Oggi è il ventottesimo compleanno di Mahnoor Euceph e, poiché una ragazza deve pur darsi dei traguardi, le piacerebbe che fosse l’ultimo in cui ne ignorate l’esistenza. L’anno scorso soffiava sulle candeline del ventisettesimo compleanno raccogliendo fondi per finanziare il suo cortometraggio, che nel frattempo ha diretto e che sta portando in giro per festival. Ma non basta.
Lo dice Chris Rock in Selective Outrage: per diventare famosi in questo secolo ci sono quattro modi. Far vedere il culo, quello funziona sempre. Commettere un’infamia (Will Smith è più famoso per il ceffone che per qualunque film). Essere eccellenti: Serena Wiliams è l’esempio che fa Rock. Ma l’eccellenza è faticosa, e quindi resta il quarto modo, il più facile: fare la vittima.
Racconta Mahnoor Euceph su TikTok che il 16 aprile era su un treno tra Milano e i laghi. Invece di concentrarsi sull’inefficienza ferroviaria, si è concentrata su tre ragazze sedute dall’altra parte del corridoio, di cui otto giorni dopo ha postato un video. Ma partiamo dalla didascalia, più interessante del video.
«Mai, nella mia vita, ho visto un tale ostentato razzismo […] L’America avrà i suoi problemi con la questione razziale, ma l’Europa è vent’anni più indietro». Fa già ridere così. Mahnoor, cittadina americana, dice che l’Europa è ferma a vent’anni fa. A quando, cioè, erano sì e no trentacinque anni che l’America aveva messo fuori legge la segregazione abitativa. Siamo indietro, dice la cittadina d’un paese che fino agli anni Sessanta ha avuto campionati sportivi separati per i giocatori neri.
Ma scusate, non voglio distrarmi borbottando «ma pensa te se dobbiamo stare a sentire una che non solo è nell’età più scema ma è pure americana»: non vi ho ancora raccontato il video.
Nel video ci sono tre ragazze che ridono. C’è una scena di “Sex and the city” in cui Miranda si offende moltissimo perché, quando chiama il ristorante cinese per ordinare, li sente ridere tra di loro. È forse l’unica scena memorabile di “Sex and the city”, perché tutte siamo state così giovani e sceme da non voler passare davanti a un gruppetto, per strada o nei corridoi del liceo, per il terrore che ridessero di noi: noi sole e loro che si danno di gomito, che incubo.
Poi cresci, e capisci due cose. Quella meno importante è che a nessuno importa di te: probabilmente ridono per i fatti loro (come le cinesi del ristorante di Miranda, appunto). Quella più importante è che, se anche ridono di te, chissenefrega: cosa ti cambia? Solo che, appunto, per arrivare a capire che è irrilevante devi crescere, e il mondo in questo secolo ti fornisce un telefono con telecamera ben prima che tu sia cresciuta. Ti fornisce un telefono con telecamera e ti fa capire bene che quel telefono è un’arma.
Mahnoor lo sa, quindi ci dice che era col fidanzato e la suocera, cinesi, e che le ragazze, orrore e raccapriccio, stavano irridendo la parlata cinese. Mahnoor sa ciò che fa, e sa che nel video si vedono solo tre ragazze che ridono con la tipica stupidera delle ventenni, e quindi precisa che non le ha filmate al loro peggio, che in quel video sembrano innocue ma non lo sono (sembrano tre che ridono, ma sono il Ku Klux Klan – altra eccellenza americana). Mahnoor sa ciò che fa, e quindi la chiamata al linciaggio la esplicita: «Spero che voi italiani possiate rintracciare queste ragazze e svergognarle». È mai successo che l’internet non rispondesse a una chiamata a fare il giustiziere dilettante? Certo che no.
Martedì, le ragazze sono già state rintracciate, e la Cattolica e lo Iulm (le università dove studiano) hanno già dovuto non solo compilare i loro bravi comunicati, ma nel caso della Cattolica anche chiudere i commenti, come nei casi gravi.
L’indignazione selettiva non turba coloro che conoscono abbastanza la cultura italiana da ricordare quante volte, per spiegarci che è un infame, Edmondo De Amicis ritiene di precisarci che Franti ride. Non siamo gran patria di cancel culture, ma il livello di gravità di tre che ridono è percepito altissimo, nel paese fondato su quel romanzo la cui morale sta nella frase «Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise».
All’altezza di martedì mattina, Mahnoor ripostava gongolante il dissociarsi da una delle ragazze di una ditta produttrice di racchette da padel che la stessa utilizza. Siamo quelli che s’indignano se Franti ride, ma siamo anche quelli della commedia all’italiana: un paese in cui difficilmente perdi il lavoro per aver violato la morale di Instagram, ma in cui le racchette da padel prendono tosto le distanze.
Ci sono molti aspetti di questa storia che sono indicativi dello spirito del tempo. Uno è la curva d’apprendimento piattissima.
Siamo quasi a maggio 2023, sono otto anni da quando Jon Ronson ha pubblicato “I giustizieri della rete“, due da quando io ho pubblicato “L’era della suscettibilità”, tre dal caso di Central Park: non abbiamo ancora capito che linciare la gente on line è quantomeno imprudente.
D’altra parte sono anche dieci anni da stamina, ovvero da quando un programma televisivo non ha esitato a fingere esistesse una cura per una bambina terminale (che cos’è la cialtroneria, se in cambio ti danno lo share); e ne sono passati sei da quando lo stesso varietà ha deciso di demolire la reputazione d’un regista trattato come il mostro di Firenze: più i programmi che s’investono del compito di fare giustizia fanno pasticci, meno capiamo che il metodo «intanto ti lincio e poi si vedrà» non funziona.
E infatti un altro elemento è che Mahnoor mica fa una piazzata a quelle che la irridono, come Miranda al ristorante: Mahnoor prende il telefono e le filma. Giacché, e questo è l’elemento secondo me più interessante, abbiamo convinto intere generazioni che la cosa più grave ch’io possa fare non sia ucciderti ma ridere di te; e la seconda cosa più grave non sia prenderti a cazzotti, ma distruggerti la reputazione.
Prima dei social, l’ultima volta che la reputazione aveva contato tanto era ai tempi della “Lettera scarlatta” – il cui autore, pur scrivendo nell’800, aveva dovuto ambientare il suo romanzo duecento anni prima, ché l’800 era troppo emancipato per le stronzate reputazionali. E infatti in “Via col vento”, ambientato a metà Ottocento, Rossella O’Hara vedova un po’ troppo allegra si preoccupa della reputazione per circa due secondi, poi continua a ballare.
Poi siamo arrivati noi, il secolo più regressivo della storia dell’uomo, e abbiamo convinto le Mahnoor del mondo che, se l’internet si convince che sei razzista, sei rovinata per sempre. E infatti una delle ragazze le scrive, a Mahnoor. Mica chiama un avvocato per sapere se valga la pena fare una rogatoria e denunciare questa stronzetta americana che le dà della razzista per prendere i like, no: le scrive per spiegarle che non è razzista.
Gongolando come chi è in una posizione di forza, Mahnoor pubblica i suoi messaggi, dicendo che ennò, non basta, non sei davvero pentita. Perché non basta mai, che è la ragione per cui non bisogna spiegarsi mai. Ma, soprattutto, non bisogna cedere mai alla tentazione di sentirsi così importanti da pensare che, domani, qualcuno si ricorderà di noi, che l’altroieri eravamo lo scandale du jour.
«“Franti, tu uccidi tua madre!”. Tutti si voltarono a guardar Franti. E quell’infame sorrise». Noialtri ci voltiamo a guardare le tre studentesse che dimenticheremo domani, ma pure Mahnoor, la Meghan Markle dei treni locali. Mahnoor che, se spera di diventare Scorsese (o anche solo la Ferragni) con questi mezzucci, sta fresca: sai quanta concorrenza c’è, ragazza mia, al mercato del moralismo spicciolo e dei sett’etti di gogna per sett’etti di like?