È solo da poco più di 30 anni che la nostalgia viene considerata una leva di marketing, ovvero da quando nel 1989 due professori americani, Schindler e Holbrook, la definirono tale. Gli studi condotti poi recentemente nel mondo fino a oggi sostengono che la nostalgia attivi sensazioni prevalentemente positive ed è chiaro che fantasticare sui ricordi ha un legame stretto con il tendere al futuro con un fare più consapevole e che la nostalgia sia utilizzata di fatto dalle persone per attenuare la tristezza, per recuperare la consapevolezza dell’efficacia delle proprie azioni e reazioni e per riacquistare un senso di condivisione e comunità.
La nostalgia è un’emozione e, in quanto tale, è istintiva e temporanea e comporta una serie di reazioni fisiche e cognitive e i nostri comportamenti d’impulso. La nostalgia, quindi, non è un sentimento, e potremmo definirla come un’associazione mentale in relazione alle emozioni che possono essere modificate dal temperamento di ognuno e dalla propria esperienza individuale. Ed è ormai chiaro a tutti, a livello globale, che questa emozione sia la più potente leva del marketing in circolazione nel mondo attuale, in grado di muovere la cultura dominante dovunque questa sia radicata e qualsiasi cosa, area per area, questa rappresenti, da quella del più piccolo centro del Nord America a quella più locale dei villaggi più remoti dell’estremo Oriente.
Secondo Schindler il processo dei legami nostalgici ha luogo durante la giovinezza, intorno ai 20 anni e fa in modo che i consumatori, in un periodo critico per la formazione delle loro preferenze, appunto durante l’adolescenza, maturino una forte relazione con alcuni prodotti e brand che saranno poi presenti con continuità nel loro avvenire, raggiungendo a 24 anni il “preference age peak”.
Si sa anche che la memoria, unita a sistemi di ricompensa, contribuisce a coprodurre esperienze nostalgiche nel cervello, ponendo in connessione i due fattori alla base della nostalgia, ovvero il significato emotivo e personale di un dato fatto o oggetto per la persona e la lontananza cronologica del fatto-oggetto. Le emozioni nostalgiche, infatti, stimolerebbero il flusso sanguigno e l’attività metabolica di alcune regioni del cervello – le aree frontali, limbiche, mesencefaliche, paralimbiche – dove si trovano i centri di ricompensa. Possiamo cercare il passato per riviverlo o essendo consapevoli che è finito e non tornerà, ma in qualche modo siamo sempre consapevoli che il passato ci aiuta a evolvere.
(…)
Il marketing nostalgico, allora, prevalentemente attraverso l’uso dello storytelling, della strategia di messaggio e del re-branding visivo, sempre più spesso si propone di attivare questa emozione nel target di riferimento, aiutandolo ad avere la sensazione di essere in contatto con la propria parte più autentica e di corrispondere a un determinato modello di consumo se consuma beni, servizi, esperienze che ritiene più autentiche di altre e portandolo ugualmente verso il nuovo senza fargli mancare la sensazione di sicurezza e comfort che solo il riemergere di precedenti esperienze e sensazioni positive può innescare.
Il nostalgia marketing attinge ai nostri amori e alle nostre passioni del passato per portarci verso un brand e il suo messaggio nonché per coinvolgerci al punto di divenire parte della sua comunità o fan base, anche se non siamo cresciuti con il brand. Si sa, un contenuto neutro è in ogni caso meno potente di un contenuto portatore di significati emozionali. Ne sanno qualcosa i Millennials che, nonostante non abbiano vissuto quel retaggio e quelle situazioni a cui fa riferimento la maggior parte degli storytelling nostalgici attivati dai brand oggi (gli anni Ottanta e Novanta in primis) sono comunque i consumatori che più di tutti sono orientati nelle scelte di acquisto dai fattori emotivi e motivazionali e dalle visioni del mondo che determinate scelte di consumo possono aiutarli a realizzare. Un dato importante, visto che questa fetta di consumatori è attualmente quella più attiva nei consumi.
Se i Millennials oggi comprano vinili dei Beatles senza averli mai vissuti come artisti contemporanei alla loro esistenza è forse anche perché le giovani generazioni hanno bisogno di costruirsi un universo di riferimenti completo anche nel passato, in cui radicarsi e da esperire in qualche modo per capire dove sta andando il mondo e in che modo vogliono essere della partita, quindi per avere informazioni complete da comparare per le proprie scelte sul futuro e per capire come affrontarle con ottimismo.
(…)
Il segreto del marketing nostalgico, dunque, non è né la replica né la ricerca di una strada di ritorno al passato, bensì la proposta della chiave che permette al consumatore di conciliare il suo legame con il passato con la sua intenzione di azione verso il futuro e che gli indica come produrre valore per il brand semplicemente consumando il passato in comunità con i suoi simili.
Da “Retro marketing. Il marketing strategico tra nostalgia e innovazione”, di Daniela Bavuso e Natale Cardone, Edizioni LSWR, p.266, 31.90 euro