In quel secolo nel quale molti di noi sono stati così fortunati da aver vissuto, una volta un dirigente Rai polemizzò con Pippo Baudo, dicendo che faceva programmi nazionalpopolari. Era un secolo meno petulante, quindi non arrivarono centinaia di opinionisti smaniosi di dimostrarci che avevano letto Gramsci. Era un secolo in cui gli adulti sapevano badare a sé stessi e quindi Baudo se la cavò sbottando: vorrà dire che d’ora in poi cercherò di fare programmi regionali e impopolari.
Oggi non c’è un Baudo perché non c’è più quell’Italia lì – quella figlia del maestro Manzi e della Dc, quella che si sforza di parlare senza accento e che riesce a tenere insieme tutto – e tutto è nicchia, e tutti hanno il terrore di essere impopolari (cioè: di non prendere i like) e soprattutto regionali.
In ventisette anni trascorsi a farmi pagare per scrivere, mai lo scandalo per qualche spregiudicatezza da me concepita ha avuto la tenuta di strada di quello dei romani ancor oggi offesi perché un paio d’anni fa scrissi che la loro lingua va sottotitolata per il pubblico fuori regione. Oggi, che parliamo tutti solo a chi parla come noi, guai a dirci che non parliamo a tutti.
E quindi oggi, che a capo del governo c’è la tizia d’un partito fortemente connotato, che però come tutti vuol piacere a tutti e non si capacita di non essere la Dc, oggi quella tizia, che somiglia all’Italia di oggi e al mondo di oggi e come tutti vuole consenso universale, oggi (presente storico, in realtà l’altroieri) quella tizia invia la sua brava letterina al Corriere, scelta di ripiego rispetto all’inviarla a sé stessa dal palco di Sanremo.
La sua brava letterina in cui dice che non è nostalgica d’una dittatura il cui dittatore è morto trent’anni prima che lei nascesse, come le toccherà dire ogni 25 aprile da qui alla fine dei suoi mandati (io sarò morta di noia prima della fine, temo); ma in cui dice anche che sarebbe giusto che la festa dell’antifascismo fosse anche un po’ di quegli altri. È, come spesso le accade (alla Meloni, non alla festa), in sintonia col proprio tempo, che è quello del Grande Indifferenziato.
Mi pare fosse Churchill (ma probabilmente su Google potrei trovarla attribuita un po’ a chiunque, da Lady Gaga a Nabokov) che diceva che gli italiani erano quarantacinque milioni di fascisti prima della fine della guerra e quarantacinque milioni di antifascisti dopo la guerra. Il che trova conferma a ogni 25 aprile, allorché ogni italiano ci notifica sui social di aver avuto i nonni partigiani. Cento milioni di partigiani, va rivista la demografia.
Mi aspetto che entro il quinto 25 aprile della legislatura anche la Meloni sfoggi un nonno partigiano (anzi: patriota, come fatto correggere dal sindaco di Bologna sulle targhe e come detto dalla signora con cui la Meloni si è fatta fotografare per il Corriere).
Il fatto è che la Meloni è, appunto, figlia di questo secolo qui, e quindi vuole consenso. Non come lo volevano i politici del Novecento: come lo vogliono le influencer, come lo vogliono le mamme nei forum, come lo vogliono tutti, su tutto.
Tizia che scrive a una rubrica di galateo per dire che male c’è se lecco la marmellata dal coltello dopo averlo usato per spalmarla: figlia di questo secolo. Una volta sarebbe stata cafona senza bisogno della benedizione dei docenti di bon ton; in questo tempo qui vuole tutto, il gusto di leccare il coltello e il permesso di farlo senza sentirsi dare della buzzurra.
Tizia che spiega al Daily Mail che sì, quando al fidanzato è stato diagnosticato un cancro al cervello l’ha lasciato, ma adesso corre una maratona in sua memoria, una volta si sarebbe vergognata in silenzio. Adesso no, adesso la società le dice che ha diritto di non sentirsi in colpa, le fornisce l’etichetta «dovevo tutelare la mia salute mentale» con cui giustificare i suoi «sì lui stava male ma io con lui che soffriva mica facevo una vita allegra», adesso lei sente che se chiede il permesso d’essere stronza senza sentirsi stronza lo otterrà.
Tizio che scrive a Kwame Anthony Appiah – lo scrittore che cura la rubrica di dilemmi etici sul New York Times – dicendo che la nonna ha l’Alzheimer e insomma lui già ha subìto il trauma della morte del nonno, mica sarà egoista non andare mai più a trovare la nonna, una volta avrebbe semplicemente smesso di andarci. Adesso vuole assicurarsi la non riprovazione sociale.
In quell’altro secolo la psicologizzazione di massa già faceva i suoi danni, ma in questo il contagio è inarrestabile: vogliamo tutti sentirci dire che è nostro diritto comportarci male, che facciamo bene ad avere i limiti che abbiamo, che tutto ci è dovuto e che abbiamo ragione. Non solo paghiamo psicologi, per sentirci dire tutte queste cose: vogliamo che l’internet ce le confermi gratis.
L’acronimo più fortunato di Reddit è AITA, Am I The Asshole, sono io lo stronzo se non mi ricordo i compleanni degli amici ma mi offendo se al mio compleanno non mi fanno regali, sono io lo stronzo se ho mollato la fidanzata incinta e mi sono rifatto una vita all’estero, sono io lo stronzo se quando vedo qualcuno sanguinante per strada non mi fermo? E noi tutti in coro: ma no, certo che non sei stronzo, hai le tue ragioni.
L’altro giorno uno ha scritto che una collega in sedia a rotelle vuole farlo licenziare solo perché lui ci aveva provato con lei, lei l’aveva respinto, e allora quando lui l’ha vista nel parcheggio caduta dalla sedia a rotelle che non riusciva a rialzarsi non si è fermato ad aiutarla. Sarò mica io lo stronzo?, chiedeva, convinto d’avere diritto al suo quarto d’ora di ragione.
Tutti vogliamo i capricci pieni e la ragione ubriaca, figuriamoci se Giorgia Meloni può pensare di non avere diritto all’approvazione degli antifascisti. E figuriamoci se gli antifascisti s’affaticano a dirle che ce l’hanno con lei mica per quel che pensa d’un dittatore d’un secolo prima, ma semmai per le sue politiche d’oggi: sarebbe una critica invero regionale e impopolare.