La guerra è arrivata in Russia, e mentre nella regione di Belgorod il fumo dei combattimenti non si è ancora diradato, le recriminazioni sono già iniziate. I media e le autorità sembrano ancora incapaci di fornire una narrazione che spieghi come la guerra sia arrivata sul territorio russo, ma i blogger militari nazionalisti e Yevgeniy Prigozhin non hanno perso tempo a sparare bordate verso le istituzioni. I toni sono meno brutali del solito, ma il messaggio rimane: Mosca è incapace di difendere i confini del Paese.
Al netto della retorica, l’approccio sottotono con cui le autorità russe hanno reagito nelle prime ventiquattro ore è rivelatorio. Il 22 maggio il confine russo-ucraino è stato attraversato da due gruppi militanti composti da cittadini russi, il Corpo dei Volontari Russi (Cvr) e la Legione “Libertà della Russia” (Llr).
Le unità sono avanzate per cinque chilometri nella regione di Belgorod con due carri armati e dieci veicoli blindati. Le truppe hanno occupato alcuni villaggi, rivendicando di voler creare una “zona cuscinetto” per impedire ulteriori attacchi da parte russa. L’obiettivo di per sé sembra essere più una scusa per organizzare un raid dal chiaro valore politico. Non bisogna neanche farsi trarre in inganno dai meme scaturiti dall’azione, come i falsi annunci sulla creazione di una “Repubblica Popolare di Belgorod”, parodia dei sedicenti Stati separatisti in Donbas nel 2014.
Chi sono i russi che combattono con Kyjiv
Più che il fatto in sé, ciò che conta è infatti chi ha eseguito l’operazione, così come le reazioni delle autorità governative russe. Ovviamente le informazioni a disposizione sono scarse, e questa non può che essere un’analisi incompleta basata sulle affermazioni di alcuni degli attori coinvolti – e delle quali è impossibile verificare la veridicità. Lo Stato delle cose sembra il seguente. Cvr e Llr sono le due sigle che assieme alla cosiddetta “Armata Nazionale Repubblicana” (Anr) hanno firmato la Dichiarazione di Irpin nel settembre del 2022. Con questo atto, i tre gruppi hanno deciso di formalizzare e coordinare la loro lotta armata contro il regime di Vladimir Putin.
Si tratta di una coalizione eterogenea che, riunita sotto un tricolore bianco-blu-bianco privato del “rosso sangue imperialista” della bandiera russa, ambisce a rovesciare il governo federale. A oggi non sembrano esistere particolari contatti fra questa alleanza di esuli in armi per l’Ucraina e i vari centri di resistenza civile dentro e fuori dalla Russia.
Di sicuro c’è che i tre gruppi hanno adottato approcci molto diversi nella loro resistenza a Putin. L’Anr è vicina al controverso politico Ilya Ponomarev e ha rivendicato diverse azioni di sabotaggio allo sforzo bellico russo su territorio federale, spaziando da sabotaggi alle linee ferroviarie fino all’assassinio di Darya Dugina l’anno scorso.
Il Cvr è invece inquadrato nelle Forze di difesa territoriale ucraine ed è composto per lo più da elementi di estrema destra impegnati in Donbas fin dal 2014. Il capo del Cvr, Denis Nikitin alias Kapustin alias “Rex”, è un neonazista bandito da Schengen nel 2019 e già autore di un raid nella regione di Bryansk a marzo 2023.
La Legione “Libertà della Russia”, invece, fa parte della Legione Internazionale di volontari stranieri, accorsi nei primi giorni di guerra per sostenere la causa ucraina. Quasi tutte le nazionalità dell’ex Unione Sovietica sono rappresentate in questa organizzazione, ma la formazione russa in particolare è avvolta nella segretezza. L’unità arriverebbe a circa mille soldati e sembrerebbe reclutare anche fra prigionieri di guerra russi arresisi all’Ucraina. Pur essendo considerata un’organizzazione terroristica dalle autorità russe, la Llr non sembrerebbe essere stata coinvolta in azioni armate nel corso della guerra. Discorso diverso per il Cvr, non iscritto nel registro di organizzazioni terroristiche ma dietro ad almeno tre raid oltreconfine.
La reazione russa
Non è la prima volta che il territorio russo viene colpito nel corso del conflitto. Gli ultimi quindici mesi hanno visto diversi episodi di sabotaggio, raid oltreconfine e attentati spettacolari, come da ultimo l’innocua esplosione ai danni della bandiera issata sopra il Cremlino. La stessa regione di Belgorod, che in qualità di retrovia del settore di Kharkiv ospita diversi depositi di rifornimenti e snodi logistici, è stata ripetutamente colpita nel corso delle ultime settimane. Ma mai prima d’ora i russi avevano reagito in maniera così massiccia.
Il governatore dell’Oblast’ ha annunciato l’imposizione di un regime speciale anti-terrorismo, simile a quello in vigore in Cecenia fino al 2008 e volto a restringere diverse libertà civili. I video emersi dalle cittadine coinvolte nello scontro mostrano l’utilizzo di elicotteri da combattimento Mi-8, mentre alcuni blogger riportano addirittura la mobilitazione di una brigata motorizzata dell’esercito, oltre che alla guardia nazionale Rosgvardia teoricamente predisposta per questi compiti. L’area di Grayvoron, a cinque chilometri dal confine, è stata evacuata, e il 23 maggio le autorità russe sostengono di aver ucciso «settanta invasori» e di aver «completamente eliminato le unità in fuga usando armi a lunga gittata su territorio ucraino».
Questa esagerazione è un atto dovuto, anche se confonde le acque: da un lato, il Cremlino parla di un atto di guerra ucraino volto a distogliere l’attenzione da Bakhmut, dall’altro, si ricorre al linguaggio e gli strumenti antiterroristici. Ciò non è inaspettato data la disinvoltura istituzionale russa. Tuttavia, è evidente che Mosca nutre ancora diversi dubbi rispetto a come gestire questo e altri episodi sul suolo russo ma legati al conflitto in Ucraina. In ogni caso, l’attacco da parte di un’entità politica che, con tutti i limiti del caso, si pone come alternativa all’ordine vigente sta già avendo un effetto psicologico non secondario sulla popolazione e sul regime.
E ora?
Rimane da vedere quindi se la rappresaglia del Cremlino si rivolgerà verso l’esterno o verso l’interno. Il fallimento dei servizi di sicurezza russi ha già generato speculazioni su un possibile giro di vite e la risurrezione dello Smersh, il temuto servizio di controspionaggio staliniano.
Questa reazione sarebbe forse esagerata se si considera la relazione simbiotica fra Putin, ex uomo del Kgb, e l’Fsb, i servizi responsabili per la sicurezza interna e l’integrità delle frontiere. È verosimile quindi che potrebbero aver luogo diversi licenziamenti e possibilmente un ampliamento dei poteri speciali assunti dalle autorità per sostenere quella che ormai è sempre meno una “Operazione speciale”. D’altro canto, le autorità di Kyjiv hanno ammesso di essere state informate dell’operazione, ma come in altri casi smentiscono alcun coinvolgimento. Qualsiasi tipo di escalation da parte russa, che in casi simili è stata finora limitata a un’intensificazione dei bombardamenti sulle città ucraine, sarà tutt’altro che una scelta obbligata.