Nel vortice di una crisi internazionale senza precedenti (ieri Vladimir Putin ha ulteriormente alzato il livello della minaccia) non c’è niente da fare, sulla politica estera la maggioranza di governo parla sempre lingue diverse, non c’è amalgama tra le astuzie dialettiche di Giorgia Meloni, l’orbanismo di Matteo Salvini, il pescinbarilismo di Antonio Tajani: è tutto un distinguo, un vedremo-il-da-farsi, un rimettersi ad altri consessi internazionali. È sempre così. Sostanzialmente una linea di politica estera, se c’è, è molto sbiadita, come una vecchia fotografia venuta male.
Non siamo a Babele ma le cacofonie sono all’ordine del giorno. Così di fronte al nuovo attacco dei terroristi di Hezbollah alla base di Unifil nel sud del Libano (quattro militari italiani feriti per fortuna in modo lieve) «sdegno e condanna», come si diceva una volta, ma poi, boh: che cosa s’intende concretamente fare per evitare nuovi attacchi?
Al di là dell’ovvio riserbo che circonda queste cose, non è chiara la linea del ministro della Difesa Guido Crosetto. È poi stupefacente come di fronte a una situazione che sta diventando d’emergenza, maggioranza e opposizione non avvertano il bisogno di un confronto costruttivo che sarebbe un buon segnale per un’opinione pubblica frastornata da continue notizie negative ma l’impressione è che di questo un po’ tutti se ne freghino, le priorità sono sempre altre, di cucina interna.
La stessa indeterminatezza del governo si registra sul mandato di cattura per Benjamin Netanyahu emesso dalla Corte penale internazionale, un’iniziativa giudiziaria che ovviamente ha acceso ancora di più gli animi di Israele compattando tutto l’arco politico di quel Paese a sostegno del primo ministro.
Da noi, con il solito ministro degli Esteri che si è barcamenato, si è assistito alla presa di posizione ultra-Israele di Matteo Salvini che in una non casuale sintonia con Viktor Orbán ha dato il benvenuto a Netanyahu con l’evidente scopo di accreditarsi come il politico italiano di riferimento per la destra estrema mondiale di cui il leader israeliano è una colonna.
Anche di Meloni si è un pochino sentito il rumore delle unghie sui vetri in attesa di capire cosa fare e probabilmente infastidita dalla velocità con cui Crosetto, sempre il primo della classe, aveva subito detto che la sentenza della Corte va eseguita anche senza condividerla: ma tocca al ministro della Difesa parlare prima del collega degli Esteri e della stessa presidente del Consiglio? Tanto ormai Crosetto con le sue esternazioni facili è da tempo un problema di fronte al quale non si sa più bene cosa fare, eppure la questione esiste. Ma la mettono sotto la sabbia, l’opinione pubblica non si allarmerà certo per queste continue sgrammaticature, l’importante è fare finta di niente e passare ad altro. Solo che questo “altro” è la prossima votazione a Strasburgo sulla nuova Commissione europea.
Il governo, e segnatamente la premier, considerano addirittura un capolavoro politico l’esser riusciti a far digerire la vicepresidenza di Raffaele Fitto spostando un po’ più a destra gli equilibri europei: ed effettivamente la manovra è riuscita, ma più come un gioco di prestigio improvvisato e molto politicista che come una coerente linea di azione, e tuttavia è clamoroso il fatto che mercoledì prossimo a Strasburgo la Lega voterà contro questo “capolavoro”. Manca insomma una regia forte da parte di una premier che cura molto gli interessi suoi e del suo partito ma nella totale incertezza se guardare con decisione al centro o continuare a presidiare il campo della destra, se diventare a suo modo popolare, nel senso del centrismo europeo, o pavoneggiarsi sul balcone della Casa Rosada accanto a un tipo come Javier Milei, in attesa di capire come fare a diventare la “trumpina” d’Italia. Un bailamme, mentre nel mondo soffia un ventaccio.