Nel cuore della Lettonia, a Riga, si può incontrare una folla di turisti che visitano la capitale per motivi diversi. Qui, gli appassionati di storia che passeggiano per le vie della Città Vecchia la mattina presto si incrociano con i fan della musica techno che escono da uno dei tanti locali underground della città. Ci sono amanti di gastronomia, cultori del trekking e intenditori di art noveau. E poi, la capitale è meta da non perdere per gli «Urbex», cioè per chi ama visitare edifici e città abbandonati. Certo, suona un po’ paradossale: una città tanto turistica e che ospita le università più rinomate del Paese che diventa una tappa immancabile per chi è in cerca di quartieri deserti. Ma la città, come tutto il resto della Lettonia, sta affrontando un grave spopolamento, che tra le tante conseguenze ha quella di lasciare vuoti palazzi residenziali, ville d’epoca e uffici di ogni tipo.
Dal 1991, anno in cui ha riconquistato la sua indipendenza, la popolazione lettone è diminuita del trenta per cento, e la situazione non sembra poter migliorare, anzi. Le proiezioni per il 2100 vedono la Lettonia scendere sotto l’Estonia (che oggi è la meno popolosa delle Repubbliche) per numero di abitanti. Qui, anche se dallo scorso anno il numero di morti è diminuito rispetto al 2019, ultima rilevazione prima della pandemia (del -2.1 per cento, per la precisione), il numero di nati è in costante declino.
Nel 2023 si è raggiunto un nuovo record negativo, con il 12,2 per cento di nascite in meno rispetto al 2022 (in Italia lo stesso dato è stato dell’1,7 per cento): in totale sono nati in Lettonia poco più di tredicimila bambini. È la cifra più bassa degli ultimi cento anni.
L’urbanista lettone specializzato in design dell’innovazione ambientale Janis Kinasts ha scritto nel suo saggio “On the otherness”, che il problema ha radici molto profonde, legati a «una nazione morente, vittima di una forte emigrazione da parte di giovani che scelgono di andarsene a lavorare all’estero per non tornare più».
Kinasts racconta a Linkiesta che, secondo lui, le persone decidono di abbandonare il centro delle grandi città perché il mercato immobiliare è regolato in maniera poco chiara. E argomenta: «Semplicemente, Tallinn e Vilnius, anche per una questione di migliore leadership politica, sono riuscite a riprendersi dalla crisi del 2008 in maniera più rapida e migliore». E così, Riga risente ancora degli strascichi delle crisi dopo quindici anni.
Lo Stato offre già sussidi in denaro alle famiglie che hanno figli, con la cifra che sale all’aumentare del numero di bambini a carico. Per un figlio sotto i vent’anni ogni famiglia riceve ogni mese venti euro, per due figli cento euro e per tre figli duecentoventicinque euro.
Inoltre, da gennaio 2023, il periodo di congedo parentale garantito è stato esteso di un mese: i genitori dei nati dopo questo giorno hanno avuto diritto a diciannove mesi di congedo (da spartirsi in due). Queste misure però sembrano non funzionare, evidentemente.
Riga deve anche fare i conti col problema dell’emigrazione. Nel 2021 il numero di cittadini che ha scelto di lasciare il Paese è cresciuto del quindici per cento rispetto all’anno precedente (undicimila emigrati in più), con la maggior parte degli individui che sceglie come destinazione altri Stati Ue dove gli stipendi e la qualità della vita sono più elevati: in particolare Germania, Paesi Bassi e Norvegia.
Il problema non riguarda solo la Lettonia: dal 1991, ogni anno nelle tre Repubbliche baltiche nascono sempre meno bambini, la popolazione invecchia e si registra un tasso di mortalità tra i più alti d’Europa. Una bomba a orologeria che è ormai esplosa..
La principale testata giornalistica della regione – Baltic News Network (Bnn) – ha equiparato la situazione in Lituania a una «minaccia per la sicurezza pubblica». E in effetti, per quanto tragica possa sembrare questa affermazione, in soli trent’anni il Paese ha perso un quarto della popolazione – circa novecentomila persone, si stima che per il 2045 diminuirà di altre ottocentomila.
In questo contesto già complesso si inserisce il dibattito tra i membri del Parlamento sull’immigrazione: la coalizione conservatrice pensa che la soluzione alla denatalità risieda semplicemente nel rilascio di benefit economici che facciano da incentivo alle giovani coppie ad avere figli. La convinzione che questo basterebbe a combattere la denatalità nasce dal fatto che nel 2009, dopo che il governo aveva introdotto delle riforme a vantaggio dei neogenitori, come l’introduzione di un mese di congedo parentale per i neo-padri, si era registrato nel Paese un boom di nascite (per la prima e ultima volta dal 1991).
Per il gruppo di lavoro per la stabilizzazione della forza lavoro e per il partito liberale, invece, favorire l’ingresso di lavoratori stranieri è l’unico modo per mantenere una forza lavoro che sostenga il paese. Il problema, però, è che i Baltici hanno a che fare contemporaneamente con un razzismo abbastanza diffuso nella popolazione.
Eugenijus Liutkevičius, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università Vytautas Magnus di Kaunas, spiega: «Chi arriva dalla Bielorussia o dall’Ucraina non incontra questo tipo di discriminazione, ma quando è evidente che un immigrato è “diverso” (per etnia e religione), i Lituani fanno fatica ad accettarlo». E aggiunge: «La Lituania potrebbe diventare abbastanza attraente da riuscire a risolvere i suoi problemi economici solo grazie a chi arriva dai Paesi confinanti. Il problema però è che se un partito appoggiasse la necessità di accogliere immigrati non Caucasici, i politici di quel partito perderebbero sicuramente voti e consenso». Secondo Liutkevičius, quindi, «oggi i politici puntano la questione immigrazione sul rimpatrio della diaspora lituana, poiché un afflusso pesante di stranieri non bianchi porterebbe a una forte polarizzazione della società».
A primo impatto la situazione in Estonia non sembra essere migliore rispetto a quella delle e due Repubbliche vicine. Anche qui nel 2023 i nuovi nati hanno raggiunto il livello più basso in oltre un secolo. Il record continua a essere battuto – in negativo – già da diversi anni e un’inversione di tendenza nel prossimo futuro sembra improbabile.
La popolazione sembra destinata a diminuire anche in questo caso. Ma se in Lituania e in Lettonia il calo potrebbe interessare fino al trenta per cento della popolazione nei prossimi decenni, gli abitanti estoni dovrebbero diminuire “solo” del cinque per cento circa nei prossimi trent’anni. Nel 2023, la popolazione è cresciuta del due per cento – nonostante le pochissime nascite, i residenti sono aumentati quasi ventiseimila unità.
La differenza tra Estonia e gli altri Stati baltici sta nel fatto che il Paese è riuscito e riesce ad attirare immigrati in maniera più efficace. Certo, l’immigrazione è controbilanciata in una certa misura dall’emigrazione dei cittadini estoni che scelgono di lasciare la Repubblica. In particolare, molti russi etnici i cui genitori vivevano in Estonia in epoca sovietica hanno scelto di tornare nella Federazione, e una parte di nativi decide di emigrare verso paesi più ricchi, in particolare verso la vicina Finlandia.
Fino a metà del decennio scorso, i due fenomeni si equilibravano e l’immigrazione non aveva un impatto abbastanza forte da incidere sulla demografia del Paese. A partire dal 2017, però il numero di residenti nella Repubblica è aumentato per la prima volta nella storia dell’Estonia indipendente proprio grazie al massiccio arrivo di immigrati.
Le normative del Paese non sembrano incentivare l’immigrazione: l’Aliens Act del 2010, in particolare stabilisce delle linee precise sulla quota di stranieri che possono stabilirsi in Estonia (lo 0,1 per cento della popolazione nell’anno precedente a quello in analisi), ma al decreto si integrano delle eccezioni che portano a una situazione che non corrisponde alla teoria. Per esempio, non si applicano restrizioni per i lavoratori del settore informatico (che in Estonia è il migliore d’Europa), né per quelli che percepiscono uno stipendio superiore almeno del cinquanta per cento rispetto alla media estone.
Per la maggior parte, gli immigrati sono costituiti da estoni che decidono di rimpatriare (cinquanta per cento del totale) e da cittadini europei che scelgono Tallinn come nuova residenza (in particolare lettoni, finlandesi e tedeschi, che sommati costituivano il quindici per cento dei nuovi arrivati nel 2021). Negli ultimi due anni, poi il numero di immigrati è salito vertiginosamente a causa dei tanti rifugiati Ucraini che scelgono l’Estonia come destinazione. La scelta è dovuta in parte alle agevolazioni deliberate dal governo baltico che permette ai rifugiati che non vedono l’Estonia come Paese di transito una più semplice entrata nel mercato del lavoro.
I dati dell’immigrazione nei Paesi baltici dal 2022 sono influenzati dall’arrivo di numerosi rifugiati ucraini (il professor Liutkevičius spiega che a oggi le persone di nazionalità ucraina costituiscono circa un terzo di tutti gli stranieri che vivono in Lituania). «Oggi tanti dei rifugiati dall’Ucraina stanno trovando un lavoro in diversi settori – soprattutto quello edilizio e dei trasporti – e così l’economia lituana viene influenzata in positivo».
Questo fenomeno potrebbe essere un’arma a doppio taglio: è vero che per ora molti rifugiati scelgono di rimanere almeno nel medio periodo nei Baltici, ma quando la guerra finirà non è scontato che non torneranno in Ucraina.
L’immigrazione forse non riuscirà a bilanciare nel lungo periodo la denatalità che affligge l’Estonia da anni, ma costringe il governo ad attuare (in maniera prioritaria ma non estremamente urgente) delle politiche per la valorizzazione dell’economia del Paese, di potenziamento dei servizi pubblici e di incentivazione della natalità che invoglino sia la diaspora estone all’estero, sia i migranti economici a ripopolare la Repubblica. Impresa che potrebbe rivelarsi più facile del previsto, dal momento che l’Estonia sembra sulla buona strada per raggiungere i quindici Stati membri più ricchi dell’Ue.