We Are The ChurchCon la nomina dei nuovi cardinali il conclave è sempre meno eurocentrico

Papa Francesco ha comunicato la creazione di altri ventuno porporati, di cui diciotto avranno diritto di voto in un eventuale concistoro. Con questo messaggio, Bergoglio conferma la sua attenzione alla diversità geografica e all’universalità del Vaticano

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L’annuncio è avvenuto tre giorni fa al termine del consueto Angelus domenicale. Il 30 settembre Papa Francesco terrà un concistoro pubblico ordinario, il nono del suo pontificato, per la creazione di ventuno nuovi porporati. Di essi diciotto avranno diritto di voto in un eventuale conclave. Avendo superato gli ottant’anni, saranno invece non elettori i restanti tre, ai quali Bergoglio imporrà la berretta cardinalizia in segno di riconoscimento di particolari benemerenze nel «loro servizio alla Chiesa». Entreranno così a far parte del Sacro Collegio non solo il venezuelano arcivescovo emerito di Cumaná Diego Rafael Padrón Sánchez e il novantaseienne cappuccino argentino Luis Pascual Dri, additato più volte dal pontefice ai sacerdoti come modello ideale di confessore. Ma anche il colto nunzio apostolico Agostino Marchetto, vicentino, classe 1940, e autorevole interprete di quell’ermeneutica della continuità del Vaticano II così cara a Benedetto XVI, ma non certamente ad Alberto Melloni e alla Scuola di Bologna.

Col concistoro del 30 settembre salirà dunque a duecentoquarantatré il numero complessivo degli ascritti a quello che fino a un recente passato veniva chiamato il «Senato del Romano Pontefice», di cui ben centotrentasette gli elettori. Si sforerà, dunque, un’ennesima volta – numerosi, d’altra parte, i precedenti anche sotto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – il noto tetto massimo, fissato a centoventi dalla Romani Pontifici eligendo di Paolo VI (1 ottobre 1975). Ma col progressivo compimento dell’ottantesimo anno di età dei cardinali D’Rozario, Sandri, Yeom Soo-jung, Zerbo, Cipriani Thorne esso scenderà a centotrentadue già il 28 dicembre. In quella data saranno rispettivamente sette e ventotto i porporati di nomina wojtyłiana e ratzingeriana, che entrerebbero in un eventuale futuro conclave, di contro ai ben novantasei bergogliani. Numeri che, in ogni caso, significano ben poco, qualora si consideri come non pochi dei cardinali creati negli anni da Francesco siano, a diverso titolo, debitori verso Giovanni Paolo II e Benedetto XVI nonché in linea di continuità col magistero degli stessi più di quanto si pensi.

Dei nuovi diciotto porporati elettori tre sono arcivescovi e  rispettivamente a capo dei Dicasteri per la Dottrina della Fede, per i Vescovi, per le Chiese Orientali: si tratta del contestato teologo argentino Víctor Manuel Fernández, dell’agostiniano statunitense Robert Francis Prevost, del veronese Claudio Gugerotti. Con questi l’altro e unico italiano designato è il francescano minore e patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Pierbattista Pizzaballa.

Due, invece, i nunzi apostolici in carica, anche se, avendo compiuto settantacinque anni, potrebbero essere dimissionati o destinati ad altro ufficio: lo svizzero Emil Paul Tscherrig e il francese Christophe Louis Yves Georges Pierre, che guidano rispettivamente le importanti nunziature d’Italia e San Marino e degli Stati Uniti. Con la nomina dei titolari delle due importanti sedi diplomatiche si riprende così la tradizionale procedura, interrottasi solo con gli arcivescovi Adriano Bernardini (per l’Italia e San Marino) e Carlo Maria Viganò (per gli Usa, dove non può considerarsi un’ulteriore eccezione la mancata creazione cardinalizia di Pietro Sambi, perché morto nel 2011 durante munere), che Francesco si è rifiutato d’elevare alla porpora per antichi dissapori o avverse prese di posizione. Gli altri europei sono il polacco Grzegorz Ryś, arcivescovo di Łódź, il portoghese Américo Manuel Alves Aguiar, vescovo ausiliare di Lisbona, i tre spagnoli José Cobo Cano, arcivescovo di Madrid, François-Xavier Bustillo, frate minore conventuale e vescovo di Ajaccio, e il rettore maggiore dei salesiani, Ángel Fernández Artime.

Oltre al prefetto dell’ex Sant’Uffizio due, inoltre, i latinoamericani e altrettanti gli asiatici: si tratta degli arcivescovi di Bogotà (Colombia), Luis José Rueda Aparicio e di Córdoba (Argentina), il gesuita Ángel Sixto Rossi, e dei vescovi di Penang (Malaysia), Sebastian Francis, e di Hong Kong, Stephen Chow Sau-yan (anche lui religioso della Compagnia di Gesù). Tre, infine, gli africani: il sudanese Stephen Ameyu Martin Mulla, arcivescovo di Juba, il tanzaniano Protase Rugambwa, arcivescovo coadiutore di Tabora,  il sudafricano Stephen Brislin, arcivescovo di Città del Capo.

Con tali nomine, questo sì è innegabile, Papa Francesco ha dato ulteriormente prova di particolare attenzione a una diversificata provenienza geografica che, sempre meno eurocentrica, esprima «l’universalità della Chiesa che continua ad annunciare l’amore misericordioso di Dio a tutti gli uomini della terra». Non si può inoltre non rilevare come Bergoglio ne abbia fatto precedere l’annuncio da due significativi riferimenti: quelli, cioè, al sangue «che nuovamente è stato versato […] in Terra Santa» e, ancora una volta, al popolo ucraino «tanto provato».

Se il primo permette di porre un ideale collegamento con la nomina cardinalizia del patriarca latino di Gerusalemme, non lo è di meno il secondo che chiama in causa il prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali. Officiale di quella che era allora la Congregazione per le Chiese Orientali dal 1985 e sottosegretario della medesima dal 1997, Claudio Gugerotti, ricevuta l’ordinazione episcopale nel 2002 e subito destinato come nunzio apostolico in Georgia, Armenia e Azerbaigian, si è fatto soprattutto apprezzare proprio nella sede diplomatica della Santa Sede a Kyjiv, che ha guidato dal 2015 al 2020. 

Anni addietro il velenoso pamphlet Via col vento in Vaticano gli aveva affibbiato l’epiteto di Don Stambecco per presunto carrierismo. A intingere la penna nel fiele era allora stato un curiale in pensione, Luigi Marinelli, che negli attacchi a una lunga teoria di cardinali, vescovi, nunzi, monsignori e potenti organizzazioni ecclesiali   – lo rilevava già nel 1999 una voce non sospetta come Sandro Magister – non aveva però stranamente speso una parola su Angelo Sodano, Eduardo Martínez Somalo e Opus Dei.

Mentre si potrebbero versare i proverbiali fiumi d’inchiostro sul carrierismo romano e sulla connessa sindrome, da cui è soprattutto affetto chi, smanioso lui stesso di cariche, stigmatizza e mette poi alla berlina chiunque le ottenga, una cosa è certa: esperto di lingue, letterature e liturgie orientali, in particolare di quelle armene, Claudio Gugerotti è attualmente uno dei pochissimi uomini di Curia che può vantare esperienza e specifiche competenze nel dicastero affidatogli. E, senza girarci troppo intorno, è quello che veramente conta. La sua prossima elevazione alla porpora si carica inoltre di ulteriore significato nel centenario della nascita del cardinale Achille Silvestrini, che aveva accolto Gugerotti nella comunità universitaria di Villa Nazareth e, da prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, lo aveva infine voluto suo stretto collaboratore nelle vesti di sottosegretario del medesimo dicastero. Ma questa è tutta un’altra storia.