La guerra ideologica di Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, contro l’autonomia dei Comuni sulla sicurezza stradale è entrata nel vivo all’inizio del 2024. Le minacce del leader della Lega contro l’amministrazione Lepore a Bologna, “colpevole” di aver applicato il modello della Città 30, si sono trasformate in una direttiva confusa, poco chiara, con il condizionale all’interno del testo, volta solo a intimorire quei sindaci con uno sguardo orientato al presente – e al futuro – della mobilità urbana.
Poi, a marzo, la Camera ha approvato la riforma del codice della strada (proposta mesi prima da Salvini sotto forma di disegno di legge), che entro settembre dovrebbe entrare in vigore in seguito al via libera del Senato. Come abbiamo spiegato qui, il provvedimento imporrà un blocco con effetto immediato alla realizzazione di nuove corsie ciclabili, case avanzate, doppi sensi ciclabili e strade ciclabili «fino all’emanazione di un futuro regolamento del ministero». Lo stesso modus operandi è visibile all’interno del decreto autovelox, che ha vietato gli autovelox mobili e fissi nelle strade urbane in cui i limiti di velocità sono inferiori ai cinquanta chilometri orari.
L’operato di Matteo Salvini al Mit appare ancor più anacronistico quando si osservano i casi virtuosi all’estero, su cui è essenziale ragionare per avere un termine di paragone efficace e scongiurare un appiattimento della nostra ambizione. Nel Regno Unito, per esempio, sta facendo parlare di sé la segretaria di Stato per i Trasporti (ruolo equivalente al nostro ministro dei Trasporti) del nuovo governo laburista di Keir Starmer. Il suo nome è Louise Haigh, è nata nel 1987 a Sheffield e ha intenzione di stravolgere l’approccio del precedente esecutivo, presieduto dal conservatore Rishi Sunak, in fatto di mobilità e sicurezza stradale.
Intervistata da Bloomberg, Haigh – in parlamento dal 2015 nella circoscrizione di Ashton-under-Lyne – ha detto una frase in netta controtendenza rispetto alle politiche del suo omologo italiano: i limiti di velocità sono un argomento «a esclusiva discrezione delle aree locali». Secondo la segretaria di Stato per i Trasporti, «il precedente governo ha completamente sbagliato a volerli decidere (i limiti di velocità nelle singole città, ndr) da Whitehall (la sede del governo, ndr)». Il suo obiettivo è «porre fine alle guerre culturali» che, sotto il governo conservatore, hanno alimentato le tensioni attorno alle politiche urbane sulla mobilità.
Nessuno meglio di un sindaco, un assessore o un consigliere comunale conosce le esigenze e i problemi delle strade della propria città. Con la direttiva approvata a febbraio 2024, il Mit di Salvini ha introdotto una quantità di paletti tale da imporre un divieto de facto alla Città 30, un modello che si fonda non solo su un abbassamento dei limiti di velocità urbana (fatta eccezione per le arterie a grande scorrimento), ma su una redistribuzione equa e democratica dello spazio pubblico.
In Italia, la deriva autoritaria del leader leghista non si è fermata ai limiti di velocità: in caso di approvazione della riforma del codice della strada, le ciclabili a linea tratteggiata (dette anche bike lane) saranno consentite solo lungo le strade in cui è impossibile costruire una pista ciclabile in sede protetta; questa decisione non dipenderà dalla valutazione di un tecnico e dal Comune, ma dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. «Ciclabilità e micromobilità sono viste più come modalità di intralcio alla circolazione delle automobili che come segmenti fondamentali della mobilità», scrivono Andrea Colombo, ex assessore alla Mobilità di Bologna ed esperto legale in materia di sicurezza stradale e mobilità sostenibile, e Alfredo Drufuca, ingegnere dei trasporti e responsabile tecnico di Polinomia srl, in una recente analisi sull’argomento.
Tornando al Regno Unito, le politiche di Sunak e dell’ex segretario per i Trasporti, Mark Harper, hanno avuto molti punti di contatto rispetto alle misure del Mit in Italia. Ma Louise Haigh vuole invertire la tendenza: «Non c’è modo che io, seduta nel mio ufficio al DfT (Department for Transport, ndr), possa dire: “Questa strada a Chester deve o non deve diventare a venti miglia orarie (circa trentadue chilometri orari, ndr). È assolutamente ridicolo», ha aggiunto, dando poi tutto il suo «sostegno» alle amministrazioni locali che vogliono adottare il limite di velocità delle venti miglia orarie.
I temi fin qui trattati non riguardano solo la sicurezza stradale e la vivibilità delle città. Il modo in cui ci spostiamo quotidianamente ha un impatto decisivo sulla nostra salute. Le conseguenze sanitarie della sedentarietà non possono mancare nel background e nella comunicazione di chi si occupa di trasporti e mobilità. Haigh, a differenza di Salvini, ne è perfettamente consapevole: «Siamo in una crisi climatica. Siamo in una crisi di salute pubblica. Far sì che le persone camminino, vadano in bicicletta e si muovano di più è essenziale per contribuire a risolvere entrambi i problemi», ha spiegato al Guardian.
Stando ai dati ufficiali del governo, il costo della sedentarietà nel Regno Unito è pari a 7,4 miliardi di sterline l’anno. Il Paese, secondo gli autori di un report pubblicato dall’Institute for public policy research, diventerà sempre più «povero e malato». Ecco perché il governo Starmer, prosegue la segretaria per i Trasporti, stanzierà «finanziamenti senza precedenti» per la mobilità attiva. Uno degli obiettivi è migliorare il National cycle network, la rete di percorsi ciclabili che copre tutto il Regno Unito, comprese alcune isole scozzesi. Haigh sta andando dritta al punto, cogliendo il ruolo sociale della bicicletta: bisogna pensare alle ciclabili non solo in ottica urbana o turistica, ma anche come infrastrutture capaci di connettere tra loro piccoli centri, territori e servizi altrimenti isolati (come accade nei Paesi Bassi).
«Crescita, emissioni zero, opportunità, sicurezza per le donne e le ragazze, salute: niente di tutto questo può essere realizzato senza i trasporti come fattore chiave», ha dichiarato Louise Haigh non durante un’intervista, ma in un virgolettato riportato da un comunicato stampa sul sito ufficiale del governo. Niente di rivoluzionario, sia chiaro, ma provate a immaginare una frase del genere sul portale online del ministero dei Trasporti italiano: pura fantascienza.
«A liberator». Haigh, parlando con il Guardian, ha definito in questo modo il tema dei trasporti. Merito della sua versatilità e della sua capacità di aiutare gli altri dipartimenti ministeriali a raggiungere i rispettivi obiettivi. Una Nazione meno dipendente dal trasporto su gomma – anche a livello commerciale – è una Nazione in cui tutti gli ingranaggi sono più oliati e funzionanti. È un discorso che deve includere anche il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico, considerando che il settore britannico a emettere più emissioni è proprio quello dei trasporti (ventiquattro per cento).
Insomma, nel Regno Unito il vento sta cambiando. E le bike lane londinesi, ora che il governo si è insediato, potrebbero avere una bicicletta in più: «Non ho mai pedalato nella capitale, ma voglio farlo più di frequente. Anche perché non avrò tempo per andare in palestra, quindi è un’alternativa davvero buona. Ma non so se Dennis (il suo autista, ndr) me lo permetterà: non vorrei che mi seguisse con l’auto ministeriale o qualcosa del genere, sarebbe ridicolo», ha detto Haigh, riferendosi probabilmente all’ex primo ministro David Cameron e alla sua abitudine di pedalare per Londra con l’autista a pochi metri di distanza.