bonino, le ironie dei giornali, il gelo dell’opinione pubblica con il tramonto del progetto del Terzo Polo nel cielo della politica ormai giudicato ineluttabile.
Poi ieri un dirigente importante del Partito democratico, Enrico Borghi, annuncia il passaggio proprio nel partito di Renzi, visto che il Pd di Elly è diventato troppo radicale e massimalista, è in atto una vera e propria «mutazione genetica», addirittura «è diventato la casa di una sinistra massimalista figlia della cancel culture americana che non fa sintesi e non dialoga». Una piccola bomba. Uno strappo improvviso da parte di uno dei dirigenti del Pd più stimati, culturalmente ferrato, grande esperto di sicurezza e difesa. Va via senza averne discusso con nessuno, nemmeno con Enrico Letta (della cui segreteria faceva parte), nemmeno con Lorenzo Guerini, leader della vecchia “Base riformista”.
È un fatto che non stravolge la politica italiana ma che segnala una scossetta registrata al Nazareno con molto disappunto (eufemismo) da dove sono partite varie insinuazioni sulla rabbia di Borghi per essere rimasto fuori dalla segreteria della nuova segretaria. Le solite cattiverie verso chi va extra ecclesiam. Ma è indubbio che uscire da un partito del 20 per cento e in buona salute per entrare in uno accreditato del 2,5 per cento con tutti i guai che ha non pare esattamente un gesto dettato da opportunismo, semmai il contrario.
Al microscopio questo episodio segnala due cose. La prima riguarda il Pd schleiniano – lo si è detto – dove questa prima scossa potrebbe causarne altre, o quantomeno segnalare che si può fare politica non solo nel partito di Elly Schlein ma anche altrove pur restando nel solco del riformismo, dunque che un’alternativa al nuovo corso esiste; e appunto la seconda cosa riguarda un insperato ancorché parzialissimo ritorno in campo del progetto del Terzo Polo. «È un effetto fisarmonica – ha spiegato Renzi – ci stringiamo e poi ci allarghiamo di nuovo. Alla fine siamo sempre qua».
Il leader di Italia Viva è tornato ieri baldanzoso, dopo giorni di silenzio mista a rabbia mista a incredulità per le bordate di Carlo Calenda e l’inabissamento del progetto del partito unico. La sua idea, a questo punto non priva di possibilità di successo, potrebbe essere questa: Azione e Italia Viva restano in un unico gruppo parlamentare (da notare che con Borghi Iv arriva a 6 senatori e può costituire da sola il gruppo), resta in campo l’ipotesi di una federazione Azione-Italia Viva (magari con due leader donne) e infine lista unica alle Europee, ovviamente anche con altri soggetti, Più Europa in primis.
Dopo gli accenni autocritici dell’altro giorno – forse ho esagerato – ora bisognerà capire se dinanzi al rilancio di “Matteo” Carlo Calenda ascolterà le preoccupazioni di vari esponenti di Azione circa il futuro politico della propria organizzazione e dovrà valutare se questa ha le gambe per marciare da sola: dipende da lui, visto che per Renzi il filo non si è mai spezzato definitivamente. Perché di una forza alternativa al sovranismo della destra e al populismo del Pd «ha bisogno il Paese» e dunque «lo spazio c’è».
Lui non sa dire chi ma è certo che altri arriveranno: se Elly sarà fedele alla sua impostazione ci saranno «giocoforza» delle conseguenze sulla falsariga del caso-Borghi, e se vorrà evitarle «dovrà perdere la sua identità». Renzi intanto spalanca le porte, una delle cose che sa fare meglio.