Indignazione selettivaLa comicità su Netflix e le battute rivisitate del più grande intellettuale vivente

In “Selective Outrage”, la versione on demand dello spettacolo di Chris Rock, si parla meno di stupro e di aborto e più del ceffone di Will Smith rispetto allo show dal vivo

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L’anno scorso sono andata a vedere Chris Rock. Tre volte. Lo sapete, perché molto di quel che ha detto Chris Rock nel suo spettacolo, compreso il concetto di «indignazione selettiva», l’ho citato qui troppemila volte, facendovi pensare che insomma, potevo pure piantarla di tirarmela facendo la parte di quella che gira il mondo vedendo comici mentre voi fate quelle che in italiano si chiamano riunioni e in milanese call.

Quel che non sapete, se avete la dubbia fortuna di non frequentarmi, è che di quelle tre minime variazioni sullo stesso spettacolo – “Selective Outrage”, appunto, che sabato notte è andato in diretta da Baltimora, la prima diretta nella storia di Netflix – io ho parlato meno di quanto abbia parlato d’un dettaglio adiacente a uno degli spettacoli.

Il terzo, quello che ho visto a settembre ad Amsterdam. Il giorno prima ero andata in un museo, attività alla quale normalmente sono contraria, e la vita mi ha confermato che faccio bene. Il museo, coi suoi turisti che si autoscattavano davanti alle opere evidentemente selezionate in base all’instagrammabilità, mi aveva talmente stremata che al ritorno ho preso un taxi.

La mia amica era perplessa: eravamo arrivate lì a piedi dall’albergo senza gran sforzo, erano cinque minuti. È salita sul taxi per accontentarmi, abbiamo fatto i nostri due minuti e mezzo di strada, il tassista mi ha chiesto quattro volte se proprio non avessi i contanti, poi si è rassegnato a essere pagato con la carta. Ventotto euro.

Ogni volta che negli ultimi sei mesi qualcuno ha osato dire in mia presenza che solo i taxi di Roma non hanno il pos, solo i taxi di Milano sono costosi, ogni volta io a quel qualcuno ho attaccato un tale monologo sul tassista olandese che non voleva la carta per rapinarmi esentasse ventotto euro per due minuti di strada, un tale monologo che s’è sparsa la voce e presto tutti hanno smesso di nominare i taxi in mia presenza.

Bisogna essere molto bravi perché l’uditorio abbia voglia di sorbirsi più volte lo stesso monologo, magari giocando al piccolo filologo notando cos’hai aggiunto e cosa tolto. Nella versione Netflix, Rock, per dare il senso di cosa significhi essere figlio di neri poveri ed essere un nero ricco, passa dal padre alla madre.

In Europa raccontava del padre che, giacché nell’America segregazionista i neri non potevano provarsi i vestiti dal sarto, doveva andare a comprarseli con le misure prese a casa. A Baltimora ha detto che i bambini neri non potevano andare da un dentista bianco, e quindi sua madre, che settant’anni fa doveva farsi togliere i denti da un veterinario, adesso prende l’aereo e va a Parigi a trovare la nipote che studia lì per diventare chef.

In Europa chiudeva su quella ragazzina che ora vive a Parigi, su quant’è diversa dalla sorella, una stronza e una mite, una bugiarda e una no, e insomma believe women ma se la maggiore mi racconta che l’hanno stuprata mica lo so se ci credo. Su Netflix quella parte è sostituita da qualche minuto su Will Smith, che è quel che tutti volevano da lui: parlaci delle corna di quello che t’ha schiaffeggiato.

È perché al pubblico devi dare quello che vuole? È perché non pensa che il pubblico americano possa sentirsi dire che le donne possono essere stronze e bugiarde? È per farmi sentire che ho ben speso i miei soldi?

Sono convinta che sia quest’ultima la ragione. Sono convinta che i comici che guadagnano fantastiliardi da uno streaming che noialtri paghiamo pochissimo per guardare vogliano che non ci pentiamo di aver invece speso centinaia di dollari o euro o sterline per andare a vederli dal vivo mentre si allenano per le loro rapine in mondovisione.

Louis CK qualche settimana fa ha fatto al Madison Square Garden uno spettacolo che ha mandato in diretta. C’era la stessa storia dell’account Twitter di Auschwitz che aveva già raccontato a Milano, solo che a Milano la battuta era «Un campo di concentramento twitta? Non dovrebbero limitarsi ad ammazzare ebrei?», e in mondovisione mancava la seconda metà.

Nella parte sull’aborto, che resta la più interessante per osservare cosa possono permettersi di fare quelli il cui successo non è basato sul compiacere il pubblico, Rock taglia una battuta che forse ritiene davvero per pochi: gliel’ho sentita fare nel teatro minuscolo di Parigi ma non nelle arene di Londra e Amsterdam.

Il crescendo è: dice che certo che è pro-choice e dalla parte delle donne. Applausi calorosi, inquadrature di tizie in platea che annuiscono. Poi dice: sono perché possiate ammazzare bambini. E già lì la platea un po’ si gela: come osa questo parlare in questi termini del nostro sacro diritto. Prosegue dicendo che se lui paga un aborto pretende di avere in cambio un bambino morto, non facciamo finta che sia altro; e – riassumo con parole mie – aggiunge qualcosa nell’ordine di: siete tutte brave ad abortire se il conto della clinica lo pago io. Platea sempre più scissa tra la voglia di ridere e quella di collocarsi dal lato morale giusto.

Viene quindi, la platea extraparigina, privata di quella che io avevo trovato la più micidiale battuta sull’aborto mai sentita: certo che siamo tutti perché si possa abortire senza rischi, senza il rischio che ne muoiano due invece di uno.

E viene anche privata della parte in cui il miglior intellettuale vivente – con la terza media, come d’altra parte Fran Lebowitz: cosa ci dice dell’istruzione un mondo in cui i più lucidi intellettuali non ne hanno una? – racconta quanto siano estranee per uno come lui le sue figlie ricche.

O meglio, lo dice con altri esempi, lo sci, la scherma (si è chiaramente innamorato della possibilità di dire «touché»). A Parigi era: le mie figlie se le porti su un aereo privato protestano perché non è l’ultimo modello. Avrà pensato che noialtri pezzenti che lo guardiamo dal divano ancora ricordandoci quant’abbiamo speso di taxi sei mesi fa non l’avremmo presa bene.

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