Ora tocca al Partito democratico muovere, come si dice nel gioco degli scacchi. La maggioranza la sua mossa l’ha fatta e ha sbagliato tutto. Si è divisa su un voto politicamente molto significativo come la ratifica delle modifiche al Mes, e, come ha osservato il dem Enzo Amendola «un governo che non ha una maggioranza in politica estera non è un governo». O meglio: la maggioranza ce l’ha fatta ma poteva addirittura andare “sotto” se i deputati del Movimento 5 stelle e di Sinistra/Verdi, utilizzando la rottura di Forza Italia con Lega e Fratelli d’Italia, avessero votato per la ratifica, anche a prezzo dell’incoerenza (si fa così in Parlamento, se si vuole). Se fosse andata così oggi avremmo la crisi di governo e le consultazioni al Quirinale.
Non è successo, e Giorgia Meloni ringrazia quei geni di Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni, a proposito di chi è la stampella del governo. Comunque il fatto politico resta ed è enorme.
Ieri la situazione poi si è ulteriormente complicata. Forse questi non si rendono nemmeno conto di quello che fanno e dicono. Quello che ha detto il ministro per l’Economia Giancarlo Giorgetti è clamoroso: ha sbandierato candidamente che lui era per la ratifica del Mes ma che «in Parlamento non era aria». Ora, Giorgetti non è un commentatore. È il ministro. E quando un ministro non è d’accordo con la presidente del Consiglio – nonché con il suo segretario di partito – su una cosa di questa rilevanza non è un problema di “aria”: ne prende atto, ringrazia e se ne va.
In passato ci sono stati ministri che si sono dimessi per ragioni politiche molto meno gravi: se fosse gente seria, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, i responsabili di questo disastro, dovrebbero chiarire se il ministro dell’Economia, la cui immagine all’estero è ormai deteriorata, può restare al suo posto. Ma come al solito non succederà nulla, passerà ’a nuttata, Natale, Capodanno e Epifania, e tutto andrà avanti come prima, fino al prossimo disastro.
Per impedire questa facilmente ipotizzabile deriva, toccherebbe al Partito democratico prendere un’iniziativa. Per due ragioni. Primo, perché è il partito più forte dell’opposizione; secondo, perché la segretaria Elly Schlein è l’unica persona con cui i leader degli altri partiti sono disposti a parlare (visto che tra di loro Giuseppe Conte e Matteo Renzi non si rivolgono la parola, Carlo Calenda e Conte lo stesso, Renzi e Calenda idem e via dicendo).
Il discorso da fare è semplice: il voto sul Mes non è un banale incidente parlamentare ma il segno di uno scollamento della maggioranza sulla politica estera ed economica. Questa almeno pare l’opinione del Partito democratico, ma gli altri sono d’accordo? Cioè, qui non si tratta di almanaccare su campi larghi o federazioni o altri giochi di società, ma di capire se i diversi partiti dell’opposizione danno la stessa lettura della situazione. Perché è evidente che se si ritiene che, come si è visto, la maggioranza non è imbattibile – perché attraversata da lacerazioni e forse anche da una imprevista difficoltà della presidente del Consiglio che si è fatta mettere i piedi in testa da Salvini. Allora si deve fare qualcosa per capire su quali basi si può mettere in difficoltà il governo.
Insomma, servirebbe un’iniziativa politica. Anche per verificare se Conte intende continuare a urlare contro Meloni a Montecitorio ma dandogli poi i suoi voti, oppure se è spendibile per una battaglia che può anche non portare effetti sconvolgenti ma che sarebbe di per sé un fatto nuovo. E questo vale anche per gli altri leader, Carlo Calenda, Matteo Renzi e Riccardo Magi: vogliono continuare a litigare tra di loro o fare anche altro? Un confronto onesto sarebbe per le opposizioni un modo per dimostrare la loro esistenza in vita e entrare finalmente in campo. Ne saranno capaci?