Se c’è una parola che Giorgia Meloni non vuole e non può pronunciare è «austerità». Una bestemmia per una sovranista che è diventata, per necessità, meno ortodossa e più europeista. Di fatto e nella sostanza la Nota di aggiornamento del Def va timidamente in questa direzione, con un piccolo spazio vitale in deficit: altrimenti Giancarlo Giorgetti non saprebbe che pesci prendere. Ma i conti gli stanno scivolando tra le mani e rischia di non essere più in grado di concretizzare la manovra finanziaria.
Gli effetti del rallentamento economico globale e della guerra in Ucraina hanno stretto le maglie della finanza pubblica, hanno stracciato il programma elettorale del centrodestra, portando il populismo sul binario delle regole europee. Adesso la guerra israeliana contro i terroristi islamici di Hamas potrebbe presto peggiorare il quadro economico, soprattutto se il conflitto dovesse allargarsi all’Iran.
Il prezzo degli idrocarburi è in crescita e potrebbe schizzare ancora in alto se la situazione bellica dovesse sfuggire di mano. La formidabile incertezza comprime tutta l’Europa. Il mondo finanziario e degli imprenditori rimane con il fiato sospeso. Le previsione di crescita economica nella zona euro della Commissione europea un messe il mese fa segnavano un rallentamento: 0,8 per cento nel 2023 e dell’1,3 per cento nel 2024 (le previsioni erano di 1,1 per cento e 1,6 per cento). Per l’Italia il rallentamento potrebbe essere più accentuato.
Nel governo la consapevolezza di uno scenario in via di deterioramento è altissima. Un livello di guardia che ieri era evidente nell’affanno con il quale il ministro Giorgetti parlava di «non eludibile» taglio della spesa. Davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, impegnate nell’esame della Nadef, ha ammesso che l’incertezza dei mesi e delle settimane scorse si è accentuata a causa degli eventi mediorientali, che aggiungono ulteriore instabilità a un quadro già reso complicato da conflitti e tensioni geopolitiche. Ed è a questo punto della sua audizione che è affiorata la prospettiva di misure austere, di forbici affilate, di sogni infranti di Matteo Salvini e della stessa Meloni, che però si era messa in carreggiata avendo frequentato più assiduamente Bruxelles.
Il responsabile dell’Economia ha infatti spiegato che «anche alla luce delle nuove regole che si stanno delineando per la governance economica europea, il ferreo controllo dell’andamento della spesa diventerà un imperativo non più eludibile». A salvarsi sarà sicuramente il taglio del cuneo fiscale che per Giorgetti «assorbe di fatto lo scostamento del deficit» e che è un atto «doveroso». Nulla però ha detto dei «rischi elevati» su Pil, debito e conti pubblici dei quali aveva parlato il giorno prima davanti alle stesse commissioni parlamentari il capo dipartimento Economia di Bankitalia, Sergio Nicoletti Altimari. «L’elevato rapporto tra debito e Pil è un serio elemento di vulnerabilità», ha detto Nicoletti Altimari, perché «riduce gli spazi di bilancio per fare fronte a possibili futuri shock avversi ed espone il Paese al rischio di tensioni sui mercati finanziari». Ucraina e Israele sono i più evidenti fattori che «generano forte incertezza circa le prospettive di crescita», che potrebbero «risentire anche dell’indebolimento dell’economia cinese e dell’area dell’euro».
Insomma, occorre un più robusto rientro del debito con coperture certe e permanenti. Sarebbe un segnale positivo ai partner europei e ai mercati. Altro che riforma fiscale finanziata in deficit, Ponte di Messina e vari sogni gloria. Di conseguenza, a pochi giorni dalla sua presentazione, le previsioni e i saldi contenuti nel Nadef sono già obsolete: Meloni sarà costretta a ridurli e fare una manovra ancora più povera, prudente, austera.
Dobbiamo sperare per tanti motivi, a cominciare da quello umanitario, che la guerra nel Medioriente non si allarghi. Che non faccia precipitare ancora di più la situazione economica ed energetica. Sarebbe disastroso per il nostro Paese, prima ancora che per il governo Meloni, essere costretti a fare una manovra correttiva dei conti in primavera. In piena campagna elettorale. Sarebbe una tempesta perfetta.
Il centrodestra, per paura di perdere le elezioni europee, non avrà il coraggio di dire la verità agli italiani, di avere sbagliato a impostare la manovra di bilancio. Così come non ce l’ha nel dover riconoscere l’incapacità di affrontare la questione migratoria con le promesse false del passato. Perché la colpa è sempre degli altri, di quelli che c’erano prima. Ma prima o poi i conti, anche quelli politici, arrivano.