Straordinari d’estateMeloni fatica a tenere unita la maggioranza, ma l’opposizione è ferma al palo

Senza Berlusconi, la premier è chiamata al doppio lavoro di presidente del Consiglio e di capo politico. E nonostante tutto la destra sembra comunque più compatta della coppia Schlein-Conte in vista del voto in Molise di domenica e lunedì

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Dieci giorni sono passati dalla scomparsa di Silvio Berlusconi, solo dieci giorni. E non può essere una coincidenza il fatto che improvvisamente alla destra stia andando tutto storto. È indubbio che sia venuto a mancare quel personaggio che in questa fase era comunque uno stabilizzatore, un Capo che al momento giusto poteva mettere a posto un po’ di cose, specie a casa sua, Forza Italia, diventata in pochi giorni il possibile epicentro di un piccolo impazzimento che come tale non sarebbe poi una tragedia se non mettesse in moto altre dinamiche, per la maggioranza molto pericolose.

La tragicommedia sul Mes dimostra che anche la Lega ha cominciato a bombardare Palazzo Chigi e la sua inquilina: chi si meraviglierebbe se Matteo Salvini “usasse” Giancarlo Giorgetti per dare fastidio alla premier? Siamo già alle lotte interne, ai documenti dei ministeri, agli incontri a quattr’occhi. Sono da un giorno all’altro precipitati nel pozzo senza fondo delle litigiosità, delle gelosie, delle divisioni, e come nei più vetusti canovacci della peggiore politica italiana non manca un tocco di surrealismo, come è successo ieri quando la maggioranza ha disertato il voto sul Mes in commissione dove erano presenti solo le opposizioni.

Stiamo parlando di politica europea, non di una bazzecola. Viene da chiedersi se Giorgia Meloni non stia perdendo il comando politico della sua coalizione: impegnata a correre di qua e di là, con tantissimi viaggi all’estero che fanno molta scena ma producono poco, Meloni dovrebbe prendere in mano la direzione politica della maggioranza non essendoci peraltro in giro personaggi in grado di farlo con l’autorevolezza necessaria.

Senza Berlusconi, la premier deve fare il doppio lavoro: presidente del Consiglio e capo politico della coalizione. Tenendo conto, lei lo sa bene per esperienza, che il Parlamento è un mostro tremendo ove, acquattate dietro le colonne di marmo e i salottini bordeaux, si celano ambizioni di tutti i tipi, si agitano malcontenti, spesso si smarrisce ogni razionalità. Fossimo nella Prima Repubblica s’imporrebbe già un vertice dei segretari di partito.

Non è che il quadro complessivo sia molto dissimile. E se a questo quadro poi si aggiungono le notizie non esattamente edificanti sui comportamenti nella sua attività imprenditoriale della ministra del turismo Daniela Santanchè nella sua attività imprenditoriale, che a sentire certe testimonianze avrebbe messo in atto pratiche molto gravi, e gli arresti di un ex parlamentare leghista (Giancarlo Pini) e un ex assessore a Roma indicato dal Movimento 5 stelle in quanto «bravo», nonché direttore delle Dogane (Marcello Minenna) per presunte mazzette sulle mascherine in relazione a una spericolata attività criminosa, ecco che l’aria diventa abbastanza mefitica, come nei momenti peggiori di crisi politica pervasi da un odoraccio di malapolitica che d’improvviso fa sparire tutti gli abracadabra sulla Nazione e sul Merito, così che il vocabolario della nuova destra al potere appare anzitempo ingiallito.

In questa situazione domenica e lunedì si vota per le Regionali nel piccolo Molise che sarà pure più piccolo di una circoscrizione di Roma ma è pur sempre un test, anche se limitatissimo, ed è comunque il primo voto dopo la morte di Berlusconi.

Al solito la destra ai presenta compatta sul nome di Francesco Roberti e anzi beneficia dell’apporto di una serie di liste civiche e del sostegno di Italia Viva molto criticato dal Partito democratico – che vuole leggerci, esagerando, un esperimento buono per il domani. Un Partito democratico che da parte sua non è stato in grado di far altro che proporre l’intesa con il partito di Giuseppe Conte sul nome di un grillino, Roberto Gravina, già sindaco di Campobasso.

Ieri nel capoluogo molisano Elly Schlein e Giuseppe Conte si sono dati appuntamento in un caffè del centro, lei ha preso un’acqua tonica per riprendersi dall’afa, suggellando un’alleanza con il capo di un partito che è contro il sostegno all’Ucraina e contro la ratifica del Mes, cioè due assi fondamentali della politica estera.

Dice: ma è un voto locale. Bene, allora vale anche per Matteo Renzi, no? Ma a parte questo, l’alleanza molisana, che potrebbe portare un’altra sconfitta per Elly Schlein, odora troppo di stantìo. Dodici anni dividono la foto di Vasto dal caffè di Campobasso, cento i chilometri di distanza tra le due città, ma la sensazione di un dêjà vu, come una zanzara fastidiosa, non la scacci facilmente.

La foto di Vasto è del 16 settembre 2011, Festa di Italia dei Valori, immortalati insieme Antonio Di Pietro, Nichi Vendola (leader di Sel) e Pier Luigi Bersani (segretario del Partito democratico). Ieri, 22 giugno 2023, il caffè o l’acqua tonica l’hanno preso insieme Giuseppe Conte, discendente diretto del populismo manettaro di Antonio Di Pietro, e Elly Schlein, che riassume nella sua figura Vendola e Bersani, suoi sostenitori. Insomma siamo sempre lì. A un bipopulismo che non va.

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