Il futuro dell’Ucraina è nell’Unione europea. È sempre più evidente e sembra sempre più certo, a maggior ragione dopo una giornata dalla grande portata storica, politica e simbolica. Ieri si è tenuto un vertice dei ministri degli Esteri dei ventisette Stati membri a Kyjiv, per la prima volta riuniti informalmente in un Paese terzo, per di più un Paese in guerra. E l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha detto che l’incontro si è svolto in quelli che saranno i futuri confini dell’Unione europea. Senza troppi giri di parole. Poi ha aggiunto: «Il nostro sostegno non dipende da come andrà avanti la guerra nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Dobbiamo fornire un sostegno permanente e strutturale perché ci troviamo di fronte a una minaccia esistenziale per l’Europa».
I am convening today the EU Foreign Ministers in Kyiv, for the first ever meeting of all 27 Member States outside the EU.
Ukraine’s future lies within the EU. pic.twitter.com/1mz5gpB1qx
— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) October 2, 2023
A Kyijv si è parlato di tutti gli aspetti del sostegno dell’Unione europea all’Ucraina, in particolare dell’assistenza militare e dell’ingresso nell’elenco dei Paesi membri al fianco degli altri ventisette. Borrell ha detto di aver proposto all’Ucraina altri cinque miliardi di euro per il prossimo anno: un nuovo versamento da realizzare attraverso la European Peace Facility. Si è parlato anche del piano di pace in dieci punti presentato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che prevede il completo ripristino dei confini dell’Ucraina del 1991 e il ritorno a casa delle truppe russe. Un progetto che, secondo Borrell è anche «l’unica soluzione possibile» per la fine della guerra.
Le discussioni sull’allargamento dell’Unione, invece, sono solo l’antipasto rispetto alle discussioni che ci saranno ai due vertici che si terranno in Spagna nei prossimi giorni, a metà settimana – uno sarà un summit primi ministri degli Stati membri e il secondo incontro sarà più ampio e coinvolgerà i leader di quarantasei Paesi europei, compresi i nove in lista d’attesa per aderire all’Unione europea (quindi la Moldavia e gli Stati dei Balcani occidentali). Un tema sempre più urgente: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, iniziata nel febbraio 2022, ha costretto Bruxelles ad accelerare i processi di adesione, come richiesto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a metà settembre, spiegando che l’allargamento consentirebbe di limitare il potere di influenza di Mosca sugli Stati dell’Europa orientale, e di conseguenza su tutto il continente.
«L’aiuto politico, militare ed economico all’Ucraina è un imperativo per la sicurezza a breve, medio e lungo termine di tutti gli Stati democratici», ha scritto Oliver Dupuis proprio su queste pagine. Allora gli alleati occidentali dell’Ucraina non possono interrompere il loro sostegno, non possono permettersi di arretrare di fronte all’atteggiamento criminale e aggressivo del Cremlino. Anzi, è importante, come ha sottolineato il ministro degli Esteri danese Lars Løkke Rasmussen, «inviare un forte segnale transatlantico che ciò che sta accadendo sul nostro territorio è qualcosa per cui dobbiamo assumerci una grande responsabilità».
L’Italia era presente e pienamente coinvolta. Il sostegno di Roma all’Ucraina non è mai stato realmente in discussione nonostante una propaganda filoputiniana aberrante su tutti i canali di comunicazione di questo Paese. Ieri, a margine del Consiglio informale dei ministri degli Esteri, Zelensky ha incontrato i rappresentanti di pochissimi Paesi: tra questi c’era il ministro degli Esteri Antonio Tajani, sintomo di una certa fiducia reciproca. Il vicepremier e ministro degli Esteri ha rassicurato il presidente ucraino dicendo che l’Italia è pronta ad aiutare Kyjiv ancora a lungo e sta lavorando all’ottavo pacchetto di armi da inviare all’esercito che combatte al fronte tutti i giorni dal 24 febbraio 2022. Il titolare della Farnesina ha anche garantito il sostegno concreto dell’Italia nel percorso di adesione a Bruxelles.
Il peso del vertice di Kyjiv però non si misura solo in base agli aiuti concreti che arriveranno dal resto d’Europa nei prossimi giorni, nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. È anche una forma di sostegno politico, di vicinanza e di solidarietà: la grande portata simbolica è dovuta anche al momento in cui è stato organizzato. È la risposta a quel sentimento di profonda preoccupazione che aleggia in Europa e negli Stati Uniti per le crepe che si possono intravedere nel sostegno occidentale a Kyjiv.
Domenica il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha chiesto allo Speaker della Camera Kevin McCarthy di rispettare gli accordi presi mesi fa, ha fatto pressioni sui repubblicani del Congresso per fornire maggiori aiuti all’Ucraina dopo che l’ultimo rifornimento era stato escluso da un disegno di legge per evitare lo shutdown del governo degli Stati Uniti.
In più, ieri a Kyjiv non c’erano i ministri degli Esteri di Ungheria e Polonia. Il messaggio è chiaro: Budapest e Varsavia non sono allineate al resto dell’Unione europea sul sostegno all’Ucraina. E se l’Ungheria è sempre stata una certezza in questo senso, per la Polonia il discorso è più sfumato. Il Paese è stato uno dei più fedeli alleati di Kyjiv nel primo anno abbondante di conflitto, poi però si è smascherato da solo tornando sulle solite posizioni sovraniste quando, il mese scorso, ha fatto sapere che non invierà altre armi all’Ucraina a causa del contenzioso sulle importazioni di grano ucraino. Il premier Mateusz Morawiecki ha annunciato in un discorso televisivo alla nazione che non darà priorità agli interessi dell’Ucraina rispetto a quelli dei cittadini polacchi in vista delle elezioni di metà mese.
E un segnale dello stesso colore è arrivato nel fine settimana dalla Slovacchia, dove le elezioni hanno portato alla vittoria del partito populista e filorusso Smer, il cui leader Robert Fico ha promesso di «non inviare una sola cartuccia» di munizioni alla vicina Ucraina.
Sul piano militare, invece, i bombardamenti russi avvenuti nella notte tra domenica e lunedì hanno provocato un morto e sei feriti – tra cui due bambini – a Kherson. E nella mattina di lunedì il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto che Mosca è pronta a scommettere sul fatto che i costi umani e materiali della guerra allontaneranno sempre di più gli alleati occidentali da Kyjiv, producendo «una frammentazione delle opinioni sul conflitto».
Ma il vertice di ieri conferma che la stanchezza, la war fatigue che dovrebbe colpire gli alleati di Kyjiv, non pesa e non peserà sul sostegno presente e futuro all’Ucraina: l’Occidente non lascerà il Paese solo e vulnerabile dinanzi a un’aggressione criminale.
Anzi un appuntamento storico come questo ci ricorda come il sostegno a Kyjiv, sia politico sia militare, non possa essere dato per scontato, né essere considerato automatico o facile. Ma va ribadito e affermato ogni volta, tutti i giorni, nonostante le difficoltà. E la vittoria dell’Ucraina, quindi la sua sopravvivenza, dipende dalla cooperazione con l’Europa, come ha detto ieri Zelensky ai ministri degli Esteri europei: «Sono fiducioso che l’Ucraina e l’intero mondo libero possano prevalere in questo confronto. Ma la nostra vittoria dipende nettamente dalla nostra cooperazione. Più passi potenti e di principio faremo insieme, prima questa guerra finirà. Avrà fine in modo equo. Con il ripristino della nostra integrità territoriale e una garanzia di pace affidabile per tutta l’Europa».