Si vis pacem, para bellumIl Cremlino ha creato una realtà parallela in cui la Russia è una vittima dell’Occidente

Al centro Brera di Milano, Nona Mikhelidze, Massimiliano Salini e Antonio Stango hanno dialogato sulle sfide per la difesa e la sicurezza europea e la necessità di dotarsi di un esercito comune

Lorenzo Ceva Valla

L’Ucraina ha bisogno di uomini al fronte. Il coraggio ai soldati non manca, ma le munizioni sì, e l’offensiva russa è ogni giorno più vicina a far collassare le linee dell’esercito di Kyjiv se si concentrerà su un unico punto. Per far fronte a questa situazione, Volodymyr Zelensky è stato costretto a prendere l’impopolare decisione di abbassare l’età di leva dai ventisette ai venticinque anni. In questo quadro già estremamente complesso, gli aiuti militari e i finanziamenti dall’Occidente continuano a ritardare. Emmanuel Macron ha dichiarato al termine della conferenza di Parigi per il sostegno a Kyjiv che la possibilità di mandare truppe francesi in Ucraina non sarebbe da escludere. Una affermazione che ha portato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov a dichiarare che le relazioni tra Nato e Russia sono ormai scivolate al livello di un confronto diretto.

Le parole di Macron, sono dovute a tre fattori, come spiega Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali (Iai) e analista dei rapporti Ue con il vicinato orientale e della politica estera russa nello spazio post-sovietico, durante il panel sulla sicurezza europea di Linkiesta Talks, tenutosi al Centro Brera di Milano. La ragione più evidente è il graduale ritiro statunitense dalle crisi globali, che coincide con la necessità per l’Europa di riempire il vuoto che lascerà. Esistono poi anche altre due ragioni che hanno spinto Macron a parlare. In primis «la paura, che è l’arma più potente di Putin, di un’escalation. Il Cremlino è stato capace di creare una realtà parallela in cui la Russia è una vittima dell’Occidente e in cui agisce per difendersi. E di questo vittimismo si sta convincendo anche l’Occidente», dice Mikhelidze.

È qui che si inserisce il terzo fattore: l’autodeterrenza all’intervento nelle crisi estere che esiste in Europa non dal 2022, ma già almeno dal 2008, anno dell’invasione russa in Georgia. La tanto temuta escalation, spiega l’analista, è arrivata proprio a causa della non azione dell’Occidente, che ha permesso a Mosca di dettare le condizioni del trattato di Minsk, in cui la Russia si professava difensore dei diritti umani dei russofoni ucraini. E accettando queste condizioni ha legittimato le azioni russe che hanno portato alla guerra nel 2022». Macron allora, spiega Mikhelidze, «sembra aver realizzato, anche se in forte ritardo, la realtà in cui la Russia si è auto-dichiarata avversario dell’Occidente, e così ha capito che di fronte al Cremlino esistono due scelte: arrendersi o affrontarlo». 

Insomma, l’Europa non può proseguire nell’inerzia in cui si trova ormai da decenni. «Si vis pacem, para bellum». Così la pensavano i latini, e così la pensa l’eurodeputato di Forza Italia (Partito popolare europeo) e vicepresidente della delegazione per le relazioni con l’Iran all’Eurocamera Massimiliano Salini. 

L’eurodeputato ha spiegato al Foglio che la migliore deterrenza alla guerra è un’industria della Difesa efficiente e racconta a Linkiesta che «per prepararsi alla guerra bisogna amare la pace. E quindi il compito della politica è trovare un equilibrio tra quel prepararsi alla guerra e porgere l’altra guancia». E spiega: «In questo momento di aggressione inattesa, a causa dei meccanismi di inerzia che si creano in tempi di pace, è necessario ripercorrere i passi che si programmavano di fare negli anni della Guerra Fredda». 

Il problema, dice Salini, è che ancora oggi, dopo due anni dallo scoppio della guerra in Ucraina, l’industria bellica continua a produrre armi convenzionali: «Il muro di Berlino è caduto senza che facesse un morto grazie allo scudo spaziale creato da Reagan», che è servito all’Occidente come difesa preventiva da un possibile attacco dei sovietici.

L’Europa, quindi, ha ancora un lungo percorso davanti a sé prima che possa iniziare a prendere forma un’idea concreta di Difesa comune. In primis, «la politica estera intergovernativa deve diventare comunitaria per arrivare ad avere una difesa unitaria che ne sia la naturale conseguenza». L’eurodeputato insiste: «Ambisco ad assegnare all’Ue, la mia famiglia, quelle competenze che il mio Paese non è in grado di gestire. Quando succederà, si potrà aprire la discussione sul finanziamento di una Difesa europea»

La sicurezza europea dipende anche dalle politiche adottate nella zona del Caucaso da Paesi che sono influenzati (almeno in parte) dalla Russia. Ad approfondirne l’importanza strategica è la fondazione Med-Or, nata nel 2021 su iniziativa di Leonardo Spa con l’obiettivo di promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica per rafforzare i legami, gli scambi e i rapporti internazionali tra l’Italia e i Paesi dell’area del Mediterraneo allargato e del Medio ed Estremo Oriente. 

Antonio Stango è un membro della fondazione, oltre che presidente della Federazione Italiana Diritti Umani, e professore di Organizzazioni Internazionali e Diritti Umani presso la Rome Link Campus University. E spiega che sia i Paesi dell’Asia Centrale, sia quelli dei Balcani occidentali sono estremamente importanti per l’Europa. In entrambe queste zone, però, l’influenza della Russia non è trascurabile, ed è probabile che il problema sarà risolto solo tra molti anni.

Questa influenza, però, si manifesta in maniera e misura diversa da Paese a Paese, e ciò permette all’Europa di migliorare le relazioni con alcuni Stati che potrebbero giovare all’economia e alla sicurezza dell’Unione. «Sono paesi retti da un sistema autoritario, sì, ma dove esistono logiche che permettono di aprire un dialogo. E questo penso non sia possibile con la Russia, che ha violato non solo le leggi del diritto internazionale, ma anche i trattati firmati da se stessa, contraddicendosi», spiega il professore. 

Per Stango sono importanti per l’Europa soprattutto il Kazakistan, «il cui presidente Qasim-Jomart Toqaev ha dichiarato che non riconoscerà mai l’annessione dei territori ucraini alla Russia»  e l’Armenia, che dopo il conflitto in Nagorno Karabakh sembra star virando verso l’Europa. «L’Ue in Asia Centrale», spiega il professore, «dovrebbe essere molto attiva per contrastare spinte che vengono sia da Mosca, con i bombardamenti, sia da altri paesi (come Iran e Cina) sotto altre forme». 

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