Alla marcia straordinaria per la pace che si è svolta domenica a Perugia non c’era molta gente. Forse il freddo. Forse perché già è arrivato il clima di vacanze natalizie. O forse anche perché ’sta guerra tra Israele e Hamas, per non dire della “vecchia” guerra in Ucraina, non mobilita più di tanto nemmeno i pacifisti di professione – nell’occasione schierati con “il popolo palestinese” e contro Israele.
Fatto sta che la sinistra pacifista Pd-Cgil-Arci-Acli-Anpi eccetera è stanca di guerra e anche di lotta alla guerra. Non sa bene che fare, e si capisce. Pace subito, cessate il fuoco: slogan. Li ha gridati anche Elly Schlein a Perugia, dove c’era anche l’instancabile Maurizio Landini, mentre Giuseppe Conte, il terzo lato del triangolo, era a casa malato («Avrei tanto voluto esserci»).
Sembra di assistere a un pacifismo militante che trascolora in rassegnazione. Ed è proprio per contrastare la frustrazione di non poter fare niente che si rafforza la vecchia critica delle armi: perché le armi della critica non portano da nessuna parte, in questo contesto.
Di certo, la sinistra, e in parte il Partito democratico, ha mollato Israele. Come ha notato Walter Vecellio su HuffPost, a Perugia non c’era una sola bandiera israeliana, erano tutte palestinesi o arcobaleno, come si era visto anche alla manifestazione del Partito democratico di piazza del Popolo a Roma. «Cessate il fuoco umanitario e stop ai bombardamenti», chiede Schlein mentre i soldati israeliani danno la caccia nel sottosuolo di Gaza ai capi di Hamas, che intanto continua a lanciare razzi, saccheggiare le scorte e detenere gli ostaggi. Mica chiede ai tagliagole di arrendersi, il socialismo europeo, che sarebbe l’unica via per salvare subito vite umane. Anzi, come detto, cresce l’ostilità per gli israeliani che non si fermano finché non avranno vinto, come accade in tutte le guerre. Purtroppo questa è la situazione.
Ora, invocare la pace prescindendo dalla realtà è un modo buono per tranquillizzare le coscienze, ma non è politica. Di qui l’impasse e la crescente insofferenza del pacifismo. E più o meno lo stesso discorso vale per la “vecchia” guerra, quella che insanguina da quasi due anni l’Ucraina. Paolo Mieli ha scritto sul Corriere della Sera parole preoccupate sulla «mutazione di linea» del Partito democratico sull’Ucraina, auspicando un chiarimento.
Alcuni dirigenti, come Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa che è stato ed è in prima linea nel sostegno a Kyjiv, ha ribadito il suo «Slava Ukraini!». Gianni Cuperlo, chiamato in causa da Mieli, dice a Linkiesta: «Nessuna sconfessione delle scelte fatte. Il tema è come recuperiamo un’iniziativa politica che non archivi il concetto di una pace possibile in contesti dove ora dominano solamente altre logiche e interessi». Però la guerra continua: l’invasore russo è sempre lì. E dunque non sfugge a nessuno che il cuore del “popolo del Pd” non si scalda più per la bandiera gialloblu, e anche i dirigenti, se non l’hanno proprio ammainata, per stanchezza o chissà per che cos’altro, sembra proprio che abbiano smesso di sventolarla.