Mamma di O.Amadeus al Nove vale atomica iraniana, e altri imbarazzi del nostro tempo

C’è un motivo se il nono canale sta cercando di strappare i migliori presentatori alla Rai: se ti affacci in un mercato saturo, ti fai notare ingaggiando i nomi grossi. Ma ora aspettiamo recensione di Courtney Love, se sopravvive alle swifties

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La migliore analisi della questione Amadeus l’ha fatta Courtney Love, fingendo di parlare di Taylor Swift. Ma ci arriviamo dopo, prima dobbiamo parlare della madre di O., mio campione medio riflessivo di mercato.

La madre di O. avrebbe fatto la gioia di Edmondo Berselli: è una professoressa democratica davvero, mica solo per metonimia. La madre di O. ha un’ottantina d’anni, e quindi è in pensione da un bel pezzo, ma prof dem una volta prof dem per sempre, e gli anni in questo rinforzano la cocciutaggine: le abitudini culturali d’un’ottantenne mica le cambi più.

Quando Fazio è andato al Nove, per O. è stato un dramma: doveva spiegare alla madre cosa fosse il 9, dove fosse dentro al televisore, che tasto nuovo spingere sul telecomando. La madre di O. ha fatto il sacrificio estremo di prendere una nuova abitudine. L’ha fatto per Fazio? Direi piuttosto: l’ha fatto per il Papa, per Scorsese, forse persino, che il dio dello star system mi perdoni, per Massimo Giannini. Quello si era comprato, Nove, comprandosi Fazio: uno che gli portasse il Papa e David Grossman e Madonna e la Ferragni. Uno che dicesse al suo pubblico quel che il suo pubblico ritiene d’aver bisogno di sapere.

La mamma di O. ha ottant’anni e quindi nessuno si vanterà della sua presenza davanti al televisore nei comunicati stampa, giacché all’antica consapevolezza dei pubblicitari (nessuno che abbia più di trentacinque anni è sensibile agli spot) si è aggiunto il feticismo della gioventù che caratterizza la nostra epoca (scivoloso è il confine tra postmodernismo e fascismo): tutti vogliono vantare spettatori tra i quindici e i ventiquattro anni, e nessuno riesce a spiegare alla Bmw cosa dovrebbe fregargliene di mostrare i suoi spot a un pubblico che spesso non ha la patente per guidarla e sempre non ha sufficiente paghetta per comprarla.

Ma accantoniamo la mamma di O. e le ragioni per cui Fazio è Fazio e altri no, e occupiamoci del fattarello della settimana (trattato dai giornali italiani, con la consueta sobrietà, come fosse il D Day: è perché vien buono per dire «questa destra, signora mia, sta mandando in rovina la Rai e il paese», o è perché il Grande Indifferenziato è ormai tale che «conduttore cambia canale» vale «forse l’Iran sgancia l’atomica»?).

C’è una ragione per cui il Nove, dopo Fazio, si è preso Amadeus? Certo che c’è, ed è un classico dei format. È la ragione per cui molto star system italiano negli ultimi anni si è comprato appartamenti grazie alle cifre totalmente fuori mercato che paga Prime. È la ragione per cui Baudo in un altro secolo passò da Rai a Fininvest. O per cui Sky a un certo punto strapagò Fiorello (e non solo).

Il format si chiama: Ultimo arrivato. Ti affacci in un mercato saturo, ti fai notare ingaggiando i nomi grossi del pop (che vengono da te per i bonifici, non certo per far scrivere ai libri di storia che sono stati pionieri: dice la leggenda che una volta Lucio Presta disse «Noi dobbiamo passare alla cassa, non alla storia», e per me non serve altro per spiegare la tv, ma pure la vita). Intanto fai sballare il mercato; poi per rientrare nei ranghi hai tempo.

In questo senso non ho domande per Nove. Cioè: non chiederei mai a loro chi glielo faccia fare di prendersi Amadeus. Stefano Balassone, l’uomo da cui ho imparato tutto quel che so della tv, quasi trent’anni fa arrivò a Tmc (già Telemontecarlo, successivamente La7) e mise il tg alle otto. Contro il Tg1 e il Tg5: un suicidio. La me ventitreenne sgranava gli occhioni mentre lui spiegava che non importava lo share: importava segnalare che si giocava nel campionato dei grandi, delle vere televisioni, di quelli che hanno il tg alle otto (stiamo parlando del Novecento, quel secolo in cui la tv si guardava mentre andava in onda).

È lo stesso criterio con cui ti prendi quello che in questo momento è il più famoso conduttore televisivo italiano, quello che ha fatto cinque festival di Sanremo, quello che fa il quiz che le massaie guardano mentre preparano la cena, quello il cui ingaggio dice al mondo: questa cosa di fare la tv noi la prendiamo sul serio, mica corteggiamo la nicchia.

La mia domanda, dunque, non è per la rete che ingaggia né per il conduttore che viene ingaggiato, ma per i commentatori determinati a fare di questo fattarello un segnale storico: pensate davvero che lo stesso quiz, condotto su Rai 1 da Stefano De Martino, soffrirà un calo di spettatori che diranno ah no, io seguo Amadeus dovunque egli vada? Amadeus? Il trasparente Amadeus? Il Pippo Baudo in sessantaquattresimo d’un secolo esso stesso in sessantaquattresimo? Uno la cui carriera è determinata dalla tigna di Presta (suo agente fino a qualche mese fa, colui che l’ha portato dall’irrilevanza alla gloria) e dall’amicizia con Fiorello?

La mia domanda è per quelli che scrivono che anche il passaggio di Fiorello al Nove è imminente, perché signora mia in Rai con ’sti fascisti non si può. E la domanda è: lo scrivete perché anche voi pensate che, se non può avere come +1 Fiorello, Amadeus che l’hanno invitato a fare a questa festa, giusto? Avrei anche un’altra domanda, visto che ci siamo: ma voi dieci minuti del programma di Fiorello, quello che costa come un varietà del sabato sera ma andando alle sette di mattina fa un milione di spettatori, li avete guardati? Secondo me no, perché solo non seguendolo mai ma proprio mai, solo essendo spettatori delle clip di balletti sui social e non dei suoi programmi, si può pensare che Fiorello sia più a sinistra di Crosetto.

Courtney Love ha annunciato un podcast sulla Bbc con un’intervista allo Standard. Essendo ella Courtney Love, butta lì ganci per trenta o quaranta diversi litigi (o linciaggi social), e a un certo punto parla di Taylor Swift. Trascrivo. «Taylor non è importante. Farà pure sentire comprese le ragazzine, e probabilmente è la Madonna di questi tempi, ma come artista non è interessante».

Ieri non ho avuto il coraggio di andare a leggere gli insulti delle fan della Swift (dovrei sembrare giovanile chiamandole «swifties», ma abbiate pazienza: ho quest’ingombro del senso del ridicolo). Fanatiche che fino a non molto tempo fa avrei creduto avessero dodici anni, ma ora so che i trenta sono i nuovi dodici.

L’altro giorno ho buttato decine di minuti a guardare i tweet d’una ragazza particolarmente assertiva e ottusa che mi spiegava che Vito Corleone rappresentava la mascolinità tossica. A parte spiegarmi “Il padrino”, la ragazza usava il social per monograficamente difendere, lodare, esaltare Billie Eilish. Ho provato a ricordare se c’è stato un momento della mia crescita in cui m’importasse così tanto di qualche cantante. Forse la me dodicenne che ambiva alle mutande di John Taylor, ma neanche. La ragazza ha ventinove anni. Alla sua età Courtney Love restava vedova e pubblicava “Live through this”; lei cuoricina.

In un’epoca troppo infantile per vergognarsi di dirsi “fan” di qualcuno, spero che qualcuno assegni una scorta a Courtney Love per tutelarla dalle seguaci di Taylor Swift. Mi dispiacerebbe se morisse l’ultima critica culturale a saper operare la distinzione tra essere popolari ed essere rilevanti. Mi dispiacerebbe se Courtney, ultima intellettuale lucida, non avesse modo di scrivere l’editoriale su Amadeus che abbiamo bisogno di leggere.

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