Lo sceriffo e la segretariaIl Pd non può fare a meno di discutere i temi sollevati da De Luca

Il presidente della Campania sarà pure antipatico e arrogante, con un modo di governare discutibile, ma i contenuti del suo libro, poi portati anche in tv da Fazio, rispondono a criticità reali interne al partito di Elly Schlein. E sarebbe ora di affrontarle

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Per la durata di lettura di questo articolo si tenti di non considerare il protagonista, cioè la persona, o il personaggio, che è Vincenzo De Luca. Si mettano da parte le opinioni sul suo modo di atteggiarsi, o anche di governare la sua Regione e si vada al merito, prendendo a riferimento le sue affermazioni contenute nell’intervista a Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera, ripetute in larga misura domenica sera da Fabio Fazio, nella quale sintetizza il senso del suo ultimo libro (“Nonostante il Pd”, Piemme).

Per prima cosa – afferma De Luca, uomo contro, di lunghissima esperienza e di sapidità senza complessi – «trovo bizzarro ritrovare sulla scena, come fossero turisti svedesi capitati qui per caso, e senza neanche un accenno di autocritica, tutti quelli che hanno deciso e avuto responsabilità per un decennio», sicché «il rinnovamento è una finzione». Questo è sostanzialmente vero. Dietro lo schermo di una segreteria di proches di Elly Schlein, i dirigenti “di prima” contano moltissimo anche adesso soprattutto quando si tratta di formare localmente i gruppi dirigenti o comporre le liste elettorali a qualunque livello grazie al gioco “cencelliano” delle famigerate correnti che «sono contenitori vuoti che servono solo a garantire le candidature».

Tutto vero, anche se bisognerebbe notare che la presenza di alcuni “adulti” si è rivelata provvidenziale in materia di politica estera, perché se fosse stato per alcune nuove leve è probabile che il Partito democratico non sarebbe a fianco, perlomeno con chiarezza, dell’Ucraina o di Israele.

Ma è indubitabile che nessuno mai faccia davvero autocritica, spesso e volentieri addossando le colpe di una sconfitta a quelli che c’erano prima, e quelli che c’erano prima a loro volta accusano quelli che c’erano ancora prima, e così via in una spirale di falso storicismo che monda i peccati di ciascuni e di tutti.

Poi De Luca sollecita «la definizione di un programma di governo» in grado di «parlare alla maggioranza della società italiana»: ed è vero che il Partito democratico finora non è stato capace o forse non ha nemmeno voluto stendere un programma generale, cioè un vero progetto di governo rivolto a tutto il Paese ma è andato e va avanti a colpi di proposte estemporanee che spesso hanno la caratteristica di essere minoritarie, cioè di riguardare pezzi più o meno piccoli della società: il salario minimo – una battaglia comunque efficace – ha appunto questo tratto. Non si tratta di una questione secondaria. Se non è chiaro cosa proponi poi è chiaro che gli italiani non capiscono perché votarti.

Ma tornando al partito, ribadito che è «demenziale» aver eletto una leder nemmeno iscritta al Partito democratico (ma questa è la legge delle primarie), il governatore della Campania denuncia «la presenza di soggetti che entrati da qualche mese nel partito parlano con supponenza da statisti», e qui l’allusione è evidentemente a Pier Luigi Bersani e ai suoi seguaci, forse con riferimento implicito a qualche esponente napoletano – effettivamente appaiono carichi di un rancore mai smaltito verso un passato che ormai dista molti anni, cioè l’epoca di Matteo Renzi alla guida del Partito democratico, sorgente di tutti i mali e morbo da annichilire sul nascere.

Quindi De Luca ritorna sul punto politico di fondo. Il Partito democratico non è semplicemente un partito di sinistra, anzi, «è un’altra cosa», nel senso che la sua mission non può essere quello della «testimonianza». E spiega: «Non ha un futuro un Pd che non parla di sicurezza», ed è vero che da quando si è ripudiata la stagione di Marco Minniti in effetti dal Nazareno non sono arrivate idee e proposte su un tema che è tra i più sentiti nella società italiana – come d’altra parte in tutta Europa – e anzi si è pronti ad alzare il ditino se si fa riferimento a Keir Starmer, che sulla sicurezza punta molto. Capirai, Starmer, un erede di quel blairismo che il “nuovo Pd” vive come un variante della reazione in agguato, quasi peggio di Emmanuel Macron, un’altra bestia nera.

Paiono infine giuste le critiche all’assenza di attenzione verso il mondo cattolico (chi è al Nazareno che ci lavora?) anche a causa di battaglie di segno “radicale”, e soprattutto è vero che il Partito democratico «non parla di impresa e di ceti professionali» e nemmeno tanto si dedica ai temi della semplificazione amministrativa e dello snellimento burocratico: ma più in generale – osserviamo noi – l’attenzione del Partito democratico su quella che una volta si chiamava la riforma dello Stato è molto scarsa, anche a causa di un certo conservatorismo costituzionale e istituzionale. Le «anime morte» del Nazareno parlano troppo spesso «una lingua morta, incomprensibile alle persone normali e che non riesce mai a creare entusiasmi collettivi» (per esempio, ha detto De Luca a Fazio, non si può dire semplicemente «alleanze politiche» invece di «campo largo»?).

Non manca nemmeno una stoccata a Stefano Bonaccini, il presidente del partito, con riferimento al «sequestro del Pd campano» (che è stato commissariato, ndr), ma forse dietro la critica al ruolo di garanzia scarsamente esercitato del presidente si cela anche una rimostranza politica, visto che non si capisce se il governatore sia ancora capo della minoranza (a dire il vero non è nemmeno chiaro se esiste, questa minoranza) oppure no. Ecco, in conclusione: Vincenzo De Luca potrà risultare antipatico, o arrogante, se ne può criticare la condotta in vario modo. Ma più che discutere la sua figura, sarebbe forse utile al Partito democratico discutere nel merito le cose che dice. Che sono vere.

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