Scene di lotta di classeIl Social State e la sconosciuta differenza tra gli arricchiti di Instagram e i ricchi veri

L’umanità del 2023 è disposta a immedesimarsi in tutto e tutti, anche nelle vite di persone cui non somiglierà mai. Ormai è un’emergenza nazionale

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Quando ero giovane e facevo un sacco di diete, ogni tanto mi privavo della visione di “Beautiful”. Essendo “Beautiful” trasmesso in orario da massaie, gli spot al suo interno erano perlopiù di merendine, e io conoscevo la mia polla: se vedevo il Tegolino, poi volevo mangiare il Tegolino. Il principio base della dietologia l’ha sancito Hannibal Lecter: si desidera quello che si vede.

Ci ripenso molto in questi giorni in cui prendo in considerazione di rinnegare l’ultima convinzione che mi sia rimasta tra quelle degli ultimi quindici anni, l’unica di cui non mi fossi finora pentita. Quella che dice che, se Mark David Chapman avesse avuto degli account social su cui sfogarsi dicendo al mondo che John Lennon era proprio uno stronzo, non sarebbe andato a sparargli. Che i social siano l’ultima e più importante forma di stato sociale: uno sfogatoio in cui chi ha una vita di silenziosa disperazione può dire cose violentissime di chi ha vite un po’ migliori.

Solo che c’è un problema, a passare le giornate a guardare le vite degli altri quando le vite degli altri sono meglio della tua, ed è un problema che una volta risolvevi assaltando la Bastiglia e oggi che siamo troppo pigri anche per fare il cambio degli armadi risolvi assaltando non so bene cosa, forse la logica.

La settimana scorsa, Chiara Ferragni ha fatto pubblicità a un’azienda di cosmetici che, a quanto ho capito (non l’avevo mai sentita nominare), si picca di fare solo cose naturali. Le più evolute di noi l’hanno scorsa con il disinteresse con cui scorriamo le cose su Instagram. Al massimo abbiamo pensato: ma a quanti marchi di creme fa pubblicità, la Ferragni? Quante cose dovremmo pensare si metta in faccia?

Coloro che la guardano dal tinello in fòrmica coi bambini che piangono e la ricrescita sullo smalto semipermanente e il marito che non risponde al cellulare e probabilmente è in un motel con quella stronza e il pensiero assillante del regalo da fare alla cognata, le persone mediamente infelici hanno invece dato sfogo a quel meccanismo che occorrerebbe aver superato intorno ai tredici anni: l’identificazione.

Per aversi a male delle vite degli sconosciuti occorre identificarsi, e l’umanità del 2023 è disposta a identificarsi in tutto, persino nelle creme che si spalma in faccia. Anche quelle le danno appartenenza, riconoscibilità, persino un profilo politico. E quindi la possibilità di correre nei commenti social a dire non vi vergognate, io credevo in voi, e voi avete preso come testimonial una che pubblicizza McDonald’s. Io credevo in te, contorno occhi. Come hai potuto non avere gli standard etici che mi aspettavo spalmando.

Forse sono solo stata più attenta io, ma mi è sembrato che da lì sia stata una settimana incredibile per l’osservazione dei meccanismi «guardare i Tegolini sul telefono stando a dieta, e incazzarsi con chi li può mangiare».

Un dettaglio importante da tenere a mente per capire quella variazione della lotta di classe che sono i commenti social è che i ricchi di Instagram non sono ricchi. Non è che John Elkann tagghi lo sponsor che gli ha offerto il divano. Ma più ancora: non è che John Elkann si metta in casa un divano brutto solo perché gli viene offerto.

Il che non vuol dire che ai veri ricchi non vengano offerte cose. Da sempre più si è ricchi meno si paga, credo di aver già citato quell’illuminante intervista in cui Geri Halliwell, in pieno successo delle Spice Girls, apriva un pacco omaggio sospirando: dov’era Estée Lauder quando non potevo permettermi le sue creme?

Solo che, se sei abituato a essere ricco, non sei abituato a pensare di doverti sdebitare. Chi ti manda divani o creme in omaggio non si aspetta che tu lo comunichi al mondo, al massimo si aspetta un bigliettino di ringraziamento scritto a mano su un cartoncino color crema.

Quello che chi guarda le vite altrui su Instagram non ha strumenti per capire è che la gente che vedono su Instagram sedersi su orrendi pezzi di design offerti dallo sponsor non è ricca: è gente che vive a scrocco, e sa che non durerà.

Niente dura, se non hai un mestiere e un talento, o un patrimonio di famiglia. E, poiché vivere a scrocco non è un mestiere né un talento ma solo una modalità del presente che, come tutto, passerà, non ti resta che cercare di costruirti un patrimonio, e l’unico modo in cui puoi farlo è non spendere niente mai. Taggare anche le cialde per l’espresso, perché se vivi completamente a scrocco metti da parte due spicci per quando nessuno sarà più disposto a pagarti i divani.

Insomma, la divisione in classi sociali non è tra Chiara Ferragni che illustra le caratteristiche del suo forno a scrocco, e Vongola75 che glielo invidia. È tra noialtre che la guardiamo e pensiamo con compassione: ma sei Chiara Ferragni, fatturi milioni, ma vuoi concederti il lusso della cucina che scegli tu?; e Vongola75 che non ha gli strumenti culturali per compatirla, e pensa che la cucina scelta dallo sponsor sia un privilegio e non una prigione.

L’altro giorno ho preso per il culo un account che riusciva a non capire un tono, un’antifrasi, un niente di quel che scrivevo. Non è esattamente una novità, la scemenza del lettore che non sa leggere è uno dei miei argomenti preferiti. Di solito do la colpa al fallimento dell’istruzione obbligatoria: è chiaro che le mie tasse pagano un sistema scolastico sbagliato, se gli adulti che hanno passato così tanti anni sui banchi sanno leggere meno dei loro bisnonni che li passavano nei campi.

L’account dell’altro giorno si è accorto delle mie beffe e si è giustamente risentito: non è che Chiara Ferragni, se le irridi il forno, venga a dirti che lei intanto vive a scrocco e tu fatichi a pagare le bollette, cicca cicca. Ci vuole anche un po’ di garbo, bisogna evitare di infierire su chi vive vite qualunque.

Insomma è finita che ho scorso un po’ di profili social di gente che si dava ragione su alcune ubriachezze interpretative, dal mio avere stroncato Baricco al mio avere negato di scrivere per Linkiesta. E mi sono resa conto che questi passano le giornate a guardare gli account di quelli che vivono a scrocco per criticarli.

Se passi le giornate a guardare video di gente che si mette creme o che va in vacanza o che ringrazia gli sponsor, che esercizio potranno mai fare le tue sinapsi? È chiaro che quando poi arrivi a leggere un articolo, anche non particolarmente impegnativo ma fatto di parole, ti senti alle prese col “Soccombente” (non che tu sappia cos’è “Il soccombente”, ma insomma ci siamo capiti).

Forse non è la scuola dell’obbligo il problema, ma tutto quel che viene dopo. Forse i social ci salvano dal fatto che un fan di Baricco che non ha capito il mio articolo su Baricco mi aspetti armato sotto casa, ma intanto procurano un danno biologico a questi derelitti che arrivano alla fine della loro giornata di scrutinio dei cuoricini ancora più scemi di quando l’hanno cominciata.

(Ma poi: Baricco scrive, non è che balli su TikTok. Questi che non capiscono quel che leggono quand’è che sono diventati fan di Baricco? Nell’intertempo tra l’obbligo scolastico e il rincoglionimento social?).

Il caso più eclatante della settimana è una psicologa dell’Instagram che ha portato la figlia a un concerto. La psicologa è appunto una psicologa, riceve pazienti, tiene seminari, fa tutte le cose che fanno quelle che fanno il suo mestiere, e poi fa anche le cose che fa chi si vuole costruire un patrimonio economico in questo secolo: partecipa a programmi televisivi e radiofonici, pubblica libri, e quando (spesso) le mandano omaggi ringrazia davanti ai suoi più di trecentomila follower su Instagram.

Naturalmente la psicologa è più intelligente dei suoi follower, giacché chissenefrega del coraggio dell’altruismo e della fantasia: Nino che tira il calcio di rigore è sempre più intelligente di chi passa i pomeriggi a guardare i calci di rigore degli altri. Ma, diversamente da me e come molti altri, il suo posizionamento professionale non è dire a quelli che la seguono che sono dei poveri cretini (un lusso che, in quel settore lì, mi pare che in questo secolo si conceda solo Paolo Crepet). Lei quelli che li seguono li comprende, li aiuta, li accoglie.

Finché non fa questo post sul concerto, in cui narra d’una figlia che aveva già visto il concerto del gruppo preferito, ma voleva tornarci con la cuginetta, e allora lei le ha promesso che sarebbero andate all’estero a vederli, però poi non aveva comprato i biglietti in tempo, ed erano finiti.

(Ovviamente i biglietti non finiscono mai, il concetto di «esaurito» è fittizio, ma neppure io che ho un decimo dei follower e un centesimo del peso sociale della signora mi sbatterei ad andare a comprare dei biglietti maggiorati fuori dal concerto, figuriamoci. Quanto al suo pubblico: sono, appunto, il pubblico, ovvero sono così inattrezzati da pensare che i biglietti possano finire davvero).

Insomma narra la signora al pubblico di Instagram di aver chiamato l’ex fidanzata del cantante, e poi il cantante, che i biglietti le sono stati omaggiati, che la bambina era tanto felice, e che lei ha evitato di deluderla. E, poiché se s’identificano in quanto compratori di creme figuriamoci in quanto devoti di psicologa, nei commenti c’è la replica blanda delle monetine al Raphaël, c’è la rivolta contro gli idoli, c’è la folla che urla «Barabba».

Proprio lei che avrebbe dovuto insegnare a sua figlia a gestire la delusione. Proprio lei ci ricorda che è una privilegiata. Proprio lei che fa pesare a noi comuni mortali l’impossibilità di accontentare i figli. Naturalmente quelli che la difendono sono pure peggio, giacché la legge fondativa dell’internet è che chi s’incomoda a scriverti «genio» è persino più infelice di chi s’incomoda a scriverti «coglione». Leggo cose come «vi dà solo fastidio perché è vip» e mi chiedo perché i Vanzina non abbiano avuto cento cattedre onorarie di sociologia.

Mi aspetto che la dottoressa prossimamente monetizzi, come facciamo tutti noialtri che non passiamo i pomeriggi a guardare le vite degli altri, questo dissenso. In modo più garbato di quello che userei io, certo: spiegando cosa questa ostilità proietti di loro, o quali nodi sia andata a toccare quella che voleva essere una felice storia familiare.

A me però interessa un’altra cosa. Quando fai un post in toni da miracolo di Natale per raccontare una cosa banale come tre biglietti omaggio per un concerto, l’errore che fai lo fai da psicologa o da arricchita?

Cioè: hai pensato che al tuo pubblico sarebbe piaciuta la storia a lieto fine della tua bambina che aveva visto il concerto, e hai sottovalutato i «come si permette lei d’avere i numeri di telefono dei cantanti e di non essere una di noi»? Oppure sei così disabituata a venire omaggiata che ti pareva doveroso sdilinquirti per tre miseri biglietti omaggio?

Insomma, dottoressa: il guaio è che è una parvenue o che ha sopravvalutato la sua stessa immedesimabilità? E, nel primo caso, non sarà il caso di istituire dei corsi per arricchiti di Instagram su come gestire con più disinvoltura il mondo degli omaggi?

Mi chiedo però chi li possa tenere. Io come tutti quelli che scrivono sui giornali ricevevo molti omaggi finché giravano più soldi, ma non sono adattissima a insegnare garbo e comunque non posto i regali perché ho un Blackberry e non so fare i video, mica per discrezione. Forse Crepet: a lui regaleranno cose già dai tempi dei “Porta a porta” su Annamaria Franzoni, un po’ di uso di mondo l’avrà messo su: non mi pare specifichi le marche dei divani su cui si siede. Chiediamogli se può prestarsi a tamponare questa emergenza nazionale.

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