Varsavia, EuropaIn Polonia ha vinto la democrazia liberale e ha perso il populismo

Dopo otto anni di dominio quasi incontrastato, i sovranisti di Diritto e Giustizia sono ancora la prima forza, ma superata dai tre partiti dell’opposizione: i liberali di Coalizione Civica, i centristi di Terza Via e la sinistra. L’affluenza alle urne al 72,9 per cento, trainata da giovani e donne, ha battuto ogni record

Donald Tusk fa il segno della vittoria alle elezioni in Polonia
AP Photo/Petr David Josek

Lo aveva previsto qualche giorno fa Adam Michnik, storico dissidente polacco, sulle colonne del giornale da lui fondato, Gazeta Wyborcza: «Kaczynski sente che perderà».

Lo sentivano tutti dalla mobilitazione del primo ottobre che qualcosa di grande stava per arrivare, e lo si respirava ancora di più nell’aria elettrica di domenica sera, nelle ultime ore che hanno preceduto la chiusura dei seggi al comitato elettorale di Coalizione Civica.

Negli stessi istanti in via Nowogrodzka, sede di Diritto e Giustizia, il clima era teso e cupo, i sorrisi dei vertici del partito tirati a mezza bocca.

Poi alle ventuno e qualche secondo, passato il termine del «silenzio elettorale», l’annuncio delle prime proiezioni ha dato un po’ più di concretezza a quelle sensazioni. Dopo otto anni di dominio quasi incontrastato, Diritto e Giustizia è sì ancora la prima forza, ma viene superata al centro e a sinistra dai tre partiti dell’opposizione democratica: i liberali di Coalizione Civica (Ko), i centristi di Terza Via (Trzecia Droga) e dalla sinistra di Lewica.

Un raggiante Donald Tusk sul palco ha salutato il risultato come la vittoria della Polonia e della democrazia: «È il giorno più felice della mia vita. Li abbiamo rimossi dal potere».

Che sia stata una vittoria della democrazia ci sono pochi dubbi. L’affluenza alle urne ha battuto ogni record della storia della Polonia democratica: 72,9%. Un dato incredibile se si confronta con lo storico del Paese. In un seggio di Wrocław la fila era talmente lunga che le ultime persone hanno votato quasi alle tre di notte.

Il segnale è stato forte. Dopo otto anni Diritto e Giustizia deve – o dovrebbe, ma questo lo vedremo, poi – cedere il passo. Ma come si è arrivati a tutto questo?

La mobilitazione al voto non è nata ieri, e nemmeno con le recenti marce organizzate da Tusk. Quelle manifestazioni oceaniche sono state semmai una conseguenza di una frattura avvenuta nel tessuto sociale polacco tre anni fa, e mai più risanata: la sentenza sull’aborto del Tribunale costituzionale.

Quel pronunciamento, che ha delimitato in modo quasi definitivo la possibilità per le donne polacche di accedere all’interruzione di gravidanza, ha avuto conseguenze devastanti per Diritto e Giustizia. Le proteste di massa portate avanti per mesi dal collettivo femminista Strajk Kobiet, sfidando le normative anticovid, hanno lasciato un segno tangibile nell’erosione del consenso del partito di Kaczyński.

Se si osserva lo storico dei sondaggi, si può vedere chiaramente che in quel preciso momento Diritto e Giustizia, che fino ad allora viaggiava abbastanza stabilmente sopra il quaranta per cento delle preferenze, ha perso di colpo dieci punti percentuali. E non li ha più recuperati.

Probabilmente il calcolo politico fatto all’epoca era che l’elettorato se ne sarebbe dimenticato, che la cosa sarebbe rientrata, d’altronde le elezioni erano ancora lontane.

Il capo di PiS, Kaczyński, parla ai sostenitori
Il capo di PiS, Kaczyński, parla ai sostenitori (foto da X/@pisorgpl

Non è stato così. Domenica a votare in massa contro PiS sono stati in gran parte i giovani e le donne. Nella fascia diciotto-ventinove anni il partito più votato è stato Coalizione civica con il 28,3 per cento delle preferenze, il meno votato Diritto e Giustizia con il 14,9 per cento. Una spaccatura maggiore si è verificata tra le donne, dove il 36,5 per cento ha votato per il partito conservatore, ma il 56,1 per cento si è espresso complessivamente per i partiti di opposizione.

Alla questione dell’aborto si deve aggiungere una certa insofferenza montata nel corso degli anni a fronte di piccoli e grandi gesti di arroganza da parte del potere. Uno dei grossi problemi di Diritto e Giustizia è stato quello di commettere l’errore fatto proprio da Piattaforma Civica otto anni fa: rivolgersi solo al suo elettorato.

Lo ha fatto con una gestione sconsiderata della tv statale, la cui funzione informativa è stata completamente azzerata, facendola diventare una potente macchina di propaganda. Lo ha fatto con progetti di legge bloccati in corner dal veto presidenziale, come nel caso della «Lex Tvn», che avrebbe dovuto spegnere le trasmissioni della principale emittente privata del Paese (nonché la più critica nei confronti di Diritto e Giustizia). Lo ha fatto con leggi che poi non sono andate in porto, come la legge anti influenze russe, denominata «Lex Tusk», percepita come un tentativo molto poco ortodosso di colpire un avversario politico.

In mezzo ci sono state altre vicende, come quella, assurda, delle «aree libere dall’ideologia Lbgt». Non da ultimo, l’incapacità di risolvere la questione europea, con il risultato che attualmente Varsavia si trova bloccati i soldi del Recovery Fund e vede a rischio i finanziamenti legati al meccanismo dei fondi di coesione.

Davanti a tutto questo c’era solo un modo in cui le cittadine e i cittadini polacchi potevano reagire: andare a votare.

E se si guarda indietro si capisce anche quanto la mobilitazione – o la mancata mobilitazione – elettorale abbia sempre avuto un peso. Un meccanismo che è applicabile non solo alla Polonia, ma a tanti altri Paesi che ora stanno affrontando l’ondata dei populismi.

Quando Diritto e Giustizia vinse, anzi stravinse le elezioni del 2015, lo fece a fronte di un’affluenza estremamente bassa (50,9 per cento). Disaffezione per la politica, delusione per le politiche di Piattaforma civica e alcuni scandali cavalcati ad arte da Jarosław Kaczyński avevano portato tantissimi elettori di Po a disertare le urne, con l’effetto di consegnare una vittoria schiacciante nelle mani dei conservatori. Il risultato fu il trionfo di Diritto e Giustizia, che con il 37,5 per cento si assicurò la maggioranza dei due terzi del parlamento

A ben pensarci è cominciato tutto lì. Fu proprio in quella «supermaggioranza della minoranza» che vennero attuate le riforme che andarono a intaccare l’indipendenza della magistratura, da cui sono sorti a cascata tutti i problemi nelle relazioni con Bruxelles.

L’importanza del voto si è cominciata a scorgere già alle elezioni parlamentari del 2019, quando la vittoria di Diritto e Giustizia fu più rotonda nei numeri (43,6 per cento), ma al tempo stesso fu arginata da una più ampia partecipazione alle urne (61,7 per cento). Il risultato fu che PiS conquistò sì la maggioranza (con il senno di poi nemmeno tanto solida) al Sejm, la Camera bassa, ma non al Senato.

Quel voto ha mostrato le prime crepe in un sistema molto più fragile di quanto non apparisse all’esterno, le cui ripercussioni sono arrivati fino ad oggi.

E ora? Tutto finito? Niente affatto.

Diritto e Giustizia rimane il partito più votato, e a conteggi non ancora conclusi si può presupporre che a barrare la casella sul suo simbolo sia stato un terzo degli aventi diritto. Proprio su questa fanno leva i vertici del partito, che chiedono a Duda la possibilità di provare a formare un governo.

È molto probabile che questa possibilità gli venga concessa. Il problema è che l’unica sponda possibile per loro sarebbe nell’ultra-destra di Konfederacja, che ha conseguito un risultato molto al di sotto delle attese.

«Siamo disposti a dialogare con chiunque condivida la nostra stessa idea di Polonia», ha dichiarato il premier Mateusz Morawiecki. Resta da vedere in ogni caso se Konfederacja, che si è sempre considerata alternativa a Diritto e Giustizia, vorrà – nel caso i numeri lo consentiranno – farci un governo insieme.

Insomma, Diritto e Giustizia non sembra disposta a mollare il bastone del potere tanto facilmente. Perché i populismi entrano sempre con un gran frastuono, ma quasi mai se ne vanno in punta di piedi.

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