Bene ma non benissimoIl Nouveau Front Populaire è l’ultimo ostacolo tra il Rassemblement National e il potere

Il cartello che riunisce il Partito Socialista, la France Insoumise, il Partito Comunista, i Verdi e altre forze di sinistra sembra l’ultimo argine per evitare che Marine Le Pen e Jordan Bardella conquistino la maggioranza dell’Assemblée Nationale. Eppure è pieno di divisioni al suo interno

AP/Lapresse

«L’alternativa è tra noi e Jean-Luc Mélenchon: chi vota per la France Insoumise vota per il Fondo Monetario Internazionale e per una Francia come il Venezuela, ma senza petrolio». Parola di Jordan Bardella, presidente del Rassemblement National e frontrunner del partito che si prepara a guidare alle elezioni legislative che si terranno in Francia domenica 30 giugno e domenica 7 luglio. I sondaggi continuano a dare ragione all’estrema destra: secondo Ipsos per France Bleu il Rassemblement National guida le preferenze con il trentacinque per cento dei consensi, seguito dal Nouveau Front Populaire, cartello elettorale formato da socialisti, comunisti, ecologisti e dalla France Insoumise più altri partiti minori, al 29,5 per cento e dall’attuale maggioranza presidenziale di Ensemble con il 19,5 per cento dei voti.

Il sistema elettorale usato per le elezioni legislative francesi è il maggioritario a doppio turno: questo significa che per essere subito eletti in uno dei 577 collegi il candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti e almeno il venticinque per cento delle preferenze degli aventi diritto. Nel caso in cui nessuno riesca a ottenere la maggioranza si va al ballottaggio tra i candidati che hanno superato la soglia di sbarramento del 12,5 per cento al primo turno. Non è perciò irrealistico pensare che molti dei collegi che andranno al secondo turno, decidendo così la futura maggioranza dell’Assemblea Nazionale, possano dipendere dal risultato del fronte della gauche e dai suoi candidati al ballottaggio, chiamati a una battaglia storica come fu per la prima versione.

Il Front Populaire, infatti, comparve per la prima volta nella politica francese nel 1936, quando portò il socialista Leon Blum alla presidenza del Consiglio dei ministri della Terza Repubblica. Nacque in quegli anni per affrontare sia le sfide economiche e sociali del tempo che quelle politiche, visto l’emergere in tutta Europa dei fascismi. Oggi la storia non è molto cambiata: il Nouveau Front Populaire deve fronteggiare un’estrema destra mai così forte nel Paese, come certificato nelle elezioni europee alle quali i partiti di sinistra si sono presentati divisi. Per questo, subito dopo l’annuncio di Emmanuel Macron di scioglimento anticipato del Parlamento, la gauche ha cercato di rifare un cartello elettorale simile alla Nupes (Nouvelle Union populaire écologique et sociale) del 2022, in grado di ottenere centotrentuno seggi nell’Assemblea Nazionale, seconda forza parlamentare dopo Ensemble.

Eppure, dietro questa nuova unione che sembra piacere molto agli elettori di sinistra, non mancano i problemi. Il primo, e più evidente, è la mancanza di un unico leader, cioè di un primo ministro “in pectore”: se i macronisti hanno l’attuale inquilino del Matignon, Gabriel Attal, e il Rassemblement National il presidente Jordan Bardella, a sinistra, invece, manca ancora il nome. Si è proposto di farlo lo stesso Mélenchon, leader della France Insoumise, che però è stato prontamente smentito sia dai socialisti, con l’ex presidente François Hollande di nuovo candidato nel suo collegio in Corrèze che lo ha pregato «di stare zitto», sia dai comunisti, con il segretario nazionale Fabien Roussel che ha sottolineato come «la decisione sarà presa solo con i deputati eletti».

Raphael Glucksmann, capolista alle elezioni Europee per la lista congiunta dei socialisti con la formazione Place Publique, ha proposto Laurent Berger, ex segretario generale del sindacato CFDT, ma potrebbe essere anche lui stesso un candidato ideale per il ruolo, come dimostrano i sondaggi che lo vedono in testa tra le personalità dell’area socialista più apprezzate.

Anche sui temi non mancano le divisioni, a cominciare dalla guerra in Medio Oriente. Se i socialisti sostengono il cessate il fuoco, unito al ritorno del dialogo tra le parti, diverso invece il discorso per Mélenchon e la France Insoumise, che durante la campagna per le europee hanno più volte ribadito l’importanza del riconoscimento dello Stato di Palestina e del «genocidio a Gaza». La questione è stata ribadita anche successivamente (con Mélenchon che ha scritto su X: «Perché il presidente francese Emmanuel Macron non parla più di Gaza e non fa nient’altro? Se il Nuovo Fronte Popolare vince, riconosceremo immediatamente lo stato della Palestina»), cercando però di difendersi allo stesso tempo dalle accuse di antisemitismo, con il leader degli Insoumises che ha precisato in un comizio a Montpellier di aver combattuto «l’antisemitismo tutta la vita. La lotta all’antisemitismo fa parte del programma del Nouveau Front Populaire, e per la prima volta è menzionata anche quella contro l’islamofobia».

Più unità, invece, sul sostegno incondizionato al popolo ucraino, grazie anche all’opera di persuasione dei socialisti nei confronti di comunisti e Insoumises, che fino alle europee vedevano in modo più favorevole una pace separata tra Kyjiv e Mosca. Le posizioni dei partiti sono decisamente più vicine sui grandi temi come l’ambiente e l’immigrazione e anche sulle questioni che hanno diviso il Paese durante la presidenza Macron: il Nouveau Front Populaire infatti sostiene l’abrogazione della riforma delle pensioni e dell’assicurazione contro la disoccupazione volute dall’inquilino dell’Eliseo, a cui si aggiunge quella dell’articolo 49.3, che permette al governo di bypassare il Parlamento su un determinato testo, in un’ottica di generale rinnovamento delle istituzioni che prevede anche l’introduzione di una rappresentanza proporzionale alle elezioni.

Un progetto ambizioso, che segnerebbe difatti la nascita di una Sesta Repubblica dove i poteri del Capo dello Stato sarebbero fortemente ridimensionati, a cui andrebbero aggiunte le altrettanto ambiziose proposte economiche, che rappresenterebbero una vera rivoluzione.

Il programma del Nouveau Front Populaire prevede infatti un aumento della spesa pubblica di centocinquanta miliardi fino al 2027 con l’aumento immediato del dieci per cento degli stipendi nel settore pubblico e dell’aiuto per la casa (APL) e del quattordici per cento del salario minimo, che verrebbe portato a 1600 euro al mese. Dopo i primi investimenti a breve termine, che includono anche una massiccia campagna di assunzioni nella sanità pubblica e nell’educazione e il finanziamento della transizione energetica e dei lavori di riqualificazione degli immobili, sono previsti entro fine legislatura presidenziale anche piani per ferrovie e merci, accesso ai servizi pubblici a meno di trenta minuti da casa, sostegno al biologico e all’agroecologia e aumento del budget per la cultura e lo sport, portati entrambi all’un per cento del Pil.

Le proposte hanno fatto molto discutere a livello di coperture. Il presidente Macron ha criticato il programma del Nouveau Front Populaire definendolo un «grandissimo pericolo per l’economia francese» e sottolineando come le coperture derivino «da un aumento massiccio delle imposte per tutti, e non solamente per i più ricchi».

Secondo il cartello dei partiti della gauche, le coperture per queste proposte deriverebbero dall’introduzione sulla tassa sui superprofitti, dal valore di quindici miliardi di euro; dal ripristino della tassa di solidarietà patrimoniale, con l’aggiunta di una componente climatica, a cui si aggiungerebbero l’eliminazione delle «scappatoie fiscali inefficienti, ingiuste e inquinanti» e della flat tax sui redditi da capitale, in vigore dal 2018.

Ulteriore proposta economica del Nouvel Front Populaire sarebbe la riforma dell’imposta sul reddito che prevederebbe l’introduzione di quattordici scaglioni, al posto dei cinque attuali, in un’ottica di progressività delle tasse. Incerta, però, l’idea di come rispondere ad eventuali obiezioni di Bruxelles.

Pochi giorni fa, infatti, l’Unione europea ha avviato una procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti di sette Paesi, tra cui l’Italia e la Francia, con quest’ultima che ha registrato un deficit pari al 5,5 per cento del Pil nel 2023. Una notizia che fa seguito al declassamento del rating del debito francese da AA ad AA- da parte dell’agenzia statunitense Standard and Poor’s avvenuto a fine maggio. Non è prevista nessuna possibile correzione, anzi: come sottolinea l’Opinion, alcune stime interne al Front Populaire prevedono che l’aumento della spesa pubblica porterebbe il deficit a raggiungere il 5,7 per cento del Pil nel 2024 e a scendere lentamente al 5,4 per cento nel 2025 e al 5,1 per cento nel 2026. Valori tutti ben lontani dall’obiettivo del tre per cento imposto dall’Ue. Sarebbe quindi inevitabile lo scontro con Bruxelles e non sembra certo un proposito distensivo anche la volontà di ridiscutere le regole di bilancio con le istituzioni europee. Ai francesi e al loro voto toccherà adesso decidere.

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