Il mese migliore per visitare la capitale ucraina Kyjiv è maggio, il mese in cui la maestosa città festeggia il suo compleanno, quest’anno sono 1541 anni, il mese che sottolinea al meglio le curve delle sue salite che salgono dal basso verso l’alto, dal lungofiume del Dnipro verso la zona dei quartieri generali di Pechersk, il mese in cui Kyjiv sprofonda nei fiori degli ippocastani, il simbolo della città, il mese dei cittadini che si mettono in fila per visitare il festival del cinema o del libro.
A Kyjiv a maggio non fa più freddo, ma non fa ancora troppo caldo, i cittadini denudano le parti bianche dei loro corpi, sporgendoli timidamente al sole dolce e gentile. Il mese delle terrazze estive, delle chiacchiere davanti a un “capuorange”, un mix di caffè e di spremuta di arancia (la cultura di caffè nella capitale ucraina potrà sorprendere molti). Il mese delle primizie che vendono le signore nei mercati spontanei agli ingressi della metropolitana. Gli ingressi che nel maggio 2023 fungono da rifugi antiaerei. Le pance della metro, i passaggi sotterranei, gli scantinati sono le terrazze estive dei kyjiviani in questi giorni.
Dall’inizio del mese, la Russia ha lanciato diciassette attacchi notturni sulla capitale ucraina, solo il 29 maggio ce ne sono stati due a distanza di sei ore, di notte e di mattina, mentre i bambini andavano a scuola trovandosi per strada a correre verso il primo bunker disponibile.
Questi bambini ricorderanno la loro ormai seconda primavera così, vista da un bunker con le sirene che straziano il cielo. Ci sono soli quindici minuti prima che l’antiaerea cominci a sparare per intercettare la morte lanciata dai russi.
Il 29 maggio la distanza tra lo scatto della sirena e la reazione dell’antiaerea è stato di soli sei minuti, cogliendo di soppiatto i cittadini in fuga. Là sotto non c’è il sole gentile di maggio, non c’è un barista che ti disegna il cuoricino sulla schiuma del cappuccino, tutti sono chinati sugli schermi dei cellulari per seguire le notizie fuori, da dove arriva il rimbombo e il fischio dei cruiser e il ronzio non dei maggiolini attorno agli ippocastani, ma dei droni militari iraniani.
I detriti cadono, le case si infiammano, due bambini si chiedono «ma come siamo sopravvissuti stanotte lì», guardando la facciata di loro casa ferita e solcata.
Come sono sopravvissuti? Dove trovano le forze loro e i loro genitori per non dormire la diciassettesima notte, alcune notti anche consecutive, e il giorno dopo rimanere comunque cordiali uno verso l’altro, nella tragedia comune.
Le bombe russe possono infiammare le case, fare buchi nell’asfalto e nei campi appena seminati, possono portare via la vita se nessuno interviene a proteggerla Con l’antiaerea della solidarietà mondiale, però, non potranno mai togliere il cuore agli ucraini, il cuore grande che potrà contenere mille carrozzine con i bambini, tutte le scolaresche che vanno la mattina a scuola, i vecchi signori che donano gli ultimi soldi della pensione all’esercito, i giovani senza una gioventù nelle terrazze estive della loro città, ma nei bunker chini sul cellulare alla ricerca delle macchine o dei medicinali da mandare al fronte.
Il cuore ucraino saprà ricostruire tutti i palazzi feriti intorno, tutte le strade e tutti i ponti, saprà sotterrare le trincee e saprà mettere le protesi a tutte le parti mancanti dei corpi dei suoi difensori, ma non saprà mai perdonare chi il cuore non ce l’ha.